-Ti dico col cuore di smetterla- la voce sarcastica della madre rimbombava nella sua mente. –Eh?- fece lui. –Ma allora non mi ascolti proprio, Daniele- esclamò lei. Si risveglio come da uno stato d'incoscienza, e nella sua testa riaffiorò il fatto che fosse nella cucina di casa sua, e che sua madre l'aveva impegnato a schiacciare noci come se non ci fosse un domani. –Daniele, così vanno bene, smettila- continuò lei –non mi serve una polvere di noci, ma solo delle noci a pezzi-. Il ragazzo lasciò cadere il mortaio sul tavolo e si allontanò. –Dì, ma ti senti bene? Non è che hai la febbre?-. –Ma no- sbuffò lui e cominciò a fare gli scalini due a due, fino al terrazzo sopra il tetto. Nel suo breve percorso, si ritrovò affacciato sulla porta dello studio del padre, dove dipingeva. Era la stanza della casa dove Daniele stava di meno e anche dove voleva stare di meno. Il padre non era mai tranquillo quando lavorava. Ma non gli passò inosservato. –Oh Daniele, vieni qua-. –Stavo andando su-. –Beh vieni qua, dai-. Si fece spazio tra i fogli, le tele, i barattoli di pittura sparsi sul pavimento. –Perché non sei andato a scuola oggi?-. –Lo trovavo inutile, interrogavano quasi tutte le ore e io le ho già fatte quelle interrogazioni-. –Io non trovo che sia inutile andarci, però-. Daniele alzò le spalle. –Non fare così perché sai che mi innervosiscono-. –Credevo lo fossi già-. –Daniele....-. –Dimmi-. –La tua vita è un gioco per te?-. –Non credo, no-. –Penso che ti farebbe bene andare a fare qualche sport...tipo nuoto, scherma...stai con altri, fai altro-. –No- lo interruppe lui. –E perché no?-. –Perché sai benissimo che non ho per niente un talento sportivo e perché sai benissimo che non mi piace nessun tipo di sport-. –E perché so benissimo che in una palestra non potresti metterti i tuoi adorati occhiali da sole e che quindi eviteresti di andarci, come fai con la scuola appena ti è possibile-. –Lascia stare- disse Daniele voltandosi per uscire da quella stanza maledetta. –Non ho finito-. –Io sì- sbuffò lui. Il padre si alzò dal suo sgabello. –Non è così tremendo il mondo eh-. –Certo, tu lo sai-. -Non ti fidi?-. –No-. –Mi odi?-. –No, non ti odio...odio solo che mi hai fatto così-. –Allora per questo odi anche tua madre-. Silenzio. –Stai facendo un discorso assurdo da bambino piccolo e di sicuro non un discorso che potresti fare tu con la tua intelligenza e la tua maturità, specie in merito a questo-. –Può darsi-. –Che c'è di così male nei tuoi occhi?-. –Forse che uno è marrone scuro e l'altro è di un azzurro quasi trasparente? E che quando vado in giro la gente mi fissa sempre come fossi un alieno o come se ci fosse qualcosa sul mio viso che non va?-. –Ma Daniele l'abbiamo già detto un sacco di volte: l'eterocromia è una cosa che....-. –Che non puoi dire normale perché solo l'1% della popolazione mondiale ha le iridi degli occhi di colore diverso come me, ma che d'altra parte è naturale poiché può accadere e che non c'è nulla di strano ad essere così, anzi è più bello...sì, me l'avete detto un milione di volte- s'intromise Daniele. –E se lo sai allora perché continui a fartene la colpa della tua vita?-. –Perché non sei tu che ti guardi allo specchio, vedi i tuoi occhi e sai che domani tutti ti guarderanno in strada per questo...o a scuola o in palestra o dove vuoi tu-. –La gente si abitua-. –No, la gente si abitua a tutto tranne alla diversità- concluse Daniele ed uscì.
Arrivò sul terrazzo e l'aria del mare trascinata dal leggero vento gli riempì i polmoni. E proprio in quel momento, sentì qualcosa toccargli la caviglia. Guardò in basso e vide un gatto bianco con dei ciuffi di pelo rosso che si strusciava sulla sua gamba. –E tu? Da dove arrivi?-. In quel momento, dall'unica finestra che si affacciava sul loro terrazzo e che apparteneva al palazzo di fronte, si affacciò la signora Linei –Daniele, scusami! Cercherò di non farlo più uscire da questa finestra! In modo tale che vada solo sul nostro terrazzo!-. –Ma no, non è un problema- disse lui. –Non dire sciocchezze, se si mette a fare i suoi bisogni o a fare delle buche nell'orto di tua madre, posso cominciare a trasferirmi- scherzò lei. Daniele le sorrise. La signora Linei era da poco andata in pensione, prima era un'insegnante delle elementari. Aveva i capelli grigi e fini, che le ricadevano poco sotto le spalle, i denti erano piuttosto storti ma i suoi sorrisi erano sempre cordiali. Daniele prese in braccio il gatto, per poter ridarlelo. Così noto che anche lui aveva gli occhi diversi: uno verde e l'altro scuro. –Ma....-. –Eh sì, avete qualcosa in comune- gli sorrise la signora Linei. Daniele glielo diede. –Non si preoccupi di mia madre, può farlo venire da noi-. –Ti ringrazio, ma credo che non sia il caso...ciao, Daniele- e col gatto in braccio, chiuse la finestra. Daniele le bussò sul vetro. –Dimmi- disse la signora Linei riaprendola. –Come si chiama il vostro gatto?-. –Rosina-. –E' femmina quindi...-. –Beh direi di sì-. –Ma ti senti bene Daniele?-. Avrebbe voluto urlarle di sì, visto che chiunque glielo chiedeva quel giorno. –Naturalmente- rispose lui. La signora Linei annuì e richiuse la finestra. –Senta io volevo chiederle...-. –Va a casa Daniele!- esclamò lei con aria quasi scherzosa da dentro. –Sono già a casa- sospirò lui.
"Nonpotrai mai scappare dal tuo cuore, quindi è meglio che ascolti quello che ha dadirti" Paulo Coehlo
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VA TUTTO BENE
General FictionLa vita a volte mette davanti a grande difficoltà. Per Daniele, un quindicenne di Genova, la difficoltà più grande, è quella di superare la vergogna per se stesso e la paura che nessuno lo possa accettare o far sentire "normale", come lui vorrebbe...