Meteora

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Preferirei essere una superba meteora, ogni mio atomo esploso in un magnifico bagliore, piuttosto che un sonnolento e perseverante pianeta.
(Jack London)

Sana.

Stai tranquilla, non ti faccio niente...
E non riesco a fermare le sue mani, non riesco a fermare i suoi occhi, che mi spogliano, mi vogliono, si sentono padroni di me, più di quanto io sia padrona di me stessa.
E non riesco a muovermi, perchè so che mi ritroverei con un nuovo livido, e come lo spiegherei poi? Cosa direi a quella professoressa che tanto mi osserva?
Cosa direi alle mie amiche?
Rimango in silenzio, lascio che le sue mani vaghino sul mio corpo, e ingoio proteste, soffoco urla.
Mi rimane solo il silenzio.
L'assenza di suoni.
Mi rimane solo l'assenza.
Anche della mia anima.

Aprii gli occhi.
Mi mancava il fiato.
Erano anni che non mi capitava.
Anni.
E doveva succedere proprio quando ero in procinto di partire con il mio capo...
Cosa mi stava dicendo il mio cervello?
«A cosa pensi, piccola Sana?»
Guardai Aya come se potesse ridarmi l'aria che mi mancava, ma sapevo perfettamente che le sarebbe stato impossibile. Nessuno, nemmeno lei, sarebbe riuscito a tirarmi fuori da quel tunnel dove stavo prepotentemente ricadendo.
«Forse non dovrei partire, forse dovrei licenziarmi...»
«Sana ma cosa dici? Ti serve questo lavoro, non puoi scappare!»
Annuii, alzandomi dal divano per preparare una tisana. «Ne vuoi?» chiesi ad Aya mostrandole la busta, provando a chiudere l'argomento.
«Cos'è che ti turba tanto di questo viaggio?»
«Tutto, assolutamente tutto.»
La mia amica mi seguì verso i fornelli, e lì capii che non avevo scampo, che avrei dovuto affrontare quella discussione volente o nolente.
«Vuoi sentire la mia ipotesi?»
«Sentiamo...»
Guardai l'acqua cominciare a bollire, presi le bustine dalla credenza e la zuccheriera dal bancone della cucina, porgendo la tazza ad Aya.
«L'unico motivo per cui vorresti non partire è il pensiero che dovrai rimanere da sola con Akito.»
Annuii, mentre spegnevo la fiammella e immergevo le bustine nell'acqua bollente.
«Non hai mai pensato che forse sarebbe un buon modo per superare questa paura?»


Cercai di far finta di non capire cosa volesse dirmi, ma in realtà lo sapevo perfettamente. Era carino da parte sua pensare di potermi aiutare, ma i mostri che avevo nella testa non potevano essere scacciati nemmeno con le più assurde tecniche psicologiche.
Erano miei, spaventosi e disgustosi, ma erano miei.
Non sarei mai riuscita a condividerli con qualcuno.
«Forse non è di Akito che ho paura...» dissi versando la tisana nelle tazze, vedendo onde violastre sprigionarsi dalla bustina.
Posai nel lavello il cucchiaio con cui avevo messo lo zucchero, lasciandola appoggiata sul bancone della cucina e tornando a sedermi sul divano.
«E di cosa?» tentennò inizialmente. «Del tuo terrore di innamorarti? Non sono stupida, Sana, so benissimo che ti è successo qualcosa. Non ho mai voluto chiedertelo, ma lo so benissimo. Lo sento.»


Non ebbi il coraggio di rispondere.


Sorseggiai in silenzio la mia tisana, sentendo il calore del liquido scivolarmi dentro, ma non feci una piega.
Ero brava in quello, ero un fenomeno a stare zitta, a far finta di essere di ghiaccio, invincibile, come il marmo: freddo e intoccabile.
Ero brava, mi ero allenata per tutta la vita, ma Aya aveva ragione, e io lo sapevo, lo sapevo benissimo.

E tutte le volte che mi aveva usata come cavia per la sua specializzazione in psicologia, in attesa di potersi permettere l'accesso al test di abilitazione, lei aveva scavato un po' più a fondo, sempre più dentro di me, e mi ero trovata come spogliata da tutte le mie convinzioni.
Aya si avvicinò con passo lento, e mano a mano che si avvicinava sentivo che avrebbe potuto ancora di più guardarmi dentro e istintivamente avrei voluto allontanarmi, avrei voluto scappare, ma non lo feci. Rimasi inghiottita da quel divano, incapace di proferire parola, come un animale in gabbia, ma lei non ne sembrò turbata.
Quando fu abbastanza vicina, si lasciò scivolare sul divano e, senza dire niente, mi abbracciò.
Non saprei dire quanto tempo rimanemmo in quella posizione, minuti, secondi, non avevo idea. L'unica cosa che realizzai quando le sue braccia smisero di circondarmi fu che Aya era l'unica persona al mondo che sentivo vicina davvero come se fosse la mia famiglia.
«Non importa se non vorrai parlare, io ascolterò anche i tuoi silenzi. Non hai idea di quanto possano essere rumorosi.»
Il mio argine si spezzò, improvvisamente, senza avvisarmi, senza lasciarmi scampo o modo di nascondermi. La diga che circondava il mio cuore — la mia diffidenza, il mio continuo terrore di lasciare che le persone vedessero un pezzo della mia anima — tutto fu improvvisamente distrutto e io non riuscii più a contenere nulla.
Tutto ciò che ero uscì forzatamente dai miei occhi e non riuscii a trattenere le lacrime.

Come si amano certe cose oscure.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora