maybe we should just try to tell ourselves a good lie

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Storia n.4

Fissa lo specchio rotto con occhi fiammeggianti, i pugni stretti e macchiati di sangue, la mascella contratta in una smorfia di rabbia che conosco bene, ma che ancora mi spaventa. Io non mi muovo, non indietreggio, non respiro neanche, per paura che lui mi senta, che mi colga così, a spiarlo da dietro una porta socchiusa.

Poi finalmente distoglie lo sguardo, si ricorda di sbattere le palpebre, di prendere fiato. Il rumore del sangue che cade sul pavimento di mogano mi fa impazzire, un ticchettio che serve solo a ricordarmi la sua sofferenza, so cosa sta pensando ora: quel corpo non gli appartiene, gli è estraneo, e non sopporta la pelle senza cicatrici e gli occhi cosi limpidi, privi di peccato.

Quando si lascia cadere sul letto sussulto per la sorpresa, il tempo si ferma e io spalancò gli occhi, terrorizzata; lui si volta lentamente, con la massima circospezione, come si fa con un animale spaurito per non farlo scappare.

E io lo vedo, l'odio dentro di lui, verso il mondo, verso di me, ma soprattutto verso se stesso.
Lui lo sente, che c'è qualcosa di profondamente sbagliato nell'essere umani, così fallibili, così fragili, assoggettati da una società che non è né cieca ne sorda, ma che non vuol vedere e non vuol sentire.
Nel suo sguardo c'è un urlo disperato, la richiesta di un aiuto che non riesce ad accettare.

Quando i suoi occhi si fanno lucidi abbandono ogni accortezza e tutto il mio buonsenso, spalancò la porta e passo dopo passo mi avvicino a lui, che contro ogni previsione si lascia sfiorare, gli poggio una mano sulla spalla, sento la pelle bollente sotto il tessuto della maglietta.
Vorrei parlare ma sento di non esserne in grado, invece gli siedo accanto, spettatrice immobile di un terrificante spettacolo.

Il mio sguardo vaga per la stanza, si posa su ogni cosa: la finestra aperta, gli alberi spogli fuori, il vento che muove i rami in una triste danza, la scrivania ordinata in modo ossessivo, la giacca di jeans appesa sul muro bianco e poi lo specchio, frammenti di noi che si riflettono distorti e fatti a pezzi su quella superficie irregolare, e allora prendo coscienza della solitudine con cui lui guarda il mondo, della rassegnazione con cui ha accettato un'altra versione di sé stesso, dopo esser stato lacerato da una guerra che si combatte dentro di lui e che non potrà mai vincere.

Con un sospiro gli poggio la testa sulla spalla e mi arrendo lui, ad ogni parte di lui.
Lascio che il suo dolore ferisca anche me.

END.

"Leave me a ⭐️"
Latte e biscotti a tutti ✌🏻

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