I.

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Qualche mese prima

-No!- Gridai.

Istintivamente mi portai le mani alla bocca. Quelle due semplici lettere mi uscirono dalla bocca senza nemmeno rendermene conto. Quasi come se qualcun altro le avesse pronunciate al posto mio. Quasi come se non mi fossi mai resa conto di tutto questo. Della sensazione che in fondo al mio cuore cercava di urlare, di avvertirmi, ma che io facevo tacere. In qualche modo però si era fatta spazio e in quel momento aveva trovato la strada ed era esplosa fuori dalla mia bocca.
Era evidente però che aveva scelto il momento sbagliato per farsi avanti. Non era riuscita nemmeno ad aspettare la fine della domanda che mi era appena stata posta.

Davanti a me un anello, che minaccioso mi fissava dall'interno dalla sua scatolina.
Dietro di lui il mio ragazzo, circondato da tutti i nostri amici e familiari.

L'imbarazzo sul mio volto era evidente, così come lo stupore sulla faccia di tutti i presenti. Tranne che su quella del mio ragazzo. Ecco, sul suo volto non vedevo nulla. Nessuna emozione traspariva dai suoi lineamenti. Guardando però attraverso i suoi occhi, che negli ultimi cinque anni avevo imparato a conoscere, vidi l'unica cosa che avrei preferito non vedere. Delusione. Solo quello. E per fortuna quella fu la prima volta che vidi quello sguardo rivolto verso di me.
Io ero pietrificata. Con ancora le mani sulla bocca, l'unica cosa che riuscivo a muovere erano gli occhi che cercavano disperati una via di fuga.
Dopo un tempo che a me parve l'eternità, qualcuno ruppe quel silenzio con un semplice colpo di tosse, e la mia improvvisa paralisi finì.
Abbassai finalmente le braccia, ma dalla mia bocca non uscì un suono. Qualsiasi cosa mi passasse per la mente in quel momento mi sembrava troppo stupida, inadatta. Qualunque fosse la cosa che aveva preso possesso di me prima aveva improvvisamente perso la parola.
-mi dispiace.- fu l'unica cosa che riuscii a dire qualche attimo dopo.
"e ci mancherebbe altro!" disse il mio cervello in risposta a quella brillante frase.

Il mio ragazzo decise di chiudere la scatolina che teneva in mano protesa verso di me. Con gli occhi che fissavano il parquet del suo appartamento, la poggiò nella grande libreria bianca del soggiorno accanto a lui, quasi come se nulla fosse, come se quello fosse sempre stato il suo posto, come se fosse sempre stata lì.

E in un certo senso era così. Quell'anello era in qualche modo sempre stato presente nella nostra storia e lui lo sapeva. Solamente io non me ne ero accorta. E adesso mi era apparso davanti come un serpente che compare sul sentiero in cui stai camminando e che ti fissa aspettando una tua semplice mossa per poterti attaccare. Ecco, quell'anello era per me un serpente velenoso.

Decisi di prenderlo per mano e di portarlo in un'altra stanza, lontano da tutti quegli occhi che ci fissavano. Gli afferrai la mano e lo trascinai per il corridoio verso l'ultima camera della casa. Negli ultimi cinque anni ero entrata spesso lì dentro ma per qualche strano motivo non eravamo mai entrati lì per discutere. Quel letto e quell'armadio non avevano mai sentito urla uscire dalle nostre bocche. In effetti a pensarci bene non avevamo mai avuto una vera e propria discussione. Una di quelle belle discussioni dove uno dei due minaccia di lasciare l'altro e di non tornare più. E forse era anche questo il nostro problema.

Non esistono relazioni in cui due persone non discutono o in cui non ci si manda a quel paese almeno una volta. Ma non sarebbe successo nemmeno ora.
L'espressione sul suo volto mi faceva capire che non mi avrebbe insultato nemmeno questa volta. E questa volta me lo meritavo tanto.

-Credi di potermi perdonare? Credi di poter passare sopra a questa cosa? Ti capirei benissimo lo stesso sai. Hai organizzato tutto questo per me e io ho fatto un casino.- dissi, ma lui continuava a fissare il pavimento in silenzio.
-Mi dispiace veramente, non te lo meriti. Lo so che è scontato, ma la colpa non è tua. È mia. Forse avrei dovuto parlartene prima, dei dubbi che avevo su tutto questo...-
- Ti vedi con un altro, non è vero?- disse all'improvviso guardandomi dritto negli occhi.
- No! - risposi. - Perché dovrebbe esserci un altro?-
- Non lo so. Credevo che le cose tra di noi andassero bene. Che tu volessi le stesse cose che desidero io. Una vita insieme, una famiglia. Che fosse così per entrambi. Credevo di conoscerti. Ma è evidente che non è così.-
- Lo credevo anche io. Veramente. Ma quando ho visto quell'anello davanti a me ho capito che avrei commesso l'errore più grande della mia vita. Sarebbe stato un errore per entrambi.-
- Questo non lo puoi sapere.-
- E invece si.-
- E come lo sai?- disse interrompendomi. - Come fai a saperlo se non sei nemmeno disposta a provarci? Non mi hai nemmeno lasciato finire la domanda, cazzo. Avevi già preso una decisione vero? Da quanto lo sapevi? Beh sai avresti potuto avvertirmi, così da evitarmi questa figura di merda davanti a tutti.-
- Credi veramente che se fosse stata una decisione premeditata non te l'avrei detto? Pensi che sia stato tutto un piano da parte mia per farti fare brutta figura davanti a tutti?-
- Credo di si.- Quelle parole furono come un coltello piantato dentro al cuore.
- Dopo tutto questo tempo pensi questo di me?- dissi a bassa voce.
- Cosa dovrei pensare secondo te? Pensavo che avresti detto si. Che saresti stata felice di tutto quello che ho organizzato per te stasera. E invece mi ritrovo un no come risposta. Scusa se non credo al fatto che non ci stessi già pensando da un po'.-
Non sapevo cosa dire. In quel momento perdere la sua fiducia mi aveva fatto crollare il mondo addosso. Sapere che la persona con cui avevo condiviso gli ultimi cinque anni della mia vita pensava queste cose di me mi lasciava senza parole.
- Credo che a questo punto non ci sia altro da aggiungere, dico bene?- dissi con un filo di voce.
- Direi proprio di si. - rispose lui.
- Ok. Ciao Giulio.
- Ciao Delfina.

