Prologo: Le occasioni dei disperati

20 1 0
                                    

Il carretto procedeva a stento lungo la via.
Era un sentiero stretto e scostante gettato in mezzo a vasti campi ricoperti da erbe infestanti e steli alti anche un piede dall'esotico color amaranto e violetto. I primi, si stagliavano sui versanti appena accennati delle collinette che qua e la cercavano inutilmente di ritagliarsi un proprio posto in quel desolante paesaggio.
Con uno schiocco di frusta a sfiorargli il dorso, il cavallo accelerò appena il passo, gli zoccoli ricoperti di polvere incespicavano di quando in quando fra le grosse pietre affioranti dal terreno battuto.
La Strada Bassa, così si chiamava il decumano che dal capoluogo del marchesato attraversava l'intero feudo in linea retta da nord a sud intersecandosi al centro della città marchesale con la Via Maestra la quale si protendeva fin nel cuore del regno andando lungo la propria estensione a incrociarsi con gli altri reticoli stradali. Erano come fiumi e affluenti dalle acque torbide color terra e i flutti ora burrascosi ed ora placidi con gli argini fiancheggiati da macchie boscose di querce e abeti, locande diroccate e posti di guardia fortificati ormai giacenti in uno stato di semi abbandono. I vecchi nei villaggi amavano ricordare della loro giovinezza e parlavano con una pinta di birra schiumante fra le mani delle fortificazioni massicce, di mura in granito, finestre in alabastro e distese immense di campi coltivati. Parlavano dei raggi di sole e di come andavano a poggiare tocchi senza forma sulle spighe di grano dando vita a mari dorati dolcemente lambiti da venti e brezze.
Erano dei tempi d'oro, i cacciatori tornavano dopo lunghi giorno carichi di selvaggina, i contadini facevano fatica a contenere nei magazzini il frutto del loro lavoro e le casse dei feudatari rigurgitavano oro e così come la tesoreria del regno, ma questo era prima che i confini si stringessero attorno alle città e i campi diventassero aridi e spogli, prima che la terra inaridita divenisse sterile come una vacca troppo vecchia per figliare.
Ciò che il fattore vedeva attorno a se era il prezzo che tutti loro stavano ora pagando per lunghi decenni di prosperità. Il suo carretto attraversava da molte ore la Strada Bassa, le pesanti rote dalle rugginose borchie in ferro sobbalzavano contro le buche e le radici dei giovani arbusti, la bestia avanzava al rilento per il timore di cadere, spezzarsi i garretti e morire lì, in mezzo a quell'oceano incontrastato di nulla; perfino il sole afoso in estate e mite in inverno oramai altro non era che un ricordo d'infanzia. Al suo posto dense nubi scuri avvolgevano la nazione, sferzate ghiacciate di pioggia, venti crudeli e grandine flagellavano il popolo distruggendo quelle poche sementi che si salvavano dalle carestie ed esondazioni. La fame dilagava e troppo in pochi ancora tenevano vivo il commercio fra i villaggi sempre più isolati e i capoluoghi dei feudi giorno dopo giorno venivano presi d'assalto dai profughi: donne coi seni secchi, infanti che succhiavano da capezzoli sanguinanti, uomini dalle guance scavate, occhi spenti e la pelle che pendeva dalle ossa, vecchi resi ciechi dall'incapacità di sfamarsi o dissetarsi.
La Strada Bassa prima era una vena portante dell'organismo del marchesato, ora invece abbandonata a se stessa pian piano stava scomparendo divorata dalla vegetazione dalla terra diventata avida dopo il troppo dare e in molti tratti i boschi già si protendevano in mezzo al sentiero. I rami smossi dalle correnti d'aria frusciavano in un movimento quasi minaccioso e le fiere, un tempo spaventate dalle nutrite pattuglie, adesso si avventuravano oltre i propri confini, le fauci snudate e gli stomaci reclamanti sangue e carni fresche. Rabbrividendo a quel pensiero Jonson diede un secco colpo alle redini incitando ancora una volta il cavallo ma quando questi si mosse in avanti il carretto sussultò pesantemente rovesciando i sacchi in iuta pieni di patate fresche e preziosi germogli e una botta di carne salata cadde dal mezzo e il legno vecchio e marcio si spaccò in nugoli di schegge e chiodi spargendo le scorte al suolo, fra rigagnoli di fango e formiche le quali leste s'apprestarono a banchettare. Imprecando a denti stretti Jonson si strinse nella cappa in lana grezza divorata dai pidocchi e continuò la propria infelice avanzata, quello sarebbe stato il suo ultimo viaggio sissignore, non ne poteva più ogni volta che arrivava a Midville di sentire quattro baldracche lamentarsi della mancanza di un proprio ordine, che lo affrontassero loro allora lo stramaledetto sentiero, lui era vecchio, stanco e fin troppo impaziente per star ad udire i loro piagnistei.
Si, decise con un vigoroso cenno del capo, quella sarebbe stata l'ultima volta e cadesse il cielo se si fosse rimesso a fare il buon samaritano. La vita ti ricopriva di merda alla prima occasione, ecco la verità e mai più lui si sarebbe lordato le mani per aiutare il prossimo, dopotutto qualcuno lo aveva mai aiutato col carro? Il fabbro del paese gli aveva mai offerto un attrezzo per riparare l'asse? Il conciatore mai si era offerto di sistemargli i finimenti o la sella?
<< Col cazzo proprio >> sputò con rabbia il vecchio Jonson coprendosi il volto quasi calvo col cappuccio tutto rattoppato alla meglio, ciuffi disordinati di capelli grigio sporco cadevano tutto attorno al volto attraversato da rughe e il cranio macchiato si irritava facilmente a l contatto con il rozzo tessuto. Se avesse avuto i mezzi non dubitava che avrebbe benissimo potuto foderarlo, anche in maniera grossolana, con del cuoio morbido ma le mani divorate dal tempo tremavano e nessuno, per la grazia delle tette di Arhuna, pareva essersi reso contro che era grazie al suo lavoro se Greenpit ancora poteva dirsi vivo e così eccolo, divorato da pulci e pidocchi, col petto scavato, le costole in bella vista, i capezzoli cadenti e braccia e gambe tutte piagate e doloranti per i lunghi periodi che trascorreva seduto sul duro legno.
<< E' grazie al mio, di culo, se quelli mangiano ancora. Ah, ma ora basta, che si attacchino alle mammelle della Dea, io sono stufo, STUFO >> e qui urlò a voce tanto alta che uno stormo di uccelli si levarono in volo dal vicino scheletro di quello che un tempo sarebbe stato un albero imponente. Jonson se lo ricordava bene, quel bastardo, li sotto aveva perso la verginità chiavando una donna più grande di lui con quasi tutti i denti e due belle tette burrose. Ah, ma era accaduto quando lui poteva vantare del vigore dei sedici anni, ma ora, ultra cinquantenne, poteva dirsi fortunato ad essere ancora in grado di ragionare con la sua testa senza svegliarsi una mattina col letto tutto zuppo del suo piscio.
La Strada Bassa andò peggiorando, e con essa il suo umore. Le nuvole ora stavano basse e una folta foschia ammantava la pianura; già cinque leghe lo separavano dal suo focolare e quasi altrettante ancora doveva attraversare prima di arrivare a destinazione ma se in condizioni ottimali sarebbe riuscito ad andare e tornare in massimo due, tre giorni di marcia spedita, con quel tempo sarebbe stato costretto a procedere a velocità più che dimezzata co rischio che il carro s'incastrasse in un qualche avvallamento lungo la via o peggio che imboccasse la direzione sbagliata al prossimo bivio finendo magari nelle paludi, era pieno così di storie narranti poveri stronzi annegati fra gli acquitrini.
<< Forza forza, maledetta bestia, muovi quel tuo culo flaccido >> gracchiò colpendo il cavallo sulla coscia anteriore destra ma senza sortire alcun risultato. Bestemmiò fra i denti.
Un giorno era passato dalla sua partenza e alcun suo concittadino aveva deciso che valesse la pena salutarlo ma questo avrebbe anche potuto capirlo, il vecchio Jonson. No, ciò che non gli andava giù era tutta quella << Stramaledettissima situazione del cazzo >> imprecò ancora facendo scorrere lo sguardo tutto attorno: la foschia era fitta, quasi sibilante e attorniata da grigio e nero e marrone; l'odore della terra umida riempiva le narici sue e della bestia legata ai finimenti e a meno di un miglio di distanza scorreva un fiumiciattolo. Troppo grande per essere un ruscello ma neanche degno di essere definito "fiume", gli abitanti di Midville e Greenpit lo avevano battezzato Piscio di Gigante poiché del medesimo colore nerastro e al tempo stesso giallo malato e nelle sue acque nuotavano pesci piccoli, a due teste e dalle squame rossastre. Agitò una mano con rassegnazione, il Piscio di Gigante era l'unica sorgente d'acqua nella vallata fra i due villaggi e questi si sostenevano grazie ai profondi pozzi scavati dai fondatori dei rispettivi borghi. Quelli dovevano esser stati bei tempi, quando la gente ancora non aveva niente di meglio da fare che scavare buche nel terreno e poi vantarsi tutta felice nelle locande per impressionare delle puttane e sbattere il proprio uccello in piacenti bocche.
