Prologo

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Eleonora si chiuse la porta alle spalle con un tonfo secco. Rimase qualche secondo con la mano sulla maniglia, assicurandosi che da dentro l'appartamento nessuno tentasse di riaprire la porta. Si guardò attorno con fare furtivo, sentendosi il cuore in gola, senza fiato. Aveva gridato così forte da percepire le corde vocali bruciare, gli occhi traboccanti di lacrime rabbiose, ma non aveva tentennato neanche un secondo. Afferrate le sue cose, aveva spinto Elia fuori di casa, sperando di non incontrare nessuno sul pianerottolo, né per le scale del palazzo.

Sentiva le urla irose di suo zio, i pianti disperati di sua zia, ma lei era decisa, ferma nelle proprie convinzioni. Deglutì, continuando a stringere il pomello della porta con violenza, tesa, pronta a tirarlo verso di sé per contrastare un'eventuale apertura della porta. Sembrava che i suoi zii si stessero davvero disperando per la loro decisione, ma sapeva benissimo che si trattava solo di una recita al fine di riversare su lei e suo fratello la colpa di quanto stava accadendo, un vile spettacolo in favore delle orecchie dei vicini, di modo che nessuno, dal giorno dopo, avrebbe potuto smentire le scuse che i due avrebbero rifilato a chiunque avesse chiesto loro che fine avessero fatto i gemelli.

Se li immaginava già a continuare quella loro recita, inventando menzogne apocalittiche, riversando su di lei e suo fratello ogni più crudele bugia. Raccontare la verità sarebbe stato inopportuno: come avrebbero potuto mai reagire i loro vicini se si fosse venuto a scoprire che i gemelli erano fuggiti dalle mani perverse dello zio, dalle botte e da anni di soprusi, violenze fisiche e verbali?

"Non che qualcuno sia mai corso a chiedersi perché due bambini urlavano aiuto." si disse con rabbia e, se mai avesse avuto un dubbio riguardo la decisione di scappare da quell'Inferno, compiendo un salto nel vuoto, con solo suo fratello al proprio fianco, diciottenne e con pochi spiccioli in tasca, sapeva che quel pensiero sarebbe stato in grado di cancellarlo in un battito di ciglia, "Meglio sotto un ponte, per strada affamati e a chiedere l'elemosina, ma non accetterei tutto l'oro del mondo con l'obbligo di vivere un altro giorno sotto il loro stesso tetto".

Le urla aumentarono a dismisura ed Elia le artigliò un braccio con le unghie, spaventato. Eleonora rinserrò la presa sul pomello della porta, mentre il cuore pareva schizzarle in gola.

"Sembra che stia per venire loro un infarto." pensò, ma non le importava e, per quel che valeva, quei due potevano benissimo crepare. Lei non avrebbe versato una lacrima.

Il suo cuore sembrava essersi indurito nel corso degli anni; non riusciva più a perdonare e non faceva assolutamente nulla per nascondere quella sua vena che a tratti poteva apparire crudele. Non provava nessuna empatia nei confronti degli altri. L'unica persona al mondo che amava davvero la stava stringendo a sé proprio in quel momento, così forte quasi da stritolarle il braccio a cui continuava a starle saldamente attaccata.

Elia alzò gli occhi verso la sorella, specchiandosi nei suoi, in lei. Erano identici come raramente poteva capitare a due gemelli di sesso opposto, eppure entrambi possedevano lineamenti androgeni, occhi chiarissimi e capelli biondi. Sembravano due angeli in grado di sconvolgere chiunque con la loro bellezza quasi irreale, nonostante i loro lineamenti, a volte, apparissero strani e destabilizzanti. Non si riusciva quasi mai a comprendere chi dei due fosse il maschio e chi la femmina. In molti, in passato, nonostante i loro corpi crescessero e mutassero assumendo le forme dei loro sessi di appartenenza, avevano finito per confonderli con estrema facilità. Erano persino alti uguali, del tutto identici, salvo in quel momento, a causa dei lividi che appesantivano il volto di Elia, rendendo l'insieme del suo viso ancora più insolito.

«Se prova ad aprire lo ammazzo.» sussurrò Eleonora, pronta a mettere in pratica la propria minaccia. Suo fratello abbassò gli occhi sul pavimento, fuggendo dal suo sguardo. Era certo che la gemella sarebbe stata in grado di uccidere per lui ed era proprio quello il motivo per cui, negli anni, suo zio si era limitato ad accanirsi proprio su di lui, senza mai azzardarsi a mettere le mani addosso all'altra, forse timoroso di vederla reagire con violenza contro di sé. Ed erano andati avanti a quel modo, a eccezione delle volte in cui Eleonora aveva cercato di salvare Elia, frapponendosi tra lui e lo zio, nel disperato tentativo di difendere suo fratello.

Eleonora era forte, battagliera, e percepiva sulle proprie spalle il peso di difendere l'altro a qualunque costo, dato che Elia, in netta opposizione, era una persona debole. Proprio quelle loro peculiarità caratteriali erano una delle cose che più aveva fatto imbestialire lo zio – una persona all'antica e piena di "sani" principi, secondo i quali un uomo doveva essere uomo e una donna, donna, con tutti gli arcani preconcetti che questi due termini racchiudevano in sé. Per lui era inconcepibile un maschio come Elia, dato che non aveva in sé la prepotenza e il spiccato senso di superiorità dell'uomo ed Eleonora non si comportava come una "brava femmina": sempre lì a rispondergli, a pretendere di elevarsi al di sopra del suo volere, quando avrebbe dovuto limitarsi a starsene zitta e ad obbedirgli incondizionatamente.

Lo zio aveva cercato di rendere il nipote più virile anche a livello fisico – come se le botte avrebbero potuto aiutarlo a raggiungere tale obiettivo – maledicendolo continuamente per quel suo aspetto così ambiguo, quasi che fosse la volontà del giovane e non una casualità, né tantomeno l'eredità genetica dei loro defunti genitori. E quando Eleonora aveva tentato di fargli presente che quella era violenza gratuita, ingiustificata, lui aveva reagito sminuendola e umiliandola, finanche ridicolizzandola davanti ad altri, attaccandola soprattutto sul piano fisico, mettendo in risalto le sue scarse forme, sottolineando con crudeltà quanto i suoi seni fossero troppo piccoli, i suoi fianchi troppo stretti, come se quelle caratteristiche la rendessero meritevole di derisione e meno donna.

Eleonora tremò a causa della furia che le si agitava nel petto, ma ormai ce l'avevano quasi fatta, erano in fuga, stavano per porre fine, e per sempre, alla loro forzata convivenza. Avevano compiuto diciotto anni pochi giorni prima e la giovane si preparava a quel momento da mesi. Dopo che era riuscita a trovare lavoro in una pizzeria come cameriera, messo da parte abbastanza soldi negli ultimi anni da permettersi l'affitto di un monolocale, per sé e il gemello, si sentiva pronta per ricominciare da zero, lontano da lì. Entrambi avevano iniziato le scuole con un anno di anticipo – perché i loro zii avevano trovato fin da subito una buona scusa per condividere con loro meno tempo possibile in casa – e, terminata l'estate precedente, si erano già diplomati.

Volevano frequentare l'Università.

Eleonora aveva già previsto che si sarebbero iscritti entrambi, attingendo ai soldi che i loro genitori avevano lasciato loro in eredità prima di morire e di cui erano entrati in possesso proprio il giorno del loro diciottesimo compleanno. Non erano molti, ma la giovane sapeva che li avrebbero dovuti investire proprio nel loro futuro, impegnandosi nello studio per costruirsi una posizione stabile a partire proprio dall'Università.

Era stato programmato tutto nei minimi dettagli ed Elia si limitava a seguirla a ruota libera, come se fosse un suddito devoto, obbedendo agli ordini della sua amata regina.

«Andiamo!» lo esortò Eleonora dopo un po', sentendo che, da dentro l'appartamento, non arrivavano più rumori eccessivi. Si decise a staccare la mano dal pomello, sistemandosi lo zaino sulle spalle. Guardò Elia, trovandolo pronto e risoluto a seguirla anche in capo al mondo. Gli accarezzò delicatamente la fronte con una mano e gli rivolse un sorriso titubante. Era spaventata. Si sentiva come se stesse per precipitare giù da un precipizio, sacrificando con lei anche la cosa più preziosa che possedeva.

Tornò a fissare i lividi, l'ematoma violaceo che modificava la linea dritta e delicata della mandibola del fratello con il suo gonfiore, e aggrottò la fronte, richiamando a sé tutto il proprio coraggio.

Presero a scendere di corsa le scale, senza produrre alcun rumore, come se i loro piedi non toccassero davvero il pavimento, come se stessero volando.

Si trovarono davanti il portone d'ingresso, lo aprirono e i raggi del sole li investirono in pieno, scaldando loro la pelle, accecandoli per un paio di secondi. Gli occhi si abituarono presto alla luce, tuttavia Eleonora tentò di schermarli con una mano e fu Elia a esortarla a proseguire nel loro cammino.

Misero un piede fuori dal palazzo e in un istante presero consapevolezza che non sarebbero mai più tornati lì, che una nuova vita stava appena iniziando.

ELIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora