Il rapporto malato con il cibo

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                                                                             Capitolo quattro


Da piccola ho iniziato questo strano rapporto con il cibo.

Io stavo male e lui c'era, mi faceva compagnia, non mi giudicava.

Io ero felice e lui c'era, mi faceva compagnia, mi premiava.

Non è mai stato un rapporto complicato fino a quando non mi hanno fatto notare che era come un'amante sbagliato, mi consumava, cambiava il mio umore, mi controllava.

Mi usava, esattamente come un cattivo amante, mi faceva credere che senza lui non sarei sopravvissuta, esattamente come un cattivo amante.

Più cercavo di allontanarmi da lui e più mi chiamava a se, come le sirene con i marinai.

Ci chiamano mangiatori compulsivi, a mio parere non è coretto.

Se tu fai presente a una persona normale che sei un mangiatore compulsivo lei ti giudicherà dicendo che è un tuo problema, che puoi smettere quando vuoi, che non è una vera malattia.

Esistono gruppi, in tutto il mondo, per i mangiatori compulsivi, esattamente come esistono quelli per i tossicodipendenti o quelli per gli alcolisti.

Come quelle persone, noi soffriamo di una dipendenza.

Il cibo con noi si comporta come una dose di eroina o una bottiglia di vodka, da dipendenza, ci tira su di morale ma poi la botta finisce e noi ne vogliamo altro, sempre di più, sempre meno controllo.

Mangiamo di nascosto perché la gente di giudicherebbe.

Io mi svegliavo di notte e silenziosamente andavo verso l'armadio a muro, posto magico e diabolico allo stesso tempo.

Mia madre metteva lì le mie dosi di droga.

Durante il giorno, quando nessuno era in casa setacciavo ogni millimetro della casa alla ricerca del cibo che la mia famiglia cercava, inutilmente, di nascondermi così la sera potevo andare a mangiare tranquillamente.

Quando ho iniziato ad avere dei soldi nel portafoglio è iniziata la mia lenta discesa verso l'irrecuperabile.

Compravo di tutto, qualsiasi cosa potesse appagare il mio cervello malato.

Mi mangiavo intere barrette di cioccolato, più e più volte mischiavo di tutto, salato, dolce, cibo salutare e non, tutto negli stessi dieci minuti.

Mi strafagavo.

Ero felice dopo aver mangiato, poi mi guardavo allo specchio e mi facevo schifo, così andavo in camera mia, aprivo il primo cassetto del comodino, tiravo fuori una piccola scatola portagioie, scavavo e sotto un finto scomparto in carta prendevo una lametta e mi tagliavo.

Era un periodo molto buio della mia vita e odio ripesarci perché in quel periodo ho iniziato a pensare che se avessi sostituito il dolore del cibo con dolore vero sarei stata a cavallo.

Così mi tagliavo, ogni giorno, per ogni piccola cosa.

Ogni volta che qualcosa non andava come volevo prendevo la lametta. Cosce e polsi erano straziati da quelle ferite. Alcune profonde, quando mi odiavo davvero tanto, altre più leggere, quelle erano le volte che semplicemente usavo la lametta perché ero sopravvissuta ad un'altra giornata nel mio corpo.

Ho alcune cicatrici sui polsi che non coprirò mai.

Indossavo maglioni giganti, che mi facevano sembrare ancora più grassa, anche in estate.

Ho iniziato a cercare soluzioni su internet e ho letto degli articoli che mi hanno fatto scoprire che la carenza di sonno mi avrebbe favorito una perdita di peso e questa è stata una svolta nella mia caduta verso l'oblio.

Mi ero imposta di stare sveglia due giorni consecutivi a volta e poi concedermi una notte di sonno per poi ricominciare. Mi reggevo a fatica in piedi, non riuscivo a tenere gli occhi aperti per non parlare del mio atteggiamento, sempre più irritante e irritato.

Il cibo è un grande ascendente sulla mia depressione.

Praticamente tutta a mia vita viene condizionata dal cibo.

Ogni singola particella del mio cervello è soggiogata dal cibo, lo ricerca, ne vuole sempre di più, non ne ha mai abbastanza.

Ero arrivata ad un punto in cui non sentivo neanche più la sazietà. Ero un pozzo senza fondo.

Un enorme buco nero di tristezza che esigeva essere riempito di cibo.

Ma più cibo introducevo, più ingrassavo, più ingrassavo più mi bullizzavano, più mi bullizzavano più ero triste e più ero triste più mangiavo.

Un circolo perfetto di autodistruzione.

Giulia's brainWhere stories live. Discover now