Capitolo 8

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Ogni volta che me lo ripeteva i tasselli del mio cervello si smistavano, come chi distrugge il proprio puzzle perché non riesce a concluderlo a causa della confusione.
Ero così, confusa.
"Smettila di ripeterlo"
Il tempo stava iniziando a diventare pessimo, l'aria era gelida.
"Meglio tornare a casa" iniziai ad incamminarmi ma non sentendo i suoi passi dietro ai miei, mi fermai, voltandomi verso la sua direzione.
"Non finché non me lo dici" rispose avvicinandosi.
"Dire cosa?" chiesi non capendo.
"Quello che pensi di me"
Distolsi lo sguardo dal suo viso. Sapevo che la sua domanda mirava ad altro, ancora una volta.
Cosa dovevo dirgli? Che ogni volta che lo vedevo il mio cuore accelerava? Oppure quanto mi piace vederlo sorridere, o magari quanto mi piacciano le sue mani? O meglio ancora che stavo iniziando a provare qualcosa per lui?
Dovevo dirgli questo?
"Niccolò, non mi piaci" dissi diretta, pentendomene amaramente.
Lo vidi annuire sorridendo, la mia credibilità era pari a zero, ma cercai di essere il più convincente possibile.
"Va bene"
Fu tutto quello che disse, prima di salire in macchina.

La mattina seguente mi svegliai tardi e svogliata. Ho sempre avuto l'abitudine di alzarmi insieme ai primi raggi solari, equilibrando il mio stile di vita, ma oggi era come se un masso fosse seduto sopra di me; mi. sentivo fiacca e debole.
In televisione stavano dando le solite notizie propagandiste; scocciata, spensi l'aggeggio.
Ero sola in casa e nonostante il silenzio tombale la mia testa martellava in continuazione. Decisi così di prendermi, contro voglia, un'aspirina.
Stavo cercando di pensare il meno possibile a ciò che successe la sera prima, ma continuavo a ripetermi quanto fossi stata ingenua a comportarmi in quella maniera. Quando si è orgogliosi, si fa di tutto pur di mantenere la propria reputazione, ed io, purtroppo, facevo parte di quella cerchia.
Il rumore della porta mi risvegliò dai miei pensieri. Mi alzai prontamente dal divano per aiutare la mia amica a raccogliere la spesa.
"Diamine, hai una pessima cera" mi guardò sconvolta mentre posava gli alimenti sul tavolo.
"Già" la assecondai.
"Quindi non verresti con noi sta sera?" chiese fermandosi.
"Dove?" domandai non tanto curiosa.
"È il compleanno di un amico di Raffaele, pensavo sarebbe stata una buona idea andarci" l'idea non mi entusiasmava molto, ma dovevo chiarire con Niccolò e si sa, dove c'è Raffaele, c'è lui.
"In effetti mi farebbe bene svagarmi un po'" risposi sorridendo.
"Così ti voglio" affermò abbracciandomi.
Arrivata sera ebbi l'occasione di conoscere il festeggiato, Andrea. Sembrava un bravo ragazzo e mi aveva fatto un'ottima impressione.
Nonostante ci conoscessimo da pochissimo, mi trattò come il resto dei suoi amici.
Niccolò era qui nei paraggi, ci scambiammo vari sguardi, nulla di più. Subito il pensiero di scusarmi con lui svanì. Se non importava a lui perché avrebbe dovuto importare a me?
Cercai solo di divertirmi e lasciarmi andare.
La serata finii in modo strano. Quasi tutti erano ubriachi marci, tranne forse chi doveva guidare, infatti Raffaele era più che sobrio, al contrario di Vanessa che sembrava aver perso ogni suo neurone.
"Meglio che la porti a casa mia" mi spiegò Raffaele. Lo assecondai, anche perché non sarei riuscita a tenerla a bada.
Una volta che il locale diventò deserto, uscii. Erano le due e mezza del mattino.
Cercai le chiavi di casa nella borsa e poco dopo mi ricordai di averle date a Vanessa. Mi maledissi per la mia sbadataggine, portandomi una mano sulla fronte.
Mi guardai intorno disperata, poco dopo sentii qualcuno fischiettare.
"Sei ancora qui?" sentendo quella voce mi tranquillizzai. Mi girai di scatto verso la sua direzione.
"A quanto pare" risposi distogliendo lo sguardo. Cercai di dimostrarmi il meno noncurante possibile, ma dentro di me speravo di non rimanere sola.
"Beh, come mai? Aspetti il principe azzurro?" ridacchiò. Lo guardai di sottecchi.
"Hai cinque anni?" chiesi per la sua pessima battuta appena fatta.
"Può darsi" confermò facendo spallucce.
"Raffaele ha portato a casa sua Vanessa perché troppo ubriaca e le chiavi di casa nostra sono rimaste nella sua borsa" riepilogai.
Annuì mettendosi le mani in tasca.
"Quindi, che si fa?" chiese. Scossi la testa guardandomi in giro confusa.
"Non lo so"
"Vieni da me" lo fissai come se avesse appena confessato di essere il colpevole di un presunto omicidio.
"Tranquilla, non te magno" aggiunse poi ironico.
Fui scettica all'inizio, ma alla fine cedetti. Non sarebbe successo nulla di male.

Casa sua era proprio come l'avevo dedotta: confusa e disordinata, ma allo stesso tempo trasmetteva un senso di pace.
"Un po' di vino?" chiese versandosene un po' nel bicchiere.
"A quest'ora?" chiesi sorpresa.
"Un buon bicchiere de vino non richiede orari" ammise sorseggiandolo.
"No grazie, ho bevuto abbastanza"
"Che hai bevuto? Succo alla pesca?" rise.
"Senti se il tuo scopo è prendermi in giro tutto il tempo, allora ciao" feci per andarmene ma mi bloccò l'uscita di scatto.
"Daje sto a scherza" mi misi a braccia conserte.
"Okay, prometto di non fare più battute" continuò alzando le mani in segno di resa.
"Vieni, ti mostro la camera" si avviò verso il corridoio ed io lo seguì a ruota.
"Tu dove dormi?"
"Sul divano" rispose prendendo il suo cuscino.
"Sul mobile c'è una maglietta, se vuoi stare più comoda" continuò. Annuii in risposta.
Passata una decina di minuti ritornai in sala, lo trovai a fumare una sigaretta. Storsi il naso, senza dire nulla questa volta.
"Non voglio che tu dorma sul divano, vai pure in camera" dissi avvicinandomi a lui. Spense la sigaretta nel posacenere e sbuffò l'ultimo alone di fumo.
"Non sono io l'ospite"
"Si, ma è casa tua"
"Facciamo una cosa, chi arriva prima in camera dorme sul letto" suggerì alzandosi. Annuii.
Al mio tre nessuno dei due osò correre seriamente. Era furbo quanto me.
"Dai ma così non vale" mi lamentai.
"Okay, dividiamoci il letto e basta" contestai stufa.

Erano le tre e mezza e il sonno non voleva abbracciarmi. Sbuffai.
"Non riesci a dormire?" chiese d'un tratto. Pensavo che almeno lui stesse dormendo.
"No" confessai.
"Ti starà pensando Andrea" disse divertito.
"Come scusa?"
"Non ha fatto che parlare di te per tutta la serata"
"E tu non hai fatto che provarci con dieci ragazze al minuto" dissi senza rendermene conto. Mi tappai la bocca sperando non dicesse nulla.
"Ora ho capito, sei gelosa" sgranai gli occhi e mi voltai verso di lui mettendomi a pancia in giù.
"Ti sbagli"
E invece non si sbagliava. Più che gelosa, vedere tutte quelle belle ragazze mi faceva sentire inutile.
"E allora cosa?" chiese in modo serio.
Non dirlo, non dirlo, non dirlo "Non capisco allora che motivo c'è di starmi dietro quando puoi frequentarti con ragazze fantastiche" l'ho detto.
"Perché io voglio te, e tenterò fino a che pure tu mi vorrai"

Divergenze stabili| Niccolò MoriconiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora