Ar'Khorona Sydara 'Rhenna Valas, VI

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"La calma è la culla del potere. Cammina mano nella mano con la responsabilità, che nel migliore dei casi è una pericolosa lama a doppio filo, con l'impugnatura di vetro.

Ah, sì; ti ho detto che non ha la guardia?

Comunque tu la impugni, finirai per tagliarti la mano."

-Estratto dalle "Elucubrazioni del Grande Tempio", scritto dall'onorevole signoria di mael'a'khòra Vaisha Phatmàl l'Ostinata, Vyzhràh di Hussy'q.



Scorrendo con placida lentezza, la poderosa stazza della RMRH-Lenden copriva l'immediato orizzonte di babordo con un lungo velo di piastre corazzate. La sua marcia celeste spandeva una nenia monocorde. Il contiguo respiro di gigante, intervallato dagli sbuffi dei reattori di manovra.

Al di sotto del castello di mezzanave e di poppa, la sovrastruttura del ponte di coperta era un brulichio di figure indaffarate; la loro nevrotica alacrità era fluiva nei saliscendi, si faceva udire nei richiami, risuonava per i comandi scanditi da voci esaltate da megafoni e per gli scalpiccii delle squadre che incrociavano, a passo spedito, per avviarsi alle loro postazioni. Apparivano tutte così piccole, lì, accanto alle numerose casematte dell'artiglieria dorsale.

Sydara adocchiò un rostro di addetti alla manutenzione impegnato nell'opera di pulizia del fusto centrale di una delle postazioni di prua. Scoccò un comando mentale alle sue lenti a contatto magnificanti, stringendo su di loro al punto d'averli come a portata di mano.

Balzando da un capo all'altro, li conteggiò, passando in rassegna l'attività in corso: guidati da un ufficiale superiore, trentasei anime, più della metà del reparto addetto, si erano allineate su di una scaffalatura ruotata, sostenuta da un telaio di maglia dal saldo intreccio. Al centro allineava un grande bastone per la pulizia del pezzo, che loro muovevano tramite coppie di robusti servo-arti metallici. Erano pilotati da regolari, squadrate piastre di comando.

Allungando larghi, scuri riverberi al mare di nuvole, gli scatti degli stantuffi schiacciavano le voci dei capi-tecnici e degli ufficiali.

Tutti i marinai indossavano un paio di paraorecchie a cuffia elettronica sopra ai loro berretti da fatica.

Ritirato dalla canna da un coro d'identici comandi, il bastone emerse. In mancanza d'altro, lo si sarebbe potuto impiegare come un ariete d'assedio.

«In avanti!» scandì l'ufficiale in comando, scoccando un gesto alla canna. Era una donna, dritta come un chiodo, dal mento duro e un po' appuntito. Al di sotto del cappello da graduata con visiera s'intravedevano cortissimi capelli castani, chiari rispetto alla marca scura della sua uniforme dal taglio lungo, a doppio petto e colletto alto.

Il braccio si mosse in avanti, infilato dentro il fusto da un coro di spinte pressanti. La punta scomparve nella voragine, precedendo un rilassarsi dei muscoli sintetici delle braccia. Si tesero al momento di ripiegare, sbattendo tutta la loro forza contro l'aria.

Ritirò la sua osservazione, contenta. Di nuovo lontana, la RMRH-Lenden, accompagnata da quattro appuntite classi Pherro-Veste di scorta, seguitò a solcare le nubi, immersa nel suo ciclo di rodaggio e riassesto operativo.

Era stata una piacevole distrazione.

Impazzando sull'estensione del ponte di coperta, le raffiche ingrassarono la randa delle tre auriche vele solari. Il parapetto di prua della MCRH-Siaìrinn sussultò arcigno mentre le pulsioni dei circoli teslaì s'impegnavano, frustando il cielo con oblunghe folgori violastre, a contrastarne la spinta opposta delle correnti ascensionali che salivano dalla capitale.

Il volo dell'Aquila DayrakynaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora