Capitolo 28 - Nel mezzo di un gelido inverno

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Dorothy

Mi sveglio con il sole negli occhi. Anche questa notte mi sono dimenticata di chiudere le tende.
Mi vengono in mente le prime mattine in cui mi ritrovavo in questo letto. I primi tempi non riuscivo a dormire quasi niente, stavo tutta la notte a fissare il soffitto per i mille rumori di questa casa, ma d'altra parte, essendo nel pieno bosco, non poteva che essere contornata da rumori.
Ancora oggi mi chiedo di che cosa avessi paura. E' molto più sicuro qui, in mezzo al bosco, che dove andrò.

Butto in avanti le coperte e mi alzo a sedere sul letto. Mi sto stiracchiando le braccia quando noto una macchia rossa sul copri materasso.

Forse ieri sera mi sono tagliata con qualcosa, ma non mi sembra.

Poi mi viene in mente una cosa.
Cazzo. No, non può essere.

Mi alzo in piedi e poi mi piego su di essa per studiarla meglio.
Non può essere vero. Ti prego, ti prego, ti prego! Fa che non sia vero!

Questa piccola macchiolina non sembra lasciare niente al caso. Mi tiro giù i pantaloni del pigiama e noto che anche quelli sono macchiati di sangue sul cavallo.

Non può essere. Non è possibile.

Non so se essere felice o terribilmente spaventata. Non mi ricordo neanche più quando era stata l'ultima volta che mi era venuto il ciclo mestruale. Sei mesi fa? Un anno fa? Non aveva neanche avuto il tempo di manifestarsi che poi era sparito, e non mi mancava affatto.

Caccio un urlo dentro di me e strattono via i pantaloni. Perché. Perché. Perché a me. Questo può solo che peggiorare la situazione.

Mi appoggio alla parete accanto al letto con le mani sulla faccia e mi faccio scivolare giù, giù, giù fino al pavimento freddo. Mi metto a piangere senza saperne il motivo. Le lacrime scendono da sole, come se i miei occhi avessero reagito da soli alla vista di quel sangue, senza dar ascolto al mio cervello che sta dicendo tutto il contrario, che non è importante, che Dorian farà sicuramente qualcosa per aiutarmi. Certo, Dorian, che adesso è chissà dove, lontano da te e che, come minimo, non tornerà mai più. Come tutti quanti, dopotutto.

Lo specchio che è difronte a me mi osserva, mi fissa. Mi fa vedere quella che sono, che sto soffrendo per una cosa così naturale, così tanto umana da non sentirla mia.
Vedo le lacrime graffiarmi il viso fino a farmi diventare le guance umide e gli occhi rossi.

Io non voglio vedermi così! Io non sono così! Non sono debole!
Prendo la prima cosa che mi capita a tiro e la lancio verso quel dannato specchio, rompendolo e facendo cadere i vetri per terra in uno stridulo ma intenso rumore mentre continuo ad annegare nelle mie stesse lacrime.

Immediatamente sento dei passi provenire dal corridoio.
Ho fatto troppo rumore. Gli ho spaventati.

Dopo pochi secondi Peeter apre la porta di camera mia con gli occhi fuori dalle orbite.

«Dorothy che diamine...?»

«Cazzo. Che cazzo. Puoi dirlo Peeter! Se te ne fossi accorto non sono una principessa! Puoi anche dire una cazzo di parolaccia ogni tanto!» Gli urlo contro anche se sinceramente non ne comprendo il motivo. Non è Peeter il mio problema, anzi.

«Okay.» Dice entrando nella stanza e facendosi avanti. Evidentemente ha capito che c'è qualche cosa che non va in me stamattina. Con la coda dell'occhio noto che guarda interrogativo il mio specchio ormai andato in mille pezzi.

Respiro profondamente. «Scusa , non ti volevo aggredire, non è colpa tua. E' che mi sento strana. Un secondo prima provo una cosa e quello dopo un'altra!» Dico mettendomi una mano davanti agli occhi.

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