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Cinq cinq six neuf quatre!

Philippe spazzava un mucchio di pezzi di legno e cemento, i ruderi delle baracche abbattute. Cercò la provenienza della voce e vide nove prigionieri venire verso di lui. Non c'erano guardie nei dintorni, mancava mezz'ora all'appello della sera, ma per i francesi era meglio non chiamarsi con il loro nome. Ogni cosa nel Campo aveva le orecchie, ben drizze e ricettive.

55694 s'appoggiò alla pala con i palmi delle mani che pulsavano per il lavoro di un intero pomeriggio all'aria aperta. Era vero che quel gennaio non aveva niente a che fare con l'inverno terribile di quattro anni addietro, ma lui non portava i guanti. L'unica concessione che aveva ottenuto era di avere un sacco di cemento vuoto a contatto con la pancia e uno con la schiena, nascosti sotto la casacca di treliccio. Li aveva procurati anche per alcuni amici che considerava intimi, se si poteva parlare di amicizia in un contesto fragile e bestiale come il Campo.

I nove gli si avvicinarono con i visi senza espressione, facce da prigionieri. Uno dei più bassi disse a Philippe, a voce appena udibile: «Padre Bourgeois ci vuole vedere subito, ha indetto una riunione. Vuole parlare di una cosa che ha sentito, di uno sbarco che gli Alleati stanno preparando per occupare la Francia.»

Philippe tergiversò spostando con gli zoccoli alcune grosse schegge di legno. Non andava alle Messe né alle veglie che il prete officiava di notte per i morti né alle riunioni segrete. Non si fidava delle chiacchiere, ma la penultima e l'ultima notizia si erano avverate: il