Capitolo 2.1 - "Cattive acque"

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Milano, 13 novembre.
Eleonora, primogenita dei Bordani, attende con ansia l'arrivo ormai prossimo del treno per Bologna, in partenza dalla stazione centrale.

Alta, capelli biondo scuro fin sulla spalla, occhi azzurri identici a quelli di suo padre, Eleonora si è sempre tenuta lontana dalla sua città di origine, sin dall'estate del suo viaggio di maturità. Fu allora che decise di non tornare più, di fermarsi a Milano per iniziare il percorso universitario che l'avrebbe portata ad essere quello che aveva sempre desiderato, cioè un avvocato; la stessa Milano che le regalò poi Giorgio, l'amore della sua vita, e Paolo, l'unico figlio avuto con lui, venticinquenne come Giacomo.
Una vita costruita quindi tutta lì, sia per destino che per scelta, lontana da tutti i casini della sua famiglia a Bologna che continuava comunque a sentire assiduamente, ma che rivedeva solo in occasione delle festività e degli avvenimenti più importanti, per una settimana al massimo. L'ultima volta a settembre, alla morte di sua mamma Linda.

Qualcosa, ora, dev'essere cambiato. Senza avvisare nessuno, da sola, Eleonora sale sul treno che la riporterà proprio a Bologna, la città da cui ha voluto allontanarsi per non essere etichettata "figlia di papà", per non finire nell'intricata ragnatela di legami e sotterfugi che hanno da sempre contraddistinto i Bordani.
           
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"Buongiorno un cazzo!"
Questa la secca risposta di Gianni al radioso saluto di suo fratello, appena arrivato negli uffici del calzaturificio. Incravattato, con il vestito da signori che fino ad ora non aveva mai indossato, capelli tagliati e ben sistemati, Filippo si avvicina a Gianni dandogli una pacca sulla spalla, come a volerla prendere a ridere. Ma la voglia di scherzare, in quella stanza, è praticamente pari a zero.
Con una presa micidiale, Gianni gli afferra la mano per staccarla dalla propria spalla, lo allontana bruscamente dalla scrivania e, imbestialito, riprende a parlargli fisso negli occhi senza mai prendere fiato, come un fiume in piena.

"Cosa dicesti a nostro padre quel giorno? Che questa era l'occasione giusta per cambiare, per maturare? Solo a ripensarci mi viene da ridere. Tu sei sempre uguale, Filippo! Sei rimasto quel bambino troppo cresciuto che tutti conosciamo.
Stavolta ti era capitato fra le mani il giocattolo nuovo che aspettavi da tempo, quello che pensavi ti servisse per fare il salto di qualità. Ma tu il salto lo hai fatto nel vuoto.
E sai perché?
Perché quest'azienda non è un giocattolo; questa è una cosa seria, è una sfida più grande di te. E tu non sei in grado di fartene carico. Né ora né mai".

Pochi secondi per riprendere fiato. Con un fazzoletto di stoffa a quadri blu si asciuga quelle lacrime di rabbia miste a sudore che scolano veloci lungo il viso.
Poi si abbandona a parole di rimpianto.

"Ma il coglione più grande di tutti sono stato io! Io che ho ci creduto davvero, io che ho dato retta a te e a papà.
Avrei dovuto ascoltare Sandra. Lei sì che aveva ragione, sin dall'inizio.
Ma io le dissi che sarebbe andato tutto bene. Le ho promesso che ce l'avrei fatta, che ce l'avremmo fatta. E invece guarda, guarda qui!".

Mentre il suo tono di voce continua ad alzarsi sempre di più, Gianni tira fuori dal cassetto una cartella piena di fogli e gliela sbatte in faccia.

"Qui dentro ho appena archiviato le entrate e le uscite economiche del mese di ottobre. È stato il peggior mese da non si sa quando, forse dell'intera storia dell'azienda!
Sai che significa? Un mese, massimo due, e del Calzaturificio Bordani non rimarrà che il ricordo".

Per la prima volta dall'inizio di quello che può benissimo essere considerato un soliloquio, Gianni si interrompe.
Dai suoi occhi ora scendono lacrime vere, di dolore.
Per quanto si sia tenuto sempre ben distante dall'azienda e dai suoi affari, il solo pensarla chiusa e abbandonata lo fa stare male, lo logora dentro.
Anche Filippo, dopo aver incassato in silenzio tutte le parole di suo fratello, lascia scivolare qualche lacrima lungo le guance arrossate.
Ora crede sia giunto il momento di rispondergli, nonostante non sia facile.
Ma Gianni, dopo un sospiro profondo, cancella quasi totalmente la disperazione dal suo volto e, tornato serio, si scosta dalla scrivania e si alza per dare una sorta di ultimatum a Filippo, prima che egli possa prendere la parola.

"Nostro padre ci ha affidato un simbolo storico, il suo simbolo storico, con la speranza che fossimo in grado di collaborare per la prima volta e che riuscissimo a portare avanti il marchio Bordani al posto suo.
Ma noi stiamo fallendo e, come se non fosse già in cattive acque, stiamo dando il colpo di grazia a questo sogno divenuto realtà.
Il calzaturificio Bordani non merita di chiudere.
Prima che sia troppo tardi, potremmo venderlo a qualcuno che ne sappia più di noi e che lo risollevi mantenendo il nostro cognome.
Papà non ne sarà molto felice, ma dovrà farsene una ragione.
A meno che tu voglia mettere davvero la testa a posto e decidere di aiutarmi seriamente. La scelta è tua".

Dopo il discorso precedente, Filippo non si sarebbe mai aspettato queste ultime parole, quest'apertura nei suoi confronti.
Gianni ha voluto descrivergli la verità nuda e cruda, usando toni anche molto accesi, per poi dargli un'ultima possibilità.
E guardandolo negli occhi, capisce il perché: il desiderio di andare avanti, di dare ancora seguito a quel "sogno divenuto realtà", è più forte di ogni altra cosa.

Il tempo di rispondere, purtroppo, non c'è.
Giacomo, senza bussare, entra nell'ufficio e gli bastano poche parole per lasciare di stucco sia suo padre che suo zio.
"Mi ha chiamato zia Eleonora. Sta tornando da Milano, da sola, e qualcuno dovrebbe andare a prenderla alla stazione".

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