2. Amy

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Il sorriso di Amy coinvolge anche lo sguardo. È raggiante quando mi abbraccia forte.

« Cavolo, non ci posso credere che tu sia tornata! » Le sue mani mi accarezzano ritmicamente la schiena mentre cerco di restarmene inerme sperando l'immediato distacco. Non che non mi faccia piacere ricevere questo benvenuto da parte sua, ma non so quanto in realtà sia cambiata in questi quattro anni. Il suo profumo è inebriante e la capigliatura morbida mi accarezza la guancia.

Fingo un sorriso e con una leggera pacca sulla spalla, sciolgo il nostro abbraccio. Mi fronteggia, più bassa di almeno cinque centimetri. I suoi occhi grigi si specchiano nei miei, alla ricerca di qualche emozione. Non sono brava a mentire, è quindi facile capire quel che sto provando in questo momento. Timore, panico, imbarazzo. Si mischiano tra di loro, facendomi sentire fuori posto, in un terribile disagio. Anche se ho imparato a gestirlo.

« Allora? Come stai? Sei cambiata tantissimo! » Continua a domandarmi notando il mio assordante silenzio. Deglutisco, per poi sistemarmi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Mi scruta curiosa, chiedendosi chissà quante cose. Ed io sarei capace di rispondere a tutto? Sarei capace di dire la verità?

Decido per la via migliore.

« Non sapevo come avvisarti, in realtà. Non sapevo neanche se ti ricordassi di me. » La mia voce esce bassa, rauca, come se non parlassi da tempo. Amy continua a sorridere, peccato che io non sia altrettanto raggiante.

« Già, avrai perso il mio contatto anni fa. » E' il suo modo di dirmi che sono sparita senza neanche avvisarla? Che avrei potuto almeno mandarle un sms e informarla di essermi trasferita a New York ? Effettivamente non ci sarebbe stato nulla di male, ma i miei genitori mi hanno proibito qualsiasi contatto con le vecchie amicizie, sincere o meno che fossero.

Ma lei continua a parlare, mettendo da parte quel vecchio rancore.

« Non importa comunque! Sono felice che tu sia di nuovo qui. Dove sei stata fin ora? » Sollevo le spalle, come se la cosa avesse poca importanza.

« Ho frequentato il liceo di Brooklyn. Ci siamo trasferiti lì per motivi di lavoro. Ma ora mio padre ha ricevuto il trasferimento qui, e cosi siamo tornati in maniera stabile questa volta. » Quante bugie riuscirò a mettere in piedi? A quante persone dovrò raccontare la stessa, odiosa, versione?

Non posso certo dirle che sono scappata per andare in terapia, per guarire da tutto quello che lui mi ha causato. Non posso dirle che i miei genitori hanno sofferto assieme a me, che hanno usato tutti i loro risparmi per la mia ripresa? E che io dovrò fare in modo che ne sia valsa la pena?

Come si fa a raccontarlo al primo giorno di scuola, dopo quattro anni di assenza totale?

È semplice, anzi semplicissimo: non si può. Si finge una costante bugia che regga nel tempo. Amy sembra crederci, anche se non posso esserne certa. Arriccia un dito attorno ad una ciocca di capelli biondi.

« Dev'essere difficile cambiare scuola. Ricominciare da capo, abituarti a nuove persone e poi tornare indietro, giusto? » Annuisco lentamente, senza dirle quanto in realtà abbia ragione.

« Tu come stai? Quante cose sono cambiate da quando sono andata via? » Stupida la mia domanda; quattro anni non sono un mese o due. Lei mi guarda, evidentemente pensando la stessa cosa che ho pensato io. Ma è talmente gentile da non farmelo notare.



« Io sto bene, e sono cambiate tantissime cose, si. » Rimane qualcosa in sospeso, che nessuna delle due riesce a dire. Mi sento ingessata ed Amy sembra essere in imbarazzo. È causa mia, è sempre causa in questi casi. Riesco ad ammutolire le persone per colpa della mia totale indifferenza. È un fattore su cui io e Bianca abbiamo lavorato parecchio. Cosi faccio come mi ha sempre detto lei. Rilasso i muscoli facciali, svuoto la mente e mi concentro sulla persona che ho davanti.

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