Capitolo 3

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Vagavo per i corridoi, cercando quella che sarebbe dovuta divenire la mia nuova stanza.

-Secondo piano, terza porta a sinistra- mi aveva riferito la segretaria.

Dopo qualche minuto, trovai una porta con inciso il numero "3".

Bussai ripetutamente, finché non venne ad aprire una ragazza: aveva i capelli lunghi biondo grano e gli occhi verdi smeraldo.

Mi sorrise amichevolmente, sembrava davvero simpatica.

-"Tu devi essere Alison... Alison Stewart!"- esclamò con uno strano entusiasmo.

Annuii, disorientata.

-"Oh, giusto che sbadata"-continuò-" non mi sono ancora presentata. Sono Emily, ma puoi chiamarmi Emy!"- Mi porse la mano, che strinsi, con un sorriso a trentadue denti.

Emily mi spiegò l'organizzazione e gli orari delle varie lezioni da frequentare, dal lunedì al venerdì.

Chiacchierammo poi del più e del meno, finché una mia domanda poco appropriata, interruppe quell'aria scherzosa che si era creata.

-"Per quale motivo ti trovi in questa clinica?-" chiesi, ma mi pentii immediatamente, vedendo l'espressione di Emily rabbuiarsi.

-"Scusa, non volevo..."- tentai di rimediare, ma la ragazza scosse la testa.

-"Tranquilla, parlarne con qualcuno mi farà bene."- sorrise amaramente, iniziando a giocare nervosamente con un lembo della sua maglia.

-" Mio padre morì qualche giorno dopo la mia nascita per incidente stradale."- La sentii deglutire e la vidi stringere con più forza la sua maglia.

-"Mia madre da sola non era in grado di crescermi, credo che la mia nascita le abbia rovinato la vita: voleva portarmi in un istituto. Ma grazie alla signora Stewart sono qui, le sono davvero grata."- Sgranai gli occhi, non credendo alle sue parole.

-"Mia madre?"-

Emily annuì.

-"Proprio lei. Un tempo era la migliore amica della mia, inseparabili come due sorelle. Ha convinto mia madre a portarmi qui: sin da piccola ho sempre avuto attenzioni particolari, a differenza degli altri ragazzi della clinica. Devo tutto a tua madre, se non fosse stato per lei ora chissà dove sarei."- Mi sorrise, con gli occhi lucidi.

Era tutto così confuso, quasi non riuscivo a crederci.

-"Mi dispiace Emily."-

Lei scosse la testa, nuovamente.

-"Tranquilla, ora sono qui. Mi sento a casa, sto bene, davvero. 

                                  ***

Il giorno seguente mi svegliai stranamente di buon umore.

Il mio primo giorno ufficiale nella clinica dei miei era appena iniziato.

Insieme ad Emily mi recai nell'aula di scienze, dove avrei assistito alla prima lezione.

Le quattro ore passarono velocemente ed uscii dall'aula, stranamente felice.

Mentre guardavo l'ora sul display del mio cellulare, una voce irritante mi fece sobbolzare.

-"Oh, chi si rivede! La paladina dei deboli."- Alzai gli occhi, trovandomi davanti la figura imponente di Louis, con la sua solita espressione strafottente.

Lo ignorai, cercando di proseguire, ma mi afferrò un polso.

-"Dove credi di andare?"- domandò a denti stretti.

Tentai  di liberarmi, ma con scarsi risultati -"Mi stai facendo male, Tomlinson."- esclamai, fulminandolo con lo sguardo.

Mollò la presa, sgrullando le spalle.

-"Odio essere ignorato, tienilo a mente. Alla prossima bambolina."-

Massaggiai i polsi, sui quali si potevano riconoscere i segni lasciati dalle sue dita.

Quando rialzai lo sguardo era già sparito tra i corridoi. 

"Bambolina"?

Ma con chi credeva di parlare, con una delle sue amichette?

Sbuffai nervosamente: quel ragazzo era davvero capace di farmi perdere le staffe.

Ma in fondo volevo aiutarlo, lo volevo davvero.

Forse, il suo aspetto da duro e menefreghista, era soltanto una barriera, forse la vita era stata davvero malvagia con lui. Lo avrei scoperto al più presto.

Raccolsi la borsa, che distrattamente avevo fatto cadere e mi recai in camera: potevo approfittare dell'assenza di Emily per cercare un modo per aiutare Louis.

Ero così assorta nei miei pensieri che non mi accorsi dell'arrivo della mia compagna di stanza.

Mi sorrise gioiosamente, finchè notò i miei polsi.

-"Oh mamma, Alison! Cosa ti è successo?"- domandò preoccupata, avanzando verso di me.

-"Niente Emily, niente."- cercai di nascondere i segni evidenti, ma con scarsi risultati.

-"Niente?E tu questo lo chiami niente?"- scosse la testa, contrariata.

Sospirai, sgrullando le spalle.

-"Tomlinson e le sue manie di protagonismo."- sussurrai, come se fosse la cosa più scontata del mondo.

-"Doveva immaginarlo."- si sedette sul letto, di fronte al mio. -"Quando lo rincontro giuro che lo castro!"- continuò, roteando gli occhi al cielo.

Risi appena.

-"Tranquilla, non mi ha fatto nulla di grave. Se dovesse toccarmi di nuovo, ci penso io!"-

Emily annuì, ridacchiando.

Quel Tomlinson mi avrebbe sicuramente dato filo da torcere, ma ce l'avrei fatta.

L'unica cosa che ammiravo di mio padre, era sicuramente la sua determinazione, cosa che per mia fortuna avevo ripreso da lui.

Già, una Stewart non perde mai. MAI.

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I'm here!

Ciao a tutte/tutti.

Ora sicuramente avrete voglia di picchiarmi ed avete anche ragione. *si nasconde, coprendosi la faccia con le mani*

Mi dispiace moltissimo, ma per vari motivi ho dovuto interrompere la storia.

Avrò sicuramente perso molti letteri così facendo, ma non posso farci nulla.

Questo è il terzo capitolo, spero vi piaccia.

Non so quando aggiornerò, spero il prima possibile.

Non potrò scrivere tutti i giorni perché il pomeriggio ho tantissimo da studiare (chi frequenta il liceo classico, ne sa qualcosa. Piangiamo insieme).

Comunque, cercherò di sbrigarmi!

Bene, tutto qui, credo.

Ah, dimenticavo.

Grazie a tutti voi, grazie per tutti i complimenti, i voti, le "visualizzazioni" ecc...

Vi ringrazio uno ad uno.

In particolare ringrazio la mia amika del corazzzzzzon Francy per avermi ricordato della storia: ciau Francy *saluta, urlando come una pazza*

Ora vado, spero di non essermi dilungata troppo.

Al prossimo capitolo, abbelli.

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