Capitolo Quattro, parte prima

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La sveglia suonò alle sette in punto. Aprii gli occhi immediatamente mentre il dolce suono delle onde arrivava alle mie orecchie. Non mi mossi, rimasi qualche istante così, immobile, ad ascoltare quella melodia. Non ero una di quelle persone con il sonno pesante, mi bastava un respiro e immediatamente venivo riportata alla realtà. La sveglia, infatti, era un mite scrosciare del vento che porta l'acqua sulla riva e poi egoisticamente se la riprende. Niente trombe, niente campanelli d'allarme, solo il rumore del mare. 

Avevo calcolato di essere pronta in mezz'ora. Lentamente scostai le lenzuola dal petto e misi i piedi nella grandi ciabatte pelose. Accesi l'abat-jour sul comodino, vicino al libro che stavo leggendo in quel periodo e raggiunsi la mia enorme cabina armadio. Enorme è ironico, ovviamente. Mi misi in testa di scegliere qualcosa di carino da mettere. Vado a scuola con Harry, pensai. Dopo dodici minuti passati a guardare i vestiti appesi, mi ricordai che dovevo indossare la divisa scolastica e improvvisamente un senso di pura vergogna mi percorse parte a parte il petto. Quasi sudai freddo e mi sentii parecchio in imbarazzo di aver avuto quel pensiero, poi, sotto i baffi, risi silenziosamente di me stessa pensando a quanto sciocca fossi e non diedi più importanza o peso alla cosa. Erano le sette e tredici.

Mi ero fatta una doccia la sera prima, quindi mi lavai velocemente a pezzi, indossai la divisa che consisteva in una camicetta bianca sotto un maglioncino nero, scollo a V, con lo stemma della scuola sul cuore, gonna al ginocchio nera, calze nere e scarpe...sempre nere. Quella volta optai per delle ballerine. Ne avevo una collezione infinita (nel corso degli anni fortunatamente il piede non mi era cresciuto).

Scesi a fare colazione e sulle scale mi ricordai che mi ero già lavata i denti. Mi maledissi dicendomi che la mattina seguente non me lo sarei dimenticata, ma facevo così ogni mattina, perciò...

Erano le sette e ventiquattro minuti e, indovinate un po'?, ero già in ritardo.

In cucina nonna aveva preparato una colazione abbondante, in più quella mattina, papà aveva comprato i cornetti e l'odore prometteva proprio bene, come l'aspetto d'altronde. Niente colazione inglese. Famiglia italiana, colazione italiana.

"Sei in ritardo", disse mia madre atona. Poi aggiunse: "Caffé o cacao nel latte?". Latte caldo, biscotti e cornetto. Addio mondo.

"Caffé, grazie. E lo so, sono in ritardo, ma non serve che mi accompagni, vado con Harry.". Mi pentii nello stesso istante in cui pronunciai il suo nome.

Mia madre, da che era insonnolita con il viso privo di espressione, come d'altronde la sua voce, si accese come un albero di Natale. "VAI CON HARRY!", esclamò. Poi guardò il resto della famiglia che la osservava come fosse una pazza uscita ancora più di senno del solito e si ricompose. Si stirò la camicia verde militare con le mani ad occhi chiusi, e quando li riaprì e parlò, il suo tono era sceso di qualche ottava, mantenendo sempre l'eccitazione originale. "Lo nomini spesso, ultimamente...", cominciò a insinuare.

"E' vero, posso confermarlo", si aggiunse mia nonna.

"E questa cosa non mi piace affatto", s'ingelosì mio padre. Mia madre rise.

"Giorgia ha il fidanzato!", cominciò la sua cantilena Fabio, mio fratello.

"Smettila, tu. Non cominciare", lo zittì permalosamente senza farlo finire.

"Giorgia non essere scorbutica con tuo fratello", mi disse nonna.

"E allora fatelo smettere!"

"Vuoi metterti allo stesso livello di un dodicenne?", mi fece osservare tranquillamente mio padre.

"Magari dimostrasse i dodici anni anagrafici, padre", pronunciai l'ultima parola in modo duro.

"Piantala, Giorgia, dai", intervenne mia madre.

Don't let me outDove le storie prendono vita. Scoprilo ora