                                                                         *****

Uscita dalla stanza con ancora gli occhi lucidi, ritornai nel salone ancora pieno. Già dal corridoio potevo sentire le voci provenire dalla sala principale, ma per fortuna la mia mente era troppo distratta per poter cogliere i loro discorsi. Ma il disprezzo nei loro occhi era visibile e parlava molto più forte della loro voce. E' triste pensare come tutte quelle persone fossero lì per festeggiare noi due, mentre adesso tutto quello che riuscivano a fare era puntarmi il dito contro. Mi stavano giudicando.

Ma non mi importava. In quel momento mi fu ancora più chiaro. Quelli non erano i miei amici. Erano gli amici di Giulio. Gli amici che avevo frequentato in questi ultimi anni ma che di me non conoscevano nulla. E io non conoscevo loro. Era ovvio che avrebbero preso le sue parti senza nemmeno sentire la mia versione dei fatti.
"Era una stronza" sarebbe stato il commento più frequente tra loro per i prossimi mesi. E a me stava bene così. Non erano miei amici, non mi interessava la loro opinione.

Dandomi una leggera spallata passò accanto a me Letizia. Ecco, Letizia era quel tipo di amica sempre pronta a consolarti. Soprattutto era sempre pronta a consolare Giulio. Non me lo aveva mai confessato ma sapevo che lei era innamorata di lui da sempre.
La vidi entrare nella stanza ed inchinarsi ai piedi del letto davanti a Giulio che piangeva con la testa tra le mani. Appena i nostri sguardi si incrociarono chiuse la porta dietro di sé.
Mentre fissavo la porta in fondo al corridoio, una mano si appoggiò sulla mia spalla. Voltandomi vidi mia madre accanto a me.
- Cosa hai fatto?- mi chiese a bassa voce, attenta a non farsi sentire da tutti gli altri, che aspettavano solo una mia uscita di scena. Questa volta definitivamente.
- Cosa vuoi dire mamma? Credo sia abbastanza chiaro quello che è successo, no?- dissi.
- Hai quasi trent'anni Delfina! Dovresti finirla con i tuoi soliti capricci infantili! - disse con un tono di voce leggermente più alto. - avevi finalmente trovato una persona che ti sopportasse e hai deciso di fare queste sceneggiata per attirare l'attenzione di tutti, non è così vero? - richiamati dalla sua voce, tutti i presenti si girarono per osservare la scena.
Mi sentivo in trappola. Sapevo di dovermene andare il prima possibile da questa casa.
- Credo che la sceneggiata la stia facendo tu in questo momento. - dissi.
Con la sguardo di tutti i presenti addosso, presi borsa e cappotto e lasciai la casa.
Non sapevo esattamente dove andare. Abitavo ancora con mia madre, visto che un lavoro fisso era ancora un sogno per me. Ma sapevo di non volerla vedere il mattino dopo.

                                                                             *****

Camminai senza meta per circa mezz'ora, quando all'improvviso il mio telefono squillò. Era papà. Non pensavo che la notizia della mia fallimentare proposta di matrimonio gli sarebbe arrivata così velocemente, visto che lui e la mamma non si erano rivolti la parola negli ultimi sei mesi. Non avevo molta voglia di parlarne ma decisi comunque di rispondere, perché sapevo che le sue parole mi avrebbero tranquillizzato. E ne avevo decisamente bisogno.
- Ciao papà.
- Ciao tesoro mio. Come stai?
- Potrei stare decisamente meglio.
- Che succede? - mi chiese. E in quell'istante capì che non sapeva nulla. Avrei dovuto dirglielo? O era meglio risparmiare almeno a lui questa delusione?
- Niente papà. Sono solo un po' stanca.
- Hai litigato di nuovo con tua madre? Lo sai che devi lasciarla perdere. Qualunque cosa ti abbia detto non è vera. Sa dire solo cattiverie. Soprattutto sul sottoscritto. - sentì la sua risata attraverso il telefono e solo quello mi bastò per stare un po' meglio.
- Posso venire da te papà? Lo so che è tardi ma...-
- Ti sto già aspettando. -
- Grazie. -

Come il sole che si eclissaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora