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"I feel like I'm running,
but getting nowhere."
― City of the dead, Eurielle

«Posso farti una domanda?»

Ero distesa sulla mia branda, nel dormitorio, da almeno mezz'ora. Non avevo avuto la forza di liberarmi dall'uniforme e continuavo a domandarmi se ce l'avrei fatta o se mi sarei addormentata così, esausta.

Polaris Kellen era nelle mie stesse condizioni, nella branda accanto alla mia. Le altre ragazze: alcune forse dormivano già, altre attendevano che la loro uniforme fosse pronta dalla lavanderia a due porte di distanza, quelle nei nostri paraggi ci ascoltavano parlare. Pensai che dovesse avere qualcosa di rassicurante, sentirci raccontare storie da casa.

«A tuo rischio e pericolo,» accennai un tono scherzoso.

Avevo lo sguardo perso sul soffitto, i miei occhi minacciavano di chiudersi da un momento all'altro. La domanda non giunse subito.

«Ieri sera,» cominciò poi con esitazione. «Quando... Ti hanno puntato una pistola alla testa. Cosa hai pensato?»

Tutt'a un tratto, mi parve che ogni piccolo rumore nella stanza si fosse acquetato. Era calato il silenzio e non ero sicura fosse solo una mia impressione. Mi sollevai a sedere e mi guardai attorno, incontrando una decina di sguardi curiosi rivolti nella mia direzione. Polaris non era stata tra i reclutati sul mio pullman, così come la maggior parte delle altre. A quanto pare le voci correvano più rapide di quanto avessi potuto pensare.

Mi strinsi nelle spalle e decisi di guardarla negli occhi, «Io sapevo di aver fatto la cosa giusta.»

Le mie parole aleggiarono nel silenzio, propagandosi nel dormitorio. Polaris annuì, sembrava soddisfatta della mia risposta, non ebbe altro da aggiungere.

«Non hai avuto paura di morire?»parlò una voce docile alle mie spalle, rompendo ancora una volta il silenzio.

Mi voltai a guardare la ragazza seduta sulla brandina alla mia sinistra, aveva due grandi occhi da cerbiatto color bronzo che improvvisamente mi ricordarono quelli di Sean e mi si torse lo stomaco.

«Come tutti,» risposi, forse più bruscamente di quanto intendessi. Allora sospirai. «Voglio dire, su quel pullman, durante il test tutti quanti hanno avuto paura di morire.»

Mi voltai a guardare le altre, alcune annuirono, altre distolsero lo sguardo.

«È diverso,» alzò la voce una ragazza a qualche letto di distanza da me, aveva l'uniforme infilata solo fino alla vita, la schiena appoggiata contro la parete dietro di lei. «Quello era un test, non ci avrebbe uccisi. Ma a te hanno puntato contro un'arma carica.»

«È quello che intendevo,» aggiunse la mia vicina di branda.

Non ero sicura se il ribollio crescente di rabbia dentro di me fosse a causa dell'improvviso ricordo di Sean o delle domande insistenti su un argomento che non volevo affatto affrontare. Magari entrambe le cose.

Risposi di scatto, «Sapevo non avrebbe sparato.»

«No che non lo sapevi,» ribattè l'altra.

«Lo sapevo!» alzai la voce.

«Valyrie,» il tono fermo di Polaris mi richiamò, nel dormitorio ricadde il silenzio. Mi voltai a guardarla e mi resi conto di avere il battito accelerato. «Nessuno di noi si è mai trovato nel mirino di una pistola carica. Credo solo che... sia interesse generale sapere cosa si prova.»

«Perchè?»

«Perchè è questa la nostra maledetta vita adesso,» mi giunse la risposta dall'altra ragazza.

KalopsiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora