La Restauratrice

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Capitolo 1

Parigi, ore 07:30 del mattino. L’aria fredda è impregnata dall’odore del caffè macinato e dei croissant appena sfornati. I bar ed i bistrot cominciano a prendere vita. Il cielo plumbeo annuncia un nuovo temporale, come quello della notte scorsa. In una piccola mansardina di Montmartre, Matthieu, uno studente dell’accademia d’arte di Parigi, sta bevendo un bicchiere di latte. Fa due giri con la sua sciarpa blu cobalto, inforca il suo cappotto, mette il basco, prende la borsa e gli album e si avvia verso il nuovo giorno. Ripercorre la strada che da casa sua porta alla cattedrale di Notre Dame. Ogni volta quella maestosità architettonica gli creava un turbinio di emozioni, restava lì ad osservare come in quelle statue, che fronteggiavano il prospetto della cattedrale, si celassero anni ed anni di storia di chi ha progettato e costruito quel gigante che, ora, stava lì, con il suo rosone dai mille colori, le sue arcate, i portali, i doccioni, le campane pronte a suonare ed i Gargoyle, mostri scolpiti nella pietra.                                                               “Un ossimoro” pensò Philippe “la bruttezza nella bellezza.”

Era il suo sogno poter entrare nella cattedrale, raggiungere le campane e poter ammirare Parigi in tutta la sua bellezza.

Il rintocco di otto colpi riportò Matthieu alla realtà, le lezioni iniziavano alle 08:15, doveva sbrigarsi.

Superò Notre Dame spedito. Mentre stava per entrare all’accademia la vide, Lisa, una ragazza italiana, venuta a Parigi per studiare arte e che, per mantenersi, lavorava in un negozio d’antiquariato come restauratrice. Ogni volta che Matthieu la vedeva, restava estasiato da tale bellezza. Lisa era sempre avvolta in quel cappotto largo, di colore rosso, i capelli tirati in una coda di cavallo; indossava sempre maglioni bianchi o neri e gonne a scacchi o scozzesi ma, quello che faceva impazzire Matthieu, era il modo in cui portava gli occhiali, sempre sulla punta del piccolo naso; con aria timida lo guardava, gli sorrideva e sussurrava:<<Bonjour>>. Bastava quel volto a far cambiare la giornata a Matthieu e a metterlo di buon umore.

A l'Académie des Beaux-Arts le giornate trascorrevano con una scansione temporale così veloce da non rendersi conto che era giunto il pomeriggio. Gli studenti si riunivano nei caffè a parlare d’arte, di poesia, di filosofia e musica che, insieme, davano il nome di “condivisione”.                                                                      Matthieu ed i suoi amici erano riuniti al caffè Etoile, in quel pomeriggio nuvoloso e freddo dove l’odore di cioccolata riempie e riscalda l’aria, e parlavano della lezione di storia dell’arte, tenuta dal professor Rousseau, sulle ninfee di Monet, sulla loro tecnica impressionista e su come il pittore sia riuscito a completarle visto che, negli ultimi anni, era ormai quasi del tutto cieco.                                                            Matthieu esponeva la sua tesi con orgoglio, visto che si stava preparando da mesi su quella materia, e, con voce molto profonda, disse: “Secondo me, Monet ormai sapeva come poter completare la sua opera, visto che ci lavorò per molti anni. Ormai aveva in mente tutte le ombre, le sfumature e le luci, perché ormai il suo lavoro era…” s’interruppe al familiare suono di una risata. Si girò e il cuore gli si fermò in gola. Lisa era appena entrata nel locale con un gruppo di amiche. Matthieu rimase incantato come se davanti avesse un bel dipinto o come se stesse guardando la sua amata Notre Dame. Lisa era stupenda con i capelli raccolti e gli occhiali sul naso che le davano un aria dolce e seria allo stesso tempo.

In quel momento Matthieu dimenticò tutto su teorie, ninfee, Monet e tutto ciò che riguardava l’arte impressionista; la vera opera d’arte ce l’aveva davanti in carne ed ossa. Era seduta due tavoli avanti al suo, rideva con le compagne e parlava della lezione di restaurazione alla quale avevano assistito quella stessa mattina. Più la guardava e più rivedeva in lei un opera uscita dai quadri di Edward Hopper. Quel giorno sembrava uscita da una delle sue teli, precisamente da “Automat”, un dipindo del 1927 che raffigurava una donna misteriosa seduta ad un tavolino. Cosa aspetti non si sa ma la bellezza sprigionata dal soggetto misterioso avrà lasciato il pittore statunitense impressionato.

“Ehy Matthieu, vuoi qualcosa?”                                                                                                                                        Il ragazzo tornò bruscamente alla realtà. La cameriera attendeva con il taccuino delle ordinazioni in mano, nell’istante in cui gli occhi azzurri di Matthieu incrociarono quelli Castano-verdi della cameriera, egli sorridendo disse: “Qualcosa di dolce”                                                                                                                                             “Una cioccolata va bene?” continuò la cameriera e Matthieu rimase ancora un secondo immobile prima di annuire.

Quando uscirono dall’Etoile era già buio. Quel pomeriggio era sembrato interessante a Matthieu, un pomeriggio fatto di sguardi e sorrisi, di parole non dette ma sussurrate col sienzio.                                        Una volta rientrato in casa, Matthieu si distese nel letto. Ripensando a quello sguardo e a quel sorriso rimase smarrito nel silenzio della sua stanza. Dopo qualche secondo decise di alzarsi, tornò al suo tavolo da lavoro per completare dei lavori, da consegnare in quella settimana, ma cominciò a disegnare un profilo femminile, con sfumature a matita e i chiari-scuri che solo la luce e le ombre potevano creare.

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