A lui piacevano i pompini quand'era giovane e ancora di più gli piaceva eiaculare nella gola delle puttane che pagava e poi aveva smesso di farlo quando una delle ragazze strappò il membro di un soldato della milizia ubriaco che voleva fotterle quelle labbrucce senza pagare. << Che coglione che era quel Mophet, non mi stupisco sia stato sbranato dai lupi, conoscendolo doveva aver scambiato una loro femmina per una soave fanciulla Heilfar... ma quelle non ne fanno di pompini e no, troppo preziose... >> e passò una piacevole mezzora a riflettere su quali fossero gli orifizi nei quali valeva più la pena eiaculare e ridere al pensiero di quella volta che uno dei fattori, ubriaco fradicio era stato scomparso nelle campagne circostanti il villaggio solo per essere ritrovato un paio di soli dopo accanto ad una pecora morta per le violenze subite e lui giaceva lì, la virilità lercia e un'espressione ebete in volto.
Johan il Pecoraio non ci aveva pensato molto a tagliargli via il cazzo assieme allo scroto e mentre quello si dibatteva urlante, strillando come un maiale, lo costrinse a ingurgitare i propri testicoli per poi lasciarlo lì a sprizzare sangue come una fontana fino a diventare una fontana vermiglia inzuppata tanto di sangue quanto di merda che si era fatto addosso per la paura.
Le guardie l'avevano impiccato, a Johan. Omicidio avevano detto, avrebbe dovuto chiedere un risarcimento, avevano detto e la stagione successiva sua moglie e la bella figliola di tredici anni furono sequestrate dagli uomini del marchese poiché non era stato loro possibile pagare i debiti e quella era stata la fine di una delle famiglie di Greenpit. Così era la vita e non voleva pensare a cosa avessero fatto alle due donne. Forse la moglie era andata in sposa a qualche rozzo soldato ma la figlia, graziosa com'era, con ogni probabilità era stata stuprata dal branco di allupati e venduta a caro prezzo a un qualche casino della città marchesale.
Non che fossero fatti suoi comunque, tutto ciò che desiderava era arrivare a Midville, affittare una stanza alla locanda del paese e aspettare il giorno successivo per ritornare a casa e stavolta, rimanerci.
Per lunghe e lente ore il flebile sciabordio delle brutte acque del Piscio di Gigante restò l'unico suono oltre al rumore delle ruote contro il suolo scostante e lo scalpiccio degli zoccoli del cavallo e per altrettanto tempo la sua criniera e la lunga goda pregna dell'olezzo dei suoi rifiuti furono le uniche cose degne di attenzione che il vecchio Jonson osservava concedendosi rare volte un'occhiata oltre l'animale ma la Strada Bassa pareva diventare invisibile e ebbene la foschia finalmente stesse diradandosi questo non giovò in alcun modo al nocchiere il quale si agitava ormai prossimo ad un esaurimento nervoso sul suo posto con le natiche rinsecchite doloranti e le braghe piene di schegge che graffiavano contro la pelle cadente e tutta piena di porri. Ne aveva uno particolarmente fastidioso sul lato sinistro del collo, grosso, marrone e ricoperto da una crosticina maleodorante e con un lungo, spesso pelo arricciato che sporgeva per quasi un dito buono e per quante volte lui lo tagliasse, quello ricresceva. Alla fine l'aveva chiamato Bob, Bob il Pelo e in quei momenti di solitudine gli parlava di cose senza capo né coda. La cosa migliore nel dover parlare ad un pelo? Non doveva sforzarsi di trovare chissà quali argomenti, bastava uno qualsiasi e Bob ascoltava attento e silenzioso. Se più persone fossero state attente e dedite come Bob il Pelo, con ogni probabilità il regno sarebbe ancora bello fiorente con luoghi di sosta e feste e cibo in abbondanza per tutti.
Uno scossone improvviso lo riscosse dalla sua chiacchierata mono direzionale e lanciando una sonora imprecazione su un qualche fluido della Dea si sporse dal carretto per osservare quale fosse la causa dell'arresto di una si tanta allegra marcia, ed eccolo la il motivo.
<< Possa piovere anche la merda, ormai mi andrebbe bene qualsiasi cosa >> sibilò con la voce carica di veleno scendendo lentamente dal carretto e grattandosi la fronte corrugata e le ispide sopracciglia cespugliose e bianche, folte e dai peli duri come fili di ferro. La carcassa di un albero rinsecchito occupava la strada, le radici secche non avevano tenuto e il forte vento dell'altro ieri doveva averlo sradicato e abbattuto, un tempo non sarebbe mai successo ma da quando le strade erano abbandonate a loro stesso i mercanti spesso e volentieri erano costretti a procedere sul suolo selvaggio anche solo per brevi tratti ma né lui né la bestia dal manto spento e gli occhi divorati dalla cataratta sarebbero mai riusciti a superare gli argini delle strade nello stato in cui stavano e il mezzo si sarebbe ribaltato assieme a tutto il carico.
<< Al diavolo, prendo la mia ascia e lo taglio >> sentenziò alla fine girando sui tacchi e muovendosi attorno al carretto, ci sarebbe voluto ancora più tempo ma dopo tanto penare non voleva certo correre il rischio di perdere tutto ciò che trasportava.

La Guerra del FangoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora