Capitolo I

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Non ho mai amato dover dipendere dalle cose e tantomeno dalle persone, ho sempre voluto avere il controllo di tutto.

Non fumavo, non bevevo, non andavo a chiedere soldi ai miei o aiuto agli altri.

Dovevo cavarmela da sola, in qualsiasi momento.

La situazione però era degenerata quando mi avevano licenziato dal mio lavoro in un ristorante di lusso, definito dai critici, e cito testualmente, "impeccabile".

Appunto, già questo doveva farmi capire che non faceva per me.

Certo, la paga era buona e riuscivo a permettermi l'università, ma non era ciò che volevo, e purtroppo l'avevo fatto capire anche al capo, rispondendogli "in modo non adeguato e con fare irrispettoso", o qualcosa del genere, non ricordo bene le sue parole. E ovviamente dato che i miei genitori vivono per il parere degli altri nei confronti della nostra famiglia, non avevano esitato un attimo per lanciarmi lo sguardo del "siamo molto delusi da te", anche se questa cosa non mi aveva toccato minimamente, a dir la verità.

Fatto sta che ero senza lavoro, e io avevo BISOGNO di soldi per andare avanti.

Quindi una volta uscita dal mio dormitorio ero andata a cercare qualche offerta lavorativa.

La fortuna purtroppo non sembrava dalla mia parte, perchè, di qualche lavoro interessante, non ce n'era neanche l'ombra.

E per migliorare la situazione aveva iniziato a piovere veramente forte, OVVIAMENTE ero a piedi e OVVIAMENTE senza ombrello, dato che fino a due ore fa non avrei mai detto che avrebbe iniziato a diluviare.

Per cui mi ero trovata costretta ad entrare dentro al pub in fondo alla strada.

Ecco, una cosa in cui credo è il destino.

E sono fermamente convinta, che quel giorno aveva iniziato a piovere proprio perchè il Fato voleva che io entrassi lì.

Perció m'ero incamminata verso un locale, che i miei non definirebbero sicuramente "grazioso e accogliente" anzi, direi l'esatto contrario.

Già mi piaceva.

Mi sentivo nel posto giusto, al momento giusto, e ció era quel che contava per me.

Per cui non avevo esitato un attimo, una volta intravisto il cartello "cercasi personale", ad avvicinarmi al bancone per chiedere informazioni, cercando di ignorare gli sguardi dei vari uomini ai tavoli.

Dopodiché ero andata verso la porta che il barman mi aveva indicato, per poter parlare con il proprietario.

Ero uscita circa venti minuti dopo, decisamente soddisfatta, avevo trovato il lavoro perfetto.

Dovevo andare lì solo nei weekend dalle sette di sera a mezzanotte e mezza, pagavano bene, e non dovevo fare altro che servire i clienti, e il venerdì sera avrei dovuto anche aiutare con l'organizzazione dello spettacolo, che puntualmente si svolgeva ogni settimana, niente di troppo impegnativo o con troppe responsabilità, perchè a differenza del ristorante, questo luogo non pretendeva di risultare "impeccabile" e a me andava più che bene.

Era tutto decisamente come volevo io, ora non dovevo fare altro che dirlo ai miei e a Ryan, il mio ragazzo.

So di non avere un rapporto particolarmente forte con i miei genitori, soprattutto perchè caratterialmente siamo gli esatti opposti, ma mi sentivo in dovere di dimostrargli che non ero una delusione, come credevano che fossi, e il fatto che avessi trovato lavoro in così poco tempo, lo dimostrava decisamente.

Quindi, sicura dell' ottima reazione che avrebbero avuto, mi ero subito fiondata a casa loro, invitando anche Ryan.

Una volta a casa avevo riunito tutti e avevo dato la splendida notizia, ma anche questa volta, le mie aspettative erano completamente sbagliate.

"Johanna, tu mi staresti dicendo che preferiresti un lavoro così a quello di cameriera in un ristorante di lusso? Staresti scherzando? Hai idea dei pericoli che rischi in un pub? Gli uomini ubriachi non ti terrorizzano? Noi non siamo una famiglia che fa... Questo. Noi lavoriamo nei posti migliori, noi abbiamo il meglio." Urlava mia madre, sul viso di mio padre, ancora stampato quello sguardo di delusione.

Io non li capivo, decisamente.

Ryan non parlava, non mi guardava nemmeno, il che mi aveva fatto capire che neanche a lui era piaciuta la notizia.

Nel mentre mia madre continuava a gridare e mio padre si era aggiunto a lei.

Tutto ció che volevo fare era tirare fuori un po' di grinta per ribattere.

Le parole fremevano per uscire dalla mia bocca, il sangue mi ribolliva nelle vene.

Non potevo sopportare oltre.

Le loro urla non mi spaventavano, anzi, mi spingevano ancora di più a non ascoltarli, ad andare contro tutto quel che dicevano.

Questa volta non l'avrebbero avuta vinta.

Nessuno mi avrebbe fatto cambiare idea.

Avevo bisogno di quei soldi, non mi avrebbero fermato.

Volevo la mia indipendenza.

Così con voce stranamente calma e decisa avevo detto: "Questa volta non vi ascolteró, anzi me ne frego altamente del giudizio degli altri, io lavoreró in quel pub, che lo vogliate o meno."

Ed ero uscita da quella casa, seguita da Ryan.

Questo mi aveva fatto capire, che la questione non era ancora chiusa.

"Non voglio che tu lavori lì." Mi aveva detto, forse non aveva sentito quel che avevo detto due minuti prima?

"Cosa? Non hai capito, ho già accettato, è il mio lavoro, ne sono contenta." Aveva la fronte corrucciata e un'espressione seria in volto, ma non sembrava arrabbiato, solo preoccupato.

"Jo, tu sai benissimo che sono un ragazzo geloso, no? Sapere che lavori in un pub certamente non aiuta, là è pieno di ragazzi che passerebbero la serata a guardarti e a provarci, non voglio, tu sei mia."

Scelta di parole sbagliate Ryan, decisamente.

"No. Non sono tua. Non dirlo mai più, sai benissimo che mi dà fastidio, non sono l'oggetto di nessuno e non appartengo a nessuno. Oltretutto stai mettendo in discussione la mia fedeltà nei tuoi confronti, cosa che davvero, non mi aspettavo, considerando che sto con te da quattro anni, quindi, che ti piaccia, o meglio, che vi piaccia o meno, io lavoreró là. Fine della discussione Ryan."

Detto questo, aveva sciolto la sua espressione corrucciata e aveva bisbigliato un misero "okay", come se tutto fosse okay veramente.

Insomma, dovrebbe fidarsi un minimo di me.

Dopodiché mi aveva lasciato un leggero bacio sulle labbra e se n'era andato.

ADDICTED [n.h.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora