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La Zündapp KS 750 affrontò l'ultimo rettilineo alla ragguardevole velocità di ottanta chilometri all'ora. Il rombo scoppiettante spaventò alcuni passeri, che si alzarono in volo coperti dalla polvere.

La motocarrozzetta fece un gran baccano quando entrò dal cancello aperto e seminò sassi intorno contro la parete dell'edificio di guardia. I prigionieri che lavoravano il cemento non sollevarono le teste rapate e proseguirono nell'impegno della giornata; fra loro, un Philippe conscio del ritorno dell'ennesimo ufficiale nazista dopo una sortita nel Campo principale di Natzweiler-Struthof – così vociferavano i francesi da quella mattina.

Tuttavia, con la coda dell'occhio, 55694 vide il guidatore poggiare la lunga gamba coperta di stoffa grigioverde e reggere il manubrio dopo aver inclinato la motocarrozzetta. Seguì la gestualità delle mani che sollevavano gli occhiali da motociclista e li appoggiavano sopra la visiera del berretto.

Il viso immoto di Andreas Jüttner ricambiò la fissità diagonale di Philippe.

Dopodiché la SS lasciò la Zündapp KS 750 a un attendente – non prima di aver preso un plico di documenti dalla borsa con le fibbie, legata al parafango della ruota posteriore –, e si diresse verso la Sede del Comando. Aprì la porta. Sul pavimento scorse la danza di foglie scricchiolanti entrate dalla finestra lasciata aperta e in là, di spalle a un armadio, uno degli uomini più fedeli di Buck.

«Il Comandante?» chiese .

«Arriva, è andato al bagno.»

Buck tornò con un'espressione disgustata, preceduto dal passo lento della gamba di legno, e si accomodò sulla poltrona. Salutò Jüttner in un tono secco e mentre si sistemava la cintura da seduto gli chiese: «Allora?»

«Ho inoltrato la vostra risposta e non hanno obiettato.»

«Qui ci sono pochi prigionieri per essere mandati alla fabbrica dell'Audi. E adesso che lo dite, ce ne sono già molti che lavorano per l'officina meccanica della Mercedes-Benz.»

«Comunque ne vogliono almeno duecento per il Campo Principale.»

«Ancora con quella storia?»

«Sì. Vogliono braccia per estrarre il granito dalla cava.»

Il Comandante Buck guardò il soffitto di legno, picchiettando i baffi scuri che scendevano ordinati sugli angoli della bocca, e poi abbassò gli occhi e li puntò verso la finestra.

Le colline erano diventate grigie e marroni, con gli ultimi pascoli d'altura ricoperti di un'erba corta color oro e malachite. Resistevano i ceppi rossi dei faggi; le montagne erano blu in lontananza e vi aleggiavano nubi bianche e nebbie azzurre.

«Gli daremo gli ebrei. Laggiù c'è il crematorio.» Buck toccò con il dorso della mano i documenti e la richiesta che il sottoposto aveva appoggiato al tavolo. «A questo proposito, mi trasferirò in via definitiva a Natzweiler-Struthof. Lascio a voi e a un mio fidato la gestione di questo porcile.»

Andreas Jüttner annuì.

Buck accarezzò la gamba sinistra e ne sentì la solidità. Per un breve attimo pensò alla guerra e ai combattimenti che si protraevano da quattro anni. Per tutti gli altri sarebbe finita come con la Prima Grande Guerra, ma non per il Reich. «Ho sentito che di tanto in tanto portate qualche prigioniero al magazzino delle provviste. Continuate a divertirvi a farli spasimare, eh? Siete sadico. Ma d'altronde, questa teppaglia è qui perché non sa resistere all'istinto. Un sottocampo è la soluzione adatta, almeno finché si possono recuperare. Con quelli che non hanno speranza è meglio farla finita in fretta.»

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