"Se non spalleggi la tua diplomazia paventando anche la minaccia delle armi, sei il direttore di un concerto privo di strumenti.
Se la tua minaccia è vuota, non hai nemmeno il pubblico in sala.
Se la tua minaccia è troppo gravosa, invece di un cliente ti sarai fatto cinquanta nemici."
-Koenighaìn Altarior Odìnn Vohn Thorian,
estratto dal "Della Guerra e Altre Necessità".Dato alle stampe il giorno sedici febbraio di D.A. 420.981.
Tornato alla sua scrivania, Fabràs adocchiò la tazza di tè che aveva sorseggiato in compagnia di Hilda. Il fumo non risaliva più dalle creste del liquido ambrato.
Si sedette, aggiustando la coda della redingote. Strinse il manico del cucchiaino e lo girò un paio di volte. Il lieve sottofondo di zucchero si rimescolò, smosso dalla posa. Presa la tazzina per il manico, vi soffiò sopra una volta, la portò alle proprie labbra e sorbì un lungo sorso. Non si era guastato, perlomeno.
Cingendosi il mento con la mano libera, si ricordò quale fosse stata l'opinione di Hilda circa la sua intenzione di lasciarsi crescere la barba in vista dell'anniversario.
Stando alla sua sentenza, gli donava pochissimo. Quando le aveva chiesto la ragione di quel giudizio, lei aveva risposto, con un po' di sfrontatezza, che lo faceva assomigliare ad un sovrano dell'epoca Pre-Vronegarthea, e gli aveva domandato se volesse anche uno stemma outremarnico cucito sull'uniforme e una vecchia livrea in giaco trapuntato per completare lo stile regale arcaico da sovrano di colli e feudi.
Che impertinente.
Aveva scartato il piano della barba e rasato tutto, tuttavia Hilda non aveva espresso alcunché in merito.
Curvò le labbra in una smorfia. Che fosse il caso di convocare tèrr Eristoklès per aiutarla con la traduzione? Soprassedendo alla sua volontà l'avrebbe per certo offesa. Una resa eccellente del testo valeva abbastanza da pungolarla in quel modo?
No, se poteva evitarlo. Era in grado di riuscirci con le sue sole forze, premesso di lasciarle il tempo necessario. Allungando la mano libera al margine sinistro del piano da lavoro della sua scrivania, bacchettò un colpetto d'indice al centro d'uno dei glyph incolonnati lì.
Un basso ritmo di macchinari s'issò dal cuore del mobile: appoggiato su due colonnine di sostegno, scolpite con una serie d'ordinati archi infissi nella scrivania, un rettangolare leggio saggiato in legno rosso s'inclinò in avanti, pronto all'uso.
Sorbendo un altro sorso di tè, Fabràs l'accese.
La retroilluminazione pose in evidenza le incisioni ai margini, che ritraevano le personificazioni athmannee del Regno di Altavista Unita e del Regno di Hael'v. Le loro spalle erano fasciate da lunghe stole bianche, pendenti fino ai fianchi. Un bellicoso elmo conico, ornato da una lunga cresta, riposava appeso al collo di ciascuna dama.
Le due differivano tra loro nelle tinte degli abiti e nella scelta delle armi che portavano a riposo: quella di sinistra vestiva di scarlatto orlato d'oro, identici colori a quelli che animavano i suoi capelli, e stringeva una lancia tridentata, armata d'una lunga punta centrale a foglia alta e stretta.
Il suo contraltare in piedi sulla destra, invece, rivolgeva in basso la punta di una spada dalla guardia crociata, con le braccia dell'elsa rifinite per raffigurare le ali spalancate dell'Aquila Dayrakyna. Issato a pochi centimetri dalla cima del capo biondo e lucente, un disco solare di metallici allori del trionfo scintillava con solerzia, allungando ombreggiature e lumeggi all'abito rosso scuro dai bordi aurei e neri.
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Il volo dell'Aquila Dayrakyna
FantasyIl tramonto di un'epoca è l'alba dei tempi a seguire, portato dai venti del cambiamento. E questi spirano, con crescente potenza, attraversando le astrali vastità delle Venti Volontà. Dalle spire più alte ai sobborghi sotterranei, le incertezze e i...