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Il giorno successivo, Elia, sempre in veste di Eleonora, varcò il cancello dell'Università, diretto al bar vicino al Padiglione Diciannove.

Aveva appuntamento con le sue compagne di corso lì, ma si rese conto, una volta arrivato sul posto e avere dato un'occhiata veloce all'orologio del proprio cellulare, di essere arrivato largamente in anticipo.

Sospirò rassegnato, dirigendosi verso il giardinetto di fronte al bar, prendendo posto su una delle panchine libere. Scelse quella dove poteva godere della protezione di un maestoso albero che lo tutelasse da possibili sguardi indiscreti, mettendosi in attesa di Rachele e Cristina.

Scosse la testa, tirando fuori il proprio cellulare dalla borsa, di nuovo, ma quella volta con l'intento di aiutarsi a ingannare il tempo nell'attesa. Quel giorno era tornato a indossare una delle gonne della sorella, con sotto dei collant molto spessi, eppure iniziò a rabbrividire lo stesso, nonostante non facesse davvero freddo.

Aveva già scorto tutte le news sulla homepage del profilo Facebook che condivideva con la gemella, sbirciato le novità anche negli altri social a cui si era iscritto da quando aveva intrapreso l'Università. Anche tutto quello era qualcosa di nuovo per lui, dato che sino a quel momento non aveva avuto motivo di fare parte del mondo virtuale, visto che di amici non ne aveva mai avuti neanche in quello reale.

Non credeva di essere all'altezza di avere degli amici. Interpretando la parte della sua gemella tutto gli risultava estremamente facile, ma lui non era come lei. Era convinto che se si fosse mostrato al mondo senza maschera gli altri avrebbe continuato a non accettarlo.

Guardò di nuovo l'orologio: era ancora presto.

Sbuffò indispettito per la propria imbecillità. Si sentiva sempre in ritardo e, qualsiasi fosse la sua destinazione, usciva da casa con ore di anticipo, anche se quello significava dovere sacrificare ore del suo sonno per riuscire ad arrivare in perfetto orario, ovunque avesse un appuntamento. Il problema era che, proprio come in quel caso, finiva per arrivare in anticipo e quindi si trovava ad armarsi di pazienza e ad attendere un tempo lunghissimo in solitudine e noia. E anche quello – stare solo e trovarsi a dovere fissare altri come lui, che invece ridevano e scherzavano in compagnia – era una cosa che lo metteva a disagio, come se da quella sua solitudine, seppur momentanea – ma gli altri non potevano saperlo che fosse tale – si potesse intuire qualcosa di spiacevole sulla sua persona. "Forse gli altri, vedendomi così, solo, pensano che io sia un tipo antipatico, stupido, una persona con cui è impossibile instaurare un'amicizia, qualcuno da cui stare alla larga." pensò e iniziò a grattarsi un polso, irritando tanto la pelle sottile e pallida da arrossarla, da lasciarsi dei segni lunghi e gonfi con le unghie. Sollevò il polso davanti al viso, osservandolo alla luce del sole che filtrava attraverso le fronde dell'albero alle sue spalle, restituendogli una carezza calda e gentile, e rimase a fissarsi per qualche secondo. La sua mente viaggiò lontano, indietro nel tempo, al periodo in cui aveva da poco compreso di essere omosessuale e aveva provato il terrore che ciò potesse rivelarsi motivo di rottura tra lui ed Eleonora.

E se lei non l'avesse accettato?

L'idea di deluderla, di perderla, lo aveva portato a odiarsi tanto, a sperare di sparire dalla faccia della Terra.

E aveva pure provato a rendere la sua fuga dal mondo una cosa concreta.

Una notte, quando aveva avuto circa quattordici anni, aveva aspettato che tutti andassero a dormire.

Si era alzato dal letto soltanto quando il respiro di Eleonora era diventato profondo e tranquillo.

Si era chiuso nel bagno che, nella casa degli zii, si trovava in fondo al corridoio, di fianco la porta che conduceva in cucina, ma non aveva girato la chiave nella serratura.

ELIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora