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Nel diradarsi dell'Appennino campano vi è da secoli e vi è ancora un grappolo di case che sembrano mimetizzarsi nella roccia. E ne stanno prendendo la forma. Adagiate sul crinale che dalle catene calcaree degli Alburni scende gradualmente verso la costa, questo manipolo di vecchie abitazioni è completamente arroccato nel verde, isolato, attorniato da dolci saliscendi collinari. La pace e il conforto di questi rilievi ha suggerito negli anni dei Longobardi di costruire i primi insediamenti. Tra questi dolci e argillosi pendii la solitudine e la quotidianità hanno segnato secoli di agricoltura e latifondismi.
Una comunità autosufficiente dal punto di vista economico, alimentare, ma soprattutto sociale.
Tempo fa il contadino nella piazza offriva al mastroferraio i prodotti della sua terra per rinsaldare gli scarponi; in quella piazza trovava tutto quello di cui aveva bisogno per sentirsi parte di una comunità: giravano le notizie, nascevano gli amori, il pazzo del villaggio portava a passeggio scatole di latta.
Fuori dal paese, fuori dalla comunità, c'erano i parenti lontani, le voci delle guerre passate, le autorità burocratiche, nulla più. Solo echi e racconti intorno al fuoco, e i verdi e placidi monti, null'altro. La comunità del paese si nutriva di se stessa, delle proprie notizie e delle proprie memorie. I contatti dall'esterno erano pochi. Il tutto rafforzava la coesione e la quiete.
Questo finchè un violento terremoto scosse l'animo del paese, ne devastò la comunità e, in questo singolare caso, portò all'abbandono totale del villaggio.
E così in questo paesino, che si chiamava e si chiama Romagnano al Monte, tutto è rimasto come era allora. La polvere, le strade, le buche e le macerie delle abitazioni costruite con i sassi del promontorio, che la collina si sta pian piano riprendendo.
Tra le distese di faggi e la quiete, il villaggio fantasma è ancora là, andate pure a vedere.
L'ingresso al paese, da quello che Matilde ricorda da quando era ancora bambina, appare dopo una lunga serie di tornanti al cui termine c'è un lampione vecchio almeno novant'anni. E una casa dal tetto sfondato apre nuovamente la vista su tutto il promontorio di ruderi.2.
Il gioco degli specchi della piccola auto svela con uno scintillio l'impercettibile linea, monile d'argento che quasi si fonde col suo bianco collo, e tanto le dona.
Matilde tiene stretto a se quello che aveva rifiutato poche ore prima. Un atto che ben cela la contraddizione, ciò che tanto pesa nei suoi attimi di infelicità. Tutto si muove intorno a lei, l'asfalto scorre dietro le sue guance rotonde.
Ferma è solo una persona e seduta al posto del passeggero, e fermo è il suo sguardo sulla collanina.
L'amica. Lei ben sa che quella collanina è frutto del sudore di una famiglia, di un padre e una madre, poi nonno e nonna, e adesso niente più, fotografie su due lastre di marmo. Il sudore dei nonni di Rocco, le rimesse dall'America: dopo il loro lavoro il padre era a capo di un'industria, grazie al loro sacrificio l'azienda dà da vivere a decine di persone.
Presto Rocco sarà chiamato a gestirla, a fare le veci dello stanco padre, e poi altre collanine d'argento, pensa il nostro passeggero. L'amica.
La chiameremo l'amica, come tutte le amiche che restano sempre là, accanto alla ragazza che ti piace, e non spariscono mai neanche quando lo desideri con tutte le tue forze. Perchè quello è il loro ruolo.
Le amiche sono anonime, sono esseri insignificanti, le cataloghiamo tra gli addetti alla sicurezza alla parata dei politici,le consideriamo come le foglie decorative nei piatti degli chef. Spesso sbagliando, e lo sappiamo.
Potrebbero celare grandi talenti,nascondere amore, o altre infinite fonti di stima. Ma noi in quei momenti vorremmo semplicemente non fossero lì, e le disprezziamo per questo.
Eppure l'Amica era lì, affianco a Matilde.
E rimarrà lì per tutto il pomeriggio, precludendomi prima e seconda serata di ogni remota possibilità per realizzare ciò che adesso sapete (spoiler alert) che non si realizzerà.
Anche se non piove e non è primavera, il cielo è scuro.
Matilde non dovrebbe essere lì, ha un esame, uno degli ultimi. Negli ultimi tempi l'angoscia l'avvolge prima degli esami, vede il futuro e lo vede poco chiaro, teme di inciampare ad ogni passo, anche al più piccolo. Prima o poi le passerà.
Sogna di non riuscire a proferire parola davanti alla commissione.
Preferisce perdersi, come sta facendo adesso, tra montagne e suggestioni, tra alberi e nient'altro, tra mandrie di pecore come quella che gli si è appena parata davanti. Pecore, cani, pastori, gli sbuffi dell'amica.
Niente le blocca il percorso, Matilde respira perchè si vede allungata la strada verso quell'attimo di serenità.
Tiene stretto il volante. E' in coda con la sua macchina, ascolta da Spotify chi le chiede:
"Chissà dove sarai,finalmente risolta, forse già innamorata, forse ancora una volta.Chissà dove sarai, e se ti basta così".
Le verrebbe da chiudere gli occhi e lo farebbe. Ma non lo fa, per non interrompere quel felice attimo, per non infrangere il silenzio con un artefatto, un'impurità. La voce dell'amica.
La meta è un piccolo villaggio fantasma, abbandonato dopo un terremoto e ricostruito a pochi chilometri di distanza. Romagnano. E questo paese è lì dietro la mandria, dietro quelle montagne. E' lì fermo nel tempo, in bianco e nero,senza la dinamicità degli affari umani, senza respiri che ne contaminino l'aria. E' un insieme di case diroccate, un residuo della civiltà, il lascito di generazioni contadine, affrancate e serene, oneste quanto ancestrali nei loro volti.
E come lei lo sappiamo. Non sono aggettivi disseminati al vento,non sono descrizioni campate in aria. Quelle persone le abbiamo viste nelle foto, nella foto di Matilde. Ne abbiamo sentito parlare dai nostri nonni, dei loro padri, dei loro avi.
Matilde guida verso tutto questo.
L'amica più che altro si lascia guidare verso un po' di pace e di serenità, se le va bene. Oppure verso qualche foto da mostrare sui social. Per guadagnarsi qualche secondo del tempo degli altri, qualche attimo nella loro testa.