I/ Delirio di Tilia

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I.
di un desiderio di schianto e di capelli di salice su cui piangere.
(Tilia e Salix)

Una giovane Saffo dominava la scena
sotto un cielo appisolato.
Bramava l'eterno; era l'invidia dei grandi amanti,
e una dei grandi vuoti parlanti.

Delirava alle rose, e ai cieli rossi come il sangue
che si toglieva con le unghie.
Irrigava le foglie e le spine; poteva dire di essere in tinta con i tramonti d'aprile.

‹‹Giacere qui, all'ombra dei sospiri; giacere l'eternità,
offuscare il groviglio dei vivi

dell'eros mal domato nel silenzio dei Giardini!
Potesse vedermi, capire;
giacché io la vedo anche dove ella non è,
per fato o scherzo del cuore.

Il senno si perde tra i rami. Come farò?
Un giorno dovrò finirmi in queste Selve.
Bucarmi le sporche mani, dai rami cadere,
spezzarmi il collo.

Schiantarmi,
cento volte schiantarmi fino al massimo crollo!
Fino a non sentirmi».

Un orecchio vagabondo prestò il cuore ai lamenti,
un occhio per l'empatia ed una ciocca di capelli,
ad asciugare il sangue e le lacrime della giovane.

«Cosa turba le tue mani a tal punto da sanguinare, abitante del Giardino?»

«Stupide ed eretiche divagazioni di cuore.
Non hai forse sentito i miei lamenti e compreso le mie parole?»

«Non dissimulare amica, il Giardino
non carpirà testimonianze di un povero vagabondo in cammino».

«Qual è il nome del caro ragazzo
che offre i capelli a colmare pianti?»

«Il nome è Salix, e sono detto Triste. Un girovago che offrirebbe ancora ciocche su cui piangere sentendo tanto dolore».

«Non compatirmi, non sollevarti per me,
non merito la tua pietà né quella di altri.
Sono Tilia Innamorata, e sotto i tigli
e le notti aspetto la morte».

La Confusa mugolava rosicchiando le sue mani, ormai ruvide casette per chiunque e nessuno, sempre unite dall'insofferenza.

Quelle dell'altro pallide e antiche,
affusolate in protezione di una depressione sottile
che non avrebbe mai spezzato.

Le loro mani,
le loro paure.

Restavano così, le une nelle altre,
incassate a fermare ora i pianti, ora il sangue.

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