Capitolo 1

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"Sono o non sono in ritardo?" iniziai a pensare tra me e me, sistemando freneticamente quei fogli che ho dovuto stampare circa dieci volte contate. 

Buon vento a mio favore? Mai nella vita.

Svoltai l'angolo e ritrovai gli stessi fogli fare il volo dell'angelo. Sparsi, ovunque. Dannazione.

"Ma cos è oggi? Il covo dei deficienti?" chiesi esasperata. Controllai l'orologio da polso ed ero estremamemte in ritardo, addio colloquio di lavoro.

Mi abbassai per raccogliere quei fogli ormai inutili quando sentii una voce.

"Qualche problema, signorina?" alzai lo sguardo ed era il ragazzo che mi aveva letteralmente travolta. Si tolse gli occhiali e mai avrei pensato di voler prendere a pugni qualcuno prima d'oggi.

"Qualche problema?" chiesi di rimando alzando la voce. "Mi ha solo mandato al diavolo il mio futuro lavoro, nulla di più, prosegua pure sereno!"

"Nulla di grave, menomale. Buona giornata allora" disse sorridendo per poi andarsene.

Non ci credo, se a Roma sono tutti così, preferisco tornarmene nel mio bel paesino di campagna in Lombardia.

Passarono trenta minuti ed arrivai ormai col fiatone e con le ultime speranze, dinnanzi all'ufficio dove avrei dovuto prestare il colloquio.

Quello che sarebbe dovuto essere, presumibilmente il mio datore di lavoro, rifiutò di constatare i miei progetti, zuppi da cima a fondo. Come biasimarlo. D'altro canto, risposi pienamente alle domande da lui fatte, e mi sembrò soddisfatto.

Finito l'interrogatorio, salutai cordialmente ed uscii. Chiusa la porta emisi un sospiro di sollievo. Se non mi prendono, i ponti mi aspettano.

"Era carino almeno?" chiese la mia coinquilina, nonché migliore amica, mentre preparava il pranzo.

La guardai sconcertata.

"Fai sul serio? Pensi me ne sarebbe importato?" risposi sedendomi a tavola.

"Maya quanto sei drammatica" la precedette Raffaele, il suo fidanzato.

"Senti, daje, lascia stare sta cosa, ormai è andata, te la sarai cavata lo stesso" continuò poi.

Sbattei la testa sul tavolo come risposta.

"Piuttosto, visto che sei qui da nemmeno due giorni, usciamo un po', così, per fare nuove conoscenze"

A quell'affermazione risi di gusto.

"Che hai da ridere? Ha ragione, devi abituarti a questo ambiente, tra poco sarai più romana di noi" rispose Vanessa.

"Se lo dite voi" affermai ironica.

Arrivò sera e finii di prepararmi non appena arrivò Raffaele a prenderci.

Certamente io non sono la versione femminile del Da Vinci, ma andare da single, ad una cena, insieme a due coppie, sarebbe stata la cosa più imbarazzante e insensata al mondo.

La temperatura era ancora abbastanza calda, col mio vestito color curcuma mi sentivo a mio agio, decisi così di non portarmi appresso una giacca.

Arrivamo al ristorante e ci sedemmo, con mie lamentele annesse.

"Ma chi sono quegli altri due? David e Victoria Beckham? Passa un altro po' e siamo pronti per la colazione" azzardai spazientita.

"E smettila un po', sono qui" sussurrò Vanessa ammonendomi.

"Ciao ragazzi" salutò lei entusiasta. Sorrisi falsamente ed alzai lo sguardo. Doveva proprio essere una barzelletta.

"Ancora tu?" chiesi sorpresa. Il ragazzo mi sorrise, uno di quei sorrisi orticanti.

"Vi conoscete?" chiese curioso Raffaele. Lo ignorai, avrebbe capito.

Mi sedetti scocciata e stetti zitta, per la gioia di tutti.

Mancava solo il dolce, mangiai poco e niente. Ero troppo ansiosa e stressata. Gli altri si persero in chiacchiere, mentre io non facevo altro che guardarmi intorno, irritata.

"Ma che è, te sei dimenticata il tuo Aladdin nella lampada?" chiese d'un tratto il signorino. Ci mancava solo la battutina.

"Niccolò!" lo ammoni la sua fidanzata. A cuor leggero pensai con che coraggio stesse con un essere così fastidioso. Poverina.

Lo guardai inarcando un sopracciglio. Chiusi gli occhi per un instante e mi alzai con cautela.

"Basta così. Ragazzi, quando siete pronti, vi aspetto fuori" mi rivolsi ai miei due amici, per poi uscire.

Dannazione, se c'è qualcosa più bipolare di me, credo sia il tempo. L'aria era gelida.

Camminai non troppo distante dal ristorante e mi appoggiai al muretto.

Ad un certo punto sentii dei passi, rifiutai di voltarmi sperando non fosse chi avevo in mente.

"Eddai, stavo a scherzà, che te la prendi a fare?" chiese appoggiandosi al muro vicino a me. Rifiutai di rispondere.

"Ma siete tutti così voi del nord? O voi dell'Asia? Non so come classificarti, si sa mai che te incazzi di nuovo, permalosetta"

"Si, sono permalosa, non sai quanto" risposi staccandomi dal muretto per mettermi davanti a lui.

Era vero, sono troppo permalosa, me la prendo per le cose più futili. Il problema è che sono troppo sensibile, e maschero questa sensibilità con l'essere scorbutica.

"Ah zi, certo che hai scelto bene il tuo percorso di studi. Te ce vedo proprio a litigare in parlamento" constatò ridendo.

"Sì ridi, è questo che fanno i giullari" azzardai.

"No, guarda che mi offendi così!" alzai gli occhi al cielo sfregandomi le braccia. Faceva proprio freddo.

Il giullare era intento ad usare il cellulare e celava il silenzio.

Dopo un po' lo rimise in tasca e mi guardò. Si tolse la giacca di jeans che indossava e la poggiò sulle mie spalle.

"Federica mi aspetta dentro, ci si vede in giro, permalosetta" disse per poi tornare dentro.

"Imbecille" sussurrai.

"È stato un piacere anche per me" urlò senza voltarsi.

"Cazzo" imprecai. Dannata Roma.

Divergenze stabili| Niccolò MoriconiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora