A proposito dell'empatia
Poiché in questo capitolo affronteremo i due Tipi più empatici, ma al contempo meno riconosciuti come tali, vorrei spendere due parole in merito all'empatia, in questa introduzione. Culturalmente, siamo abituati a riconoscere come empatiche quelle persone particolarmente abili a captare lo stato emotivo degli altri e ad adeguare di conseguenza le loro parole e i loro gesti. L'empatia, insomma, è per noi una qualità estroversa. Non solo, siamo anche talmente abituati ad associarla a una personalità sensibile, delicata, gentile e femminile che, ebbene sì, lo stesso Jung era caduto in questo tranello, inizialmente. Nei suoi primi lavori, infatti, come abbiamo accennato, aveva associato il Pensiero all'introversione e il Sentimento all'estroversione, per poi ravvedersi.
È uno scivolone del tutto comprensibile e perdonabile, dal momento che la vera empatia, in effetti, è una qualità silenziosa, privata e difficile da notare. Per capirci meglio, credo sia necessario fornirvi un breve elenco di parole che descrivono il nostro rapporto con gli altri, con annesse definizioni:
· Quando parlo di empatia, mi riferisco a quella qualità che consente a chi la possiede di interiorizzare i sentimenti degli altri. Questo significa, ad esempio, che nel vedere una persona che piange l'empatico prova dentro di sé lo stesso identico dolore che sta provando l'altro. Non ha bisogno di mettersi nei panni dell'altro, o di immaginare se stesso nella sua situazione; non c'è, insomma, uno sforzo cosciente, è quasi un riflesso. Naturalmente, però, agire o meno su questa percezione e in che modo, è una scelta cosciente che richiede forza di volontà.
· La simpatia, invece, è ciò che prova chi osserva l'emozione, la riconosce, la capisce, se ne sente partecipe, ma non la interiorizza. Mantenendo l'esempio precedente, nel vedere qualcuno che piange, un simpatizzante può dispiacersi, prenderla a male, commuovesi, provare pena e mostrare una grande partecipazione, nonché prodigarsi nel fornire supporto emotivo, comprensione e consolazione, ma le sue emozioni personali restano indipendenti, non c'è interiorizzazione di un sentimento riflesso.
· Poi abbiamo la compassione, che è in realtà è più una scelta morale, che un sentimento, a mio avviso. Mostrare compassione, infatti, non richiede necessariamente empatia, simpatia, o partecipazione emotiva, anzi, certe volte la si può concedere persino di malavoglia. Credo sia tipica dei tipi T non dominanti (i TP, insomma), che non hanno la stessa goffaggine emotiva e la stessa repulsione sentimentale dei TJ. Non avendo, inoltre, la stessa ossessione per l'efficienza di questi ultimi, sono più portati a compiere delle scelte compassionevoli, magari di malavoglia, magari senza un reale trasporto emotivo, magari semplicemente perché è così che si fa.
· Infine, c'è la partecipazione intellettuale, che è più o meno ciò che provano i TJ. Non avendo i mezzi per decodificare e maneggiare con disinvoltura le emozioni, chi mostra partecipazione intellettuale converte l'emozione in un'idea. In questo modo, a livello di pensiero, i TJ possono comprendere il significato del dolore e il male che questo comporta, ma la mancanza di una reale partecipazione a livello emotivo consente loro di compiere scelte difficili dal punto di vista umano con una certa facilità.
Naturalmente, ho semplificato un po' l'argomento, quindi non prendete la mia lista come una serie di equazioni perfette. L'empatia è più flessibile e complicata di così e i sentimenti hanno delle sfumature così sottili e variegate che molti di essi, pensate, nemmeno hanno un nome in italiano. Ciò che vi basta sapere, per adesso, è che il nostro rapporto con la parte sentimentale di noi può manifestarsi in modi diversi, a seconda non solo delle situazioni e dei soggetti, ma anche del nostro Tipo Psicologico.
Come abbiamo già accennato, infatti, ognuno di noi possiede delle emozioni e la capacità di riconoscerle negli altri, ma proprio come l'intelligenza può avere diverse forme, anche l'empatia si manifesta in modi diversi, indipendentemente dalla nostra volontà. Quindi la prossima volta che sentirete il bisogno di chiedere: "Ma non pensi a me? Non hai un minimo di comprensione? Non capisci come mi sento?", pensateci due volte. Sarebbe come dire a qualcuno: "Ma che sei scemo? Non capisci niente?".
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