11.
Mentre camminavo per i tornanti che faticosamente risalivano dalla Romagnano vecchia al nuovo paese, alle macchine, al presente, non potevo trattenermi dal pensare che sottile affinità ci fosse tra me e Matilde.
S'intenda, m'era già capitato diverse volte. Sarà capitato a molti di voi. Ma ognuna di quelle volte c'erano state tante parole di mezzo, e spesso i fumi dell'alcool. Questa volta no.
Succede di trovare una perfetta affinità nell'incontro con un'altra persona (non parliamo qui di affinità sentimentale, ma elettiva e naturale; forse anche sessuale, ma non sentimentale). Non spesso ma succede. Questo tipo di relazione a me è toccata diverse volte, molto spesso in serate matte nelle capitali europee o negli anni dell'università. In poche ore ci si annusa, come gli animali, ci si apre all'altro con gli occhi e, come gli esseri umani, si stabilisce un linguaggio comune. Si arriva alla comunione dei pensieri, ai sorrisi e (nell'eventualità dell'attrazione sessuale) ad un bacio. Nel migliore dei casi si si finisce a letto. In poche ore, soltanto poche ore, una relazione tra due persone si consuma e brucia come un fazzoletto. Poi per caso o per errore sopravviene un inaspettato allontanamento.
Ed è proprio questa improvvisa, definitiva separazione a legittimare la perfezione del rapporto: esso rimane solo in potenza perfetto, e quindi quanto di più vicino alla perfezione possa esistere.
Facevo attenzione a non pensare troppo rumorosamente perché lei era pur sempre affianco a me, e continuava a rivolgermi la parola, ammirata non so bene per cosa. Dai pochi racconti che le avevo fatto doveva aver preso a considerarmi alla stregua di un Robert Falcon Scott dell'europa continentale o di un guru indiano capace di levitazione medianica.
La sua amica intanto ci seguiva a ruota, stanca come poche volte in vita sua.
Chissà se Matilde stava pensando le stesse cose, chissà se anche a lei erano capitati gli stessi eventi, se lei sentisse questa affinità. Avevo modo di sospettare che qualcosa la frenasse.
Non conosco le donne. Ma quel qualcosa non poteva che essere un'altra persona, quel ragazzo che non le consentiva di viaggiare, forse.12.
La vista perfetta sul borgo abbandonato si trova a metà strada. Una struttura simile ad un avamposto militare ai confini col mondo ribelle è nascosta tra i tornanti, ma il suo tetto è una piatta piazzola grigia su cui si può godere di una magnifica vista.
Nè io né Matilde avevamo fretta e poi bisognava aspettare l'amica che, non essendo abituata a queste fatiche, era rimasta indietro. O meglio l'avevamo entrambi lasciata indietro.
Il sole stava proprio in quei momenti per calare sull'orizzonte, molto probabilmente ci saremmo persi il tramonto per pochi minuti. Nell'attesa Matilde tirò fuori dalla tasca un vecchio foglio di giornale raccolto tra le macerie.
Matilde mi lesse l'articolo, col piglio di una presentatrice del TG1.
"Villa d'Este. Nella notte del 16 settembre 1948 un colpo di pistola troncava il silenzio del salone da ballo. Carlo Sacchi era l'ucciso. Pia Bellentani aveva estratto l'arma dal mantello di ermellino. All'assise di Como il processo in cui un pubblico agitato da opposte simpatie ha fatto ressa per entrare. Pallida e bionda, vestita di nero, la vedova Sacchi affronta coraggiosamente il processo all'amante di suo marito. La contessa Bellentani è rimasta ad Aversa e non comparirà nella gabbia vuota. Nella casa psichiatrica di Aversa la cella di Pia è lontana dagli obiettivi dei fotografi. E' lontana dall'atto di una donna che dopo l'efferato omicidio aveva provato a spararsi per amore. Nelle sue mani di donna il destino di due uomini, il Sacchi e il conte Bellentani, che vede sporcato da questo atto l'onore della sua casata"
Matilde si era in qualche modo accorta del mio sguardo assorto, col mio braccio che incrociava il suo con nostri palmi a sorreggere il peso dei nostri corpi.
Adesso potrei raccontarvi di un romantico bacio alle soffuse luci del tramonto, con sullo sfondo il villaggio e gli echi dei pastori, ma devo deludervi. A parte quegli sguardi non successe nulla.
O meglio. Il suo sorriso malinconico. Vorrei ma non posso, questa la mia interpretazione, e nessuna rivisitazione a posteriori mi ha mai fatto cambiare idea, nessun'altra plausibile supposizione.
La parentesi fu ovviamente chiusa dall'arrivo dell'amica, sudata e sfinita, e il cammino fu ripreso.
Eravamo a pochi minuti dall'ingresso alla Romagnano nuova, dove entrambi avevamo parcheggiato la macchina.
13.
I prefabbricati gialli costruiti nel post-terremoto sono ancora in piedi, e sono ancora gialli, sebbene ormai quasi disabitati.
La popolazione oggi si è spostata nei nuovi modesti casolari, attorno alla rotonda grigia, dove c'è anche l'unico bar del paese. Paese che consiste in una salita, una linea di case e poco altro. La scuola dell'infanzia è frequentata da neanche una decina di bambini tra i 3 e i 6 anni. La scuola elementare neanche esiste più, per andare a scuola bisogna spostarsi col pulmino nel paese dietro la collina.
L'arrivo in quel paesaggio suburbano e silenzioso è di una decadenza molto meno affascinante. Insomma un vero e proprio ritorno ai nostri giorni, le lancette che girano di nuovo in avanti nella macchina del tempo. Un ritorno al presente.
E qui nel presente so benissimo che devo salutare Matilde, accompagnarla fino alla macchina e credo che anche lei lo sappia.
Penso a cosa ne sarà della sua vita, di tutte le cose che non saprò mai, da lei e non solo di lei, di dove sarà stasera, domani, tra un mese.
Entrambi sappiamo che non ci rivedremo mai più. Senza fare troppi eccessive retoriche sugli attimi fuggenti, sulle sliding doors.
Tutto è nel naturale scorrere degli eventi, rivoli freddi come le acque di un torrente. Forse ci rivedremo in qualche altra occasione, forse per puro caso su una linea della metro di Roma. Troppo distanti per salutarci ancora, perchè troppo poco il tempo passato insieme.