Capitolo 4

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IV

"Potranno anche essere uniti dal sangue o dalla sorte, ma non possono affermare di essere una famiglia. Perché l'unica famiglia legittima, l'unica risparmiata dal male è la famiglia di coloro che servono il Padre."

Sermone dal Progetto Eden's Gate

M

entre quel giugno mio padre mi stava frustando con la sua vecchia cintura di cuoio la Voce non mi ordinò semplicemente di trattenere mio fratello Jacob.

Annunciò che noi – Jacob, John ed io- eravamo stati scelti per adempiere al Suo destino. E per dare una seconda possibilità all'umanità.

Nemmeno per un momento dubitai che stessi sentendo il Creatore nella mia testa. Era più che una semplice voce. Era, ed è ancora, una presenza che mi avvolge e mi riscalda fin nel profondo, una lingua che ogni cellula del mio corpo comprende e che sto diffondendo in lungo e in largo per cercare di convincere i puri di cuore a unirsi alla nostra famiglia.

Nulla può fermarmi, perché questa è la missione che mi è stata affidata e nulla può contraddirmi, poiché io sono il messaggero.

Quella notte parlai a Jacob nella minuscola camera che condividevamo. Riuscii a convincerlo a non affrontare nostro padre. In seguito mi avrebbe raccontato come i miei occhi brillassero febbrilmente nell' oscurità e il modo in cui la mia fede avesse fermato la sua mano. Non ero più il suo fratellino silenzioso e timido. La Voce mi aveva trasformato.

Mi ero risvegliato.

Fatto sta che nostro padre non ci picchiò più: qualche giorno dopo due auto, una della polizia e una dei servizi sociali, si fermarono di fronte alla nostra casa.

Le maestre della scuola di John avevano notato i segni di cinghiate che gli attraversavano la schiena e avevano chiamato immediatamente il Servizio Tutela dei Minori, che erano stati costretti a mandare degli agenti fino a Rome per indagare.

Ci esaminarono. Le cicatrici sulle nostre schiene raccontarono la stessa storia tre volte.

Salimmo sulle loro auto.

Guardai la nostra casa dal finestrino della macchina per l'ultima volta, poi il cortile del vicino. In mezzo alla macchia individuai la forma familiare di un tagliaerba arrugginito che era sempre stato lì da quando avevamo memoria. Stava lì a testimoniare un'era passata quando ancora ci importava di cose simili, un tempo in cui il prato veniva ancora curato, ospitavamo barbecue e donavamo a chi era meno fortunato di noi – perché persone simili c'erano.

Ora tutto ciò apparteneva al passato.

Presto non ci sarebbe stato nulla, perché il mondo che conoscevo stava per scomparire, ma ancora non lo sapevo.

Non rividi più mio padre.

Salì nell'auto della polizia insieme a mia madre.

Il desiderio degli agenti di infliggere loro stessi una punizione era palpabile. Immagino lo abbiano fatto poco dopo, in un qualche luogo dove noi non potessimo vedere. Avevamo visto troppo, ora come ora.

Mio padre morì in una prigione federale ad Atlanta, verso la fine della sua condanna. Molti anni dopo, quando cominciai a predicare, incontrai un ex prigioniero che si ricordava di questo Seed il Vecchio Pazzo, come era conosciuto allora. Mi disse che era morto in prigione cadendo da una rampa di scale. Era stato davvero un incidente? Difficile a dirsi. Ma ricordo che i sermoni di mio padre potevano essere molto seccanti.

Non sento la mancanza di mia madre. Era già un fantasma quando vivevamo tutti sotto lo stesso tetto. Oggi starà di certo infestando un qualche ospizio, senza dubbio grata di essere lontana dall'uomo che le aveva cancellato la vita. Potrebbe essere già morta. O in ogni caso lo sarà presto, come tutti gli altri.

Per prima cosa ci portarono in un orfanotrofio, dove medici e psicologi ci visitarono. Capii in fretta che aveva poco a che fare con la premura. Si trattava di determinare l'ammontare di abusi che avevamo subito piuttosto che della cura delle nostre ferite. La nostra sofferenza avrebbe potuto renderci violenti e poco adatti. Avremmo potuto rappresentare una minaccia per la società. E questo andava evitato ad ogni costo.

Mi diedero una bambola di pezza e mi chiesero di indicare dove mi avesse toccato, ma fortunatamente ero uno dei pochi bambini nell'orfanotrofio ad essere stato solo picchiato.

Mi misero davanti delle macchie d'inchiostro e mi chiesero cosa vedessi. Vidi farfalle, ballerini, animali schiacciati, cigni neri, teschi, nani e una bambina coi codini la cui pancia era stata squarciata. Era tutto perfettamente normale. E parlai di ciò che la Voce mi aveva detto. Gli uomini in camice bianco mi parlarono di amici immaginari, disturbo post-traumatico da stress, meccanismi di difesa del subconscio, schizofrenia transitoria e ferite emotive – non capii nulla di tutto ciò.

Capii solo una cosa, che ero stato scelto.

Alzando le mani alla fine mi dissero di tenere la bocca chiusa riguardo alle cose che sentivo se avessi voluto trovare una famiglia prima di raggiungere l'età per cui io e la Voce nella mia testa saremmo potuti essere buttati in mezzo alla strada.

Decisi di stare zitto.

Alcuni mesi dopo i servizi sociali piazzarono tutti e tre da una coppia senza figli che viveva in una piccola città non lontana da Rome. Non appena fummo in macchina, scendendo lungo le stradine sterrate che ci avrebbero portato alla casa dei nostri tutori – che gli assistenti sociali ci dissero di non esitare a chiamarli mamma e papà - cominciarono a parlarci del nostro nuovo inizio, della nostra nuova vita. Ci erano stati promessi amore e aria fresca. Sognavamo torte messe a raffreddare sul davanzale della finestra e risate sotto a coperte spesse. Ci immaginavamo a costruire recinzioni, spingere un tosaerba per tutto il prato di fronte a una casa dipinta di bianco. Pensavamo che saremmo cresciuti in mani amorevoli. Pensavamo che stessimo vivendo in uno show televisivo.

Ma ciò che ci stava aspettando era persino peggiore dei nostri genitori. Questa coppia non voleva bambini, voleva schiavi.

Ci trattavano come bestiame. Lavoravamo prima e dopo scuola finché non ci addormentavamo, senza un solo giorno di riposo. Ci prendevamo cura degli animali e del giardino. Cucinavamo, pulivamo la casa e facevamo il bucato per i nostri tutori o meglio i nostri padroni.

Non potevamo lamentarci. Non ci pensavamo neppure, a provarci. Il mondo degli adulti era troppo ostile nei nostri confronti. Dovevamo gestire tutto da soli. Eravamo bambini lavoratori ammanettati al banco da lavoro, bambini soldati sulla linea del fronte, più disprezzati dei mendicanti e dei lavoratori alla giornata che uno cerca dall'altra parte del confine, nei mercati di schiavi con un altro nome.

Dormivamo in un fienile e venivamo nutriti solo perché altrimenti non avremmo avuto le energie per lavorare.

Oggi so che questa era una prova a cui dovevamo sottoporci per rafforzarci e prepararci per il difficile compito che ci attendeva, per aiutarci a capire quanto questo mondo fosse imperfetto e meritasse di scomparire.

Soffrivamo quotidianamente, venivamo picchiati, ma divenimmo anche più resilienti, più forti.

E un giorno Jacob fu forte abbastanza. 

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 08, 2019 ⏰

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