Avevo perso molto sangue, non so di preciso quanto, non me lo vollero dire, credo che non mi volessero spaventare. Mi avevano scortata in una stanza con due letti, mi avevano dato quello vicino alla finestra. L'altro era vuoto e rotto, mi dava l'impressione che ci fosse morto qualcuno, emanava un'aria cupa che mi intristiva. La camera era stretta e lunga. Le pareti erano bianche e gialle chiaro. Si entrava da una porta di legno grigio chiaro, a lato c'era subito il bagno, di grandezza media con pareti bianche e fino a metà ricoperte da piastrelle a cubetti di 1 centimetro acqua marina. Il pavimento era in mattonelle bianche, che sembravano essere state appena pulite. Entrando si avevano i due letti a destra ed un grande armadio di legno scuro a sinistra. Di fronte c'era una grande finestra da cui entrava molta luce, sopra di questa si trovava un semplice orologio bianco. La camera affacciava sul cortile interno, si potevano osservare dei romantici nidi sui rami dei maestosi alberi che creavano delle particolari ombre nella stanza. I letti erano i soliti che si trovano negli ospedali, comodi e con le rotelle. Il tutto creava un'atmosfera di tranquillità, eppure, sentivo il mio cuore battere a mille, spaventato da quel luogo e voglioso di tornare in quella casa. Questa voglia mi spaventava, i miei sentimenti mi spaventata, ed ero terrorizzata dal fatto di non sapere nulla di quello che è successo prima che mi ritrovassi in quella casa. L'ago che avevo nel braccio mi provocava una strana sensazione, un misto tra dolore e piacere. Ho passato delle ore ad osservarlo, a studiare il punto dove magicamente sembrava finire, dove entrava nella mia pelle. Non sono mai stata una ragazza che si impressiona alla vista del sangue o degli aghi. Il corpo umano mi ha sempre affascinato, il suo perfetto funzionamento, assomiglia ad una macchina, è tutto collegato, se smettesse di funzionare qualcosa tutte le altre parti sarebbero in difficoltà, come una catena di montaggio. Erano le nove di sera, mi avevano portato la cena da poco più di un'ora, e non avevo ancora toccato nulla. L'idea di mangiare della minestra che assomigliava a del vomito non mi eccitava. Tuttavia la fame si faceva sentire così decisi di assaggiare, ma mi pentì subito della mia scelta, quella roba faceva rigurgitare, era immangiabile, così rimasi senza mangiare per tutta la serata. Sam e Col se ne erano andati alle sette e io ero rimasta da sola. I miei genitori sono morti in un incidente stradale quando avevo undici anni, è stato un trauma molto pesante da superare. Stavano tornando da una cena con dei loro amici quando si sono rotti i freni dell' auto e non sono riusciti a bloccare l'auto in tempo, finendo contro un albero .Avevamo già perso tutti gli zii, i cugini e i nonni, quindi quello fu un duro colpo. Abbiamo vissuto in tre famiglie diverse fino al diciottesimo di mio fratello, quando abbiamo deciso di andare a vivere da soli. Nelle case in cui siamo stati ci siamo trovati molto male, siamo stati ospitati da persone orribili, non ci consideravano come dei figli, ci avevano adottati solo per fargli da schiavi. Ci davano poche cose da mangiare e spesso crude. A mala pena ci pagavano le spese scolastiche, hanno cercato un lavoro per noi per utilizzare i soldi che guadagnavamo. Io e mio fratello abbiamo iniziato a lavorare rispettivamente ad 11 e 13 anni. Era un lavoro clandestino, portavamo la spesa a casa della gente e prendevamo due dollari all'ora. Spesso la fatica era molta, le consegne le facevamo a piedi, raramente in bici. Ora io e lui viviamo in una casa ad un piano vicino al centro, grande novanta metri quadri. L'affitto è basso e ce lo possiamo permettere tranquillamente perché, oltre ad avere ereditato tutto il patrimonio dei nostri genitori, abbiamo venduto anche la nostra vecchia casa di famiglia, una grande villa vicino ad un parco con un lago artificiale. Questa dove viviamo ora ha un arredamento moderno, due camere da letto ed un open space con un piccolo giardino esterno. La struttura è tipica di Alexandria, tetto a punta, rifiniture bianche, mura esterne bordeaux. Io la trovo così carina e romantica. Io e Cole abbiamo un rapporto fantastico. Da quando sono morti i nostri genitori ci siamo uniti molto. Ci proteggiamo a vicenda e ci prendiamo cura l'uno dell'altro. Da quando si è trovato un lavoro in un supermercato non ci vediamo così spesso, ma quando ha dei giorni liberi organizziamo delle divertenti attività, per ricordarci di quanto siamo fortunati ad essere vivi e liberi.
Era mezzanotte e non riuscivo a prendere sonno, guardavo le lancette dell' orologio muoversi, ascoltavo quel rumore cosi rilassante ma allo stesso tempo spaventoso, mi sentivo debole e stanca, avrei soltanto desiderato riposarmi un po' ma non ci riuscivo, tutte le mie emozioni mi tormentavano. Poi successe qualcosa di strano e preoccupante. Mi alzai all'improvviso, contro volontà. Appoggiai i piedi a terra e sentii quel freddo così piacevole, poi iniziai a camminare. Non sembravo debole, ma dentro sentivo di svenire da un momento all'altro. Mi diressi verso la porta, i miei arti sembravano posseduti, io tentavo di tornare a letto, ma le mie gambe andavano avanti. Uscì dalla stanza, e con un passo silenzioso e cauto mi diressi verso le scale per scendere al pian terreno. Ero terrorizzata da quello che il mio corpo autonomamente stava facendo, volevo piangere ma non riuscivo nemmeno a fare quello. Tentai di urlare perché qualcuno corresse in mio soccorso per bloccarmi, ma dalla mia bocca non usci nemmeno un sibilo. Ero costretta a fare quello che mi diceva il mio corpo così iniziai a scendere le scale, arrivai al pian terreno e mi diressi verso l'uscita. Era pieno di gente ma nessuno sembrava fare caso a me. Ero fuori dalla struttura dell'ospedale, nel giardino. L'edifico visto da fuori era imponente,con un area tetra, moderno. Il cortile era molto vasto, con alberi uguali tra loro, l'erba era stata tagliata da poco ed emanava un odore piacevole e rilassante. C'era un'aria fresca con un leggero vento, tipico della Virginia. Continuavo a camminare. Avevo percorso tutto il vialetto ed ero davanti all'uscita, quando due guardie mi bloccarono il passaggio. Improvvisamente mi venne da piangere, così scesero dalle lacrime dai miei occhi che lasciai scorrere su tutto il mio viso. Sentii un dolore fortissimo in petto, così dalla mia bocca uscì un urlo disumano, spaventoso. Successivamente svenni, come se avessi terminato tutte le mie energie.
Il giorno dopo mi risvegliai nel mio letto in ospedale, circondata della facce preoccupate dei dottori e di Sam e Cole.
Mi alzai di scatto, spaventata da quello che era successo quella notte, sperando fosse solo un incubo, ma dentro di me sapevo che quello era solo l'inizio di una serie di eventi orribili. Samantha stava per dire qualcosa ma fu interrotta da mio fratello che pronunzio'《 Sierra che cosa cavolo è successo?!》 con un tono di preoccupazione mista a rabbia. Lui ci teneva molto a me ,ero la persona più importante al mondo per lui, e la cosa era reciproca. Io non volevo farlo soffrire ma sentivo che sta per accadere qualcosa di orribile che avrebbe fatto star male tanta gente. Io chiesi a Sam ed a i dottori se mi potevano lasciare sola con mio fratello e loro uscirono dalla stanza. Dissi 《Cole non so cosa mi sta accadendo, non controllo i miei movimenti, non so come sono riuscita ad uscire dall' ospedale e non so perché l'ho fatto, io ho paura》. Prounuciando queste parole mi accorsi che mi scese una lacrima che fu seguita subito da un altra ed il tutto sfociò in un pianto soffocato. Mio fratello mi guardo come se avesse capito tutto, come se mi avesse letto nella mente. Mi sorrise e poi parlò 《 Avevi lasciato un biglietto sulla mia scrivania con l'indirizzo di dove ti trovavi ed affianco c'era scritto "The hell", il diavolo. Ho paura Sierra, ho paura per te》. Quella frase mi fece restare scioccata. Non avevo ancora riflettuto su come fossero riusciti a trovarmi ma avevo già ottenuto la risposta. Non riuscivo a capacitarmi di quello che avevo fatto e scritto. Perché il diavolo? Che cosa si celava dietro quella sera che non riuscivo a ricordare? Mi colpì quando ammise che aveva paura. L'unica volta che l'avevo sentito pronunciare quella frase era stato poco dopo la morte dei nostri genitori, appena avevamo comosciuto i nostri nuovi "genitori". Se era preoccupato per questo doveva essere qualcosa di grave. Lo scrutai mentre cercavo dei termini giusti con cui rispondergli, ma alla fine lo abbracciai e iniziai a piangergli addosso.