Capitolo 40

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La neve smise di scendere mentre si poggiava fuori sulla finestra. Aveva imbiancato le fredde strade di Londra e aveva roteato insieme con l'aria provocando un urlo mostruoso. Una bufera di neve stava per essere invocata fuori dalle pareti, non consentendo ai bambini di creare pupazzi di neve o delle lotte tra di loro; non era quel tipo di neve.

Avevo dimenticato da tempo che mese fosse mentre quest'ultimi erano trascorsi fuori dalla finestra dell'ufficio di Kelsey. Era Novembre? Dicembre? Non lo sapevo e non aveva importanza. Faceva semplicemente freddo.

Il Wickendale aveva mantenuto il suo riscaldamento che era quasi adeguato per tenere i pazienti al caldo. E nonostante ciò, a volte il riscaldamento lasciava le pareti e l'aria all'interno di esse fredde per il rigido mondo invernale. I reclami venivano fatti per alzare il riscaldamento piuttosto che abbassarlo.

Ma in questo momento, proprio in questo secondo, il mio corpo iniziò a sudare. Sentivo delle frustate di calore attraverso tutto il mio corpo come il fumo di una sigaretta. Iniziò dal mio cuore e con ogni pompata si intrecciò in tutti i modi alle mie dita e alle mie gambe. Un incendio ruggì nel mio cuore ed un caldo bruciante, come quello del tridente del diavolo, si intrecciò attorno ai miei polmoni, rubandoli il respiro. Era come se la mia schiena fosse in fiamme, il caldo fumante stava tirando i miei muscoli finché non divennero tesi da far male. Non riuscivo a parlare. Non riuscivo a respirare. Non riuscivo a pensare.

E conoscevo la sensazione. Era rara e sconosciuta, ma la conoscevo. Era la stessa sensazione che avevo avuto quando avevo saputo della morte di Emily. Panico. Beh, panico e rabbia.

Non ero un uomo di bontà e avevo fatto delle cose delle quali non ne andavo fiero. Ma se c'era una cosa buona che avevo fatto in questo mondo, era aver amato Rose con tutto ciò che avevo. Diavolo, lei era tutto ciò che avevo. Nessuna famiglia, nessun possedimento, nessun denaro. Solo lei. E ora forse il Wickendale stava portando via anche lei insieme al mio ultimo pezzo di sanità mentale. Così fui preso dal panico.

Immediatamente fui in piedi. Non ricordavo di essermi alzato. I miei occhi analizzarono la stanza in cerca di indizi su ciò che fosse successo negli ultimi secondi. Libri di psicologia erano sparpagliati e aperti a terra. Penne e matite erano sparse sul pavimento e dei fogli di carta giacevano disastrosamente tutti intorno a me. La mia gola era secca e stavo respirando irregolarmente. Non ricordavo molto i secondi precedenti, ma lentamente riuscii a ricordare dei flash e delle immagini fugaci delle mie mani, anche se trattenute, colpire violentemente gli oggetti dalla scrivania di legno e riuscii a ricordare le grida fuoriuscire dalle mie labbra. Non ricordavo esattamente cosa avessi detto, ma probabilmente includeva la parola 'cazzo' e tante altre volgarità.

La porta fu improvvisamente spalancata e Brian vi entrò. "Stai bene?"

Non stava parlando con me anche se i suoi occhi erano fissi su di me. Afferrò il mio braccio, sul punto di trascinarmi via dalla stanza senza una risposta.

"No!" disse Kelsey quando ci stavamo allontanando. "È tutto apposto, è stata colpa mia. Lui sta bene. Io sto bene. Lo porterò fuori quando finisce la sessione."

"Sicura?" Chiese Brian.

"Sì," sospirò Kelsey, forzando un sorriso.

Lui non sembrava del tutto convinto. Ma dopo avermi rivolto più di uno sguardo scettico e dopo aver esaminato la stanza, chiuse finalmente la porta.

Guardai Kelsey che stava frettolosamente raccogliendo le sue cose e provai un senso di colpa. Poteva non piacermi ma questa non era colpa sua. Ci stava persino aiutando a fuggire.

"Mi - mi dispiace," borbottai. E lo ero. Ero così arrabbiato con la Signora Hellman, con James, con il Wickendale e con me stesso, ma nonostante tutto, non era assolutamente colpa di Kelsey.

Psychotic [h.s.] (Italian translation) *EDITING*Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora