L'uomo perfetto. Si definiva così, almeno. Non sbagliava nulla, fin da bambino era sempre stato metodico in modo quasi inquietante, ogni giorno, le stesse azioni, nello stesso ordine, nello stesso modo.
Non cambiava mai espressione. Aveva sempre una faccia piuttosto neutra. Si era arrabbiato solo sei volte, da quando si era sposato. Le aveva contate. Quando questo succedeva, una piccola vena appariva sulla fronte. Nulla di più.
Odiava le imperfezioni a livello non solo fisico, ma anche morale. Per questo si era allenato negli anni ad annullare quasi del tutto ogni emozione, per sembrare sempre neutrale a tutto.
Era il sedici di novembre, una fredda serata. Stava mangiando con sua moglie, ovviamente lo stesso pasto delle sere prima. A un certo punto, sua moglie si fermò un secondo e tossì. Appena avvertì il rumore provocato dalla donna, sbattè un pugno sul tavolo. Sarebbe stata probabilmente la settima volta, dato che la vena si gonfiò sulla sua testa. La donna sussultò, e impallidì. Si rese conto di aver sbagliato l'ordine, e iniziò a tremare. "Hai sbagliato l'azione, di nuovo. Stupida!". L'uomo afferrò il coltello da cucina e lo piantò nella mano della moglie, che iniziò a urlare e a piangere allo stesso tempo.
La tovaglia si macchiò di sangue, e la donna cercava di staccare l'arma. L'uomo prese una pistola da un cassetto, la puntò alla tempia della donna, e sparò un colpo. "Pft... imbecille." Staccò il coltello dalla mano fredda del corpo esanime, e cercò di ripulire alla buona il pavimento.
Mise il cadavere in un sacco, e lo buttò nello scantinato, insieme agli altri sei cadaveri. Nessuno poteva rompere la sua perfezione. Nessuno.