01: I Giorni Grigi

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“La vita lascia più ferite della spada”
Era, questa, una delle massime preferite del vecchio fattore Standtler.
Lo diceva spesso, in particolar modo quando sedeva nella sua casa di pietra e pietrame col tetto in paglia, fango e legno.
Quelle stesse mani che agitavano bocconi di cipolle soffritte in brodo di pollo e strutto avevano, tempo addietro, abbattuto non pochi alberi e spaccate altrettante pietre arrivando a guadagnarsi quel nido col sangue sgorgato a fiotti da vesciche scoppiate, pelle lacerata e unghie ritorte e spaccate. Ma, e questo andava affermandolo con l’indice destro alzato e un sorriso tutto compiaciuto, alla fine dopo tutte le lacrime versate e, soprattutto, grazie alla generosità della Dea, da tutta quella brutta sofferenza erano sorte cose belle e giuste le quali, a suo dire, erano le uniche e vere gaiezze della vita. Certo, era facile per parlare così, e lo era altrettanto per tutte quelle teste marce che al pari suo avevano avuto la fortuna di vivere e cagare in quei tempi dorati.
Ovvio, come scordarsi com’erano dorate le estati e gli inverni, come farsi passare di mente la bellezza dei dorati e fitti e vasti campi di grano circondanti il villaggio e allo stesso modo come mai si sarebbe potuto dimenticare di quanto fossero splendenti le foglie degli alberi in autunno.
Un qualche nobilastro avrebbe senza dubbio alcuno detto, con la sua lingua sorca di merda leccata via dal culo di qualche signore, che in quei tempi “La terra stessa era ricoperta di istoriate incisioni e luminescenti striature”. Dopotutto c’era un motivo se i chierici e i frati e i preti parlavano di Alta Era rinchiusi nei propri remoti monasteri. Che vi potessero marcire, loro e il loro elegante modo di scrivere di perdute beltà. E neanche si accontentavano di usare parole altisonanti e ricercate, no affatto. Si servivano di splenditi inchiostri, disegnavano miniature inutilmente dettagliate e nel mentre magari versavano lacrime.
Che queste potessero cavar via gli occhi ciechi e/o divorati dalla cataratta.
E dire che ai tempi, Midville, di quelle bellezze raccontante neanche ne era stata priva ai tempi. Certo, non fu mai una città con edifici di marmo ma… si, faceva la sua porca figura ecco.

Sorgeva d’altro canto nell’allora dolce brughiera, a sud rispetto alla Strada del Sale e ad est della Strada degli Angeli e le case mica erano circondate dalla putrescente e maleodorante desolazione, certo che no. Vi erano ridenti colline e lussureggianti vallate così come tutto attorno ecco ondulati manti erbosi d’erba violetta e azzurra e dagli steli alti anche uno o due pollici.
Col sole poi quel panorama andava tingendosi di un “caleidoscopico” spettacolo di colori caldi dove l’arancione e il rosso e lo schifosissimo giallo dominavano lo sguardo e qua e là, come i funghi grossi e pustolosi che soffocavano ormai le piantagioni privandole di qualsivoglia nutrimento, spuntavano carri e carretti. Si, spuntavano tutti tinti dei più svariati colori e riportanti molti sigilli di altrettante casate grandi o piccole, non che importassero, e allora sembravano gemme in movimento in mezzo a vaste e particolari chiazze sgargianti e vivide. D’altro canto, se Midville conobbe appieno le offerte di quei tempi felici lo doveva proprio a quei carri… più alla sua posizione ma certo anche a quei carri. Si potrebbe dire in effetti quel borghetto non più significante ora di un foruncolo nella fica di una puttana affetta dalla sifilide, prima potesse vantare… perché no, di una propria, seppur modesta, gloria. Se però mai riuscisse ad eguagliare lo splendore di quella sottospecie di metropoli che era andata diventando Stampalt sotto la guida del viscido mugnaio inutile dirlo: era stato, era e sarebbe rimasto un caso isolato a dir poco, tuttavia Midville aveva un qualcosa di unico nella marca: la sua posizione.
Come già accennato, stanziava fra le due arterie principali del regno, fra la strada e la costa e questa fu la fortuna che ne fece una tratta, o, per meglio dire, una meta obbligatoria per tutti coloro che dalla Corona di Dorm ambivano a raggiungere Josenna e le sue merci.
Va detto difatti che molte decine, se non anche centinaia di leghe separavano i due cuori pulsanti del regno e attraversare in una retta diagonale  la brughiera permetteva di dimezzarne le distanze e, indi per cui, conservare meglio ciò che si stava andando a vendere. D’altro canto, mica si diceva che per un punto passavano infinite vie? Ebbene, a quanto pare, Midville era esattamente quel punto.
Ad ogni modo si può comunque affermare senza l’ombra di alcun dubbio, e tale era veritiero perfino agli occhi del più bieco dei cechi onanisti che si trastullano davanti alle ignude raffigurazioni della Dea, che alla fine, nonostante tutte le cose buone che si potessero raccontare su Midville… questo non fosse altro che un buco di culo del mondo come qualsiasi altro borghetto o villaggio, e dall’inizio dei Giorni Grigi ciò era andato solo accentuandosi. Non fosse stato per la sua posizione sarebbe stato solo uno dei tanti sassolini che cospargevano il suolo delle vaste regioni della nazione e solo per questo non venne mai travolto da uno stivale in ferro e spodestato dalla sua bella posizione… Non ancora almeno. Alla stessa maniera di altri centri abitati, era composto da una cinquantina, una sessantina di case, qualche bottega, una taverna e, al centro delle varie costruzioni, ecco sorgere una chiesa in cruda pietra e legno. La campana posta nel campanile, a cinque braccia d’altezza era una brutta cosa in ferro grezzo, grassa negli orli esterni e andava assottigliandosi un poco verso l’alto e il pendolo all’interno era null’altro che un’informe sfera di ghisa la quale veniva fatta sbattere con forza contro le facciate interne all’Alba, alla Sera e molte volte durante le festività religiose, tuttavia erano passati anni dall’ultima volta che queste erano state celebrate, ovvio poi!
Chi mai avrebbe potuto ancora contare con precisione lo scorrere del tempo col sole sempre avvolto dal grigio delle nuvole? Forse per un mese, per due, massimo per tre un qualcheduno abile di mente poteva riuscire a tenere il conto dei giorni ma alla fine lo scorrere del tempo divenne uniforme e confuso e nessuno ebbe più ragione per mostrarsi veramente felice. Si diceva ad ogni modo:
la chiesa da sempre fu l’ambiente più frequentato, ad ogni ora del giorno vi era sempre un qualche individuo seduto sulle cinquanta panche disposte in cinque settori da dieci sotto il tetto a volta dell’unica navata. Era questa ornata da ottanta colonne, quaranta sulla destra e quaranta sulla sinistra che correvano lungo le pareti maggiori. Non bisogna certo pensare alla maestosità delle grandi cattedrali e neanche che alcun nobile figlio di puttana verrebbe mai in mente di visitare Midville per una chiesa tanto ridicola e vomitevole alla vista e all’olfatto vista l’assenza di profumi di incenso, erbe e bracieri colmi di menta e lavanda eppure alla gente del luogo quella piccola costruzione pareva bella come un castello.
L’intera struttura si poggiava sui due muri portanti, la torre del campanile era connessa col corpo principale attraverso una scala a chiocciola dagli scalini stretti e tutti diseguali nelle misure e nell’aspetto tanto che non pochi uomini della Dea vi erano morti mettendo il piede in fallo e spaccandosi il cranio contro gli orli affilati e duri. Effettivamente, era nato un macabro modo di dire in paese, ovvero che se “entri in chiesa, più probabile che la Dea beva il tuo sangue che tu il suo vino” e il vino che colmava quella coppa in rame si diceva sgorgasse direttamente dai seni del simulacro posto dietro all’altare, nell’abside velato da una semi cupola in marmo economico, senza venature e neanche levigato.
Si, esatto, da quegli stessi sui quali gli ubriachi della locanda si segavano immaginandosi di ricevere un dolce massaggio all’uccello dalla stessa divinità. Vi era stato anche qualche ardito frate che avea provato ad opporsi a quel macabro e “fellone costume” ma ebbero come unico risultato quello di trovarsi presi a calci dai colpevoli prima e poi, arrivata la Decadenza, ritrovarsi o con la gola tagliata e il sangue tutto a imbrattare i corpi nudi o evirati e dati in pasto ai maiali. Quest’ultima divenne quasi un’usanza nel villaggio, specie negli ultimi tempi quando non vi fu più nulla da poter far mangiare ai porci.
E questo fece nascere un altro proverbio “entri in chiesa tunicato ed esci cagato” e che risate ogni volta che veniva detto.
Poi c’erano le case, edifici bassi e tozzi, dei rettangoli, con un unico ambiente convissuto allo stesso modo da ogni membro della famiglia e diviso solo da delle pelli messe di traverso o, nel migliore dei casi, da un muretto di fango e pietrame e una cosa può esser affermata: nessun bambino, né di Midville né di altri villaggi poteva dire di aver dubbi sul come venivano al mondo. I gemiti delle madri e dei padri e le movenze del coito erano loro fin troppo noti e spesso, quando nulla divideva grandi da piccoli, i bambini dovevano uscire di casa per non osservare per intero gli amplessi e dover sopportare il fetore di sperma, umori vaginali e urina. D’altro canto, nei giorni più freddi nessuno ambiva molto ad abbandonare la relativa sicurezza dei tetti spioventi, le assi in legna inchiodati alle pietre con l’ausilio di molti e lunghi chiodi cingevano con un ligneo abbraccio un travone che attraversava gli edifici nella loro forma assiale e il tutto veniva rivestito con fitti covoni di paglia, frasche e foglie e fango affinché il tutto si attaccasse e restasse saldo anche nelle giornate di vento più impetuoso e, durante la stagione delle piogge si usava la cera o la resina d’albero per rendere il soffitto impermeabile.
Le porte d’altro canto erano l’unico elemento che davvero potessero differenziare le case l’una dall’altra, o meglio, ciò su cui si affacciavano.
Alcune davano su rozzi scalini in sassi e pietrame, altre sul caratteristico manto erboso, quando questo ancora ricopriva morbidamente la terra e altri ancora sui sentieri in terra battuta, marrone e profondamente segnati da ruote di carri, zoccoli di pietre e impronte di uomo. Queste ultime andavano snodandosi in mille e più direzioni in un fitto reticolo di vite che andavano e venivano e anche su queste vi era una certa diceria, anche se di natura assai più antica delle altre due sopracitate e affermava che da quelle impronte si poteva comprendere come uno avesse vissuto e anche ce, nel momento in cui la terra non avrebbe più potuto conservare in tal modo il ricordo del passaggio delle anime, allora i tempi della fine sarebbero giunti.
Erano oltre dieci anni che Galloway non vedeva più segni per le strade di Midville e, per quanto poteva dire di saperne lui, tutto ciò che questo significava era solo che la terra aveva dato tutto ciò che poteva e che adesso era arida. Arida come le poppe raggrinzite di una megera delle paludi, capaci di secernere solo veleno e acido e nulla più.
“La vita lascia più ferite della spada” diceva suo padre e il figlio del fattore si scopriva a ripensare spesso a quello che potesse essere il Vero significato di quella parola. E avrebbe forse potuto fare altrimenti?
Tutt’altro che rare erano le volte in cui, durante un sonno tormentato dalla fame e dalla sete recenti, rivedeva quella scena di molte albe prima.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 28, 2019 ⏰

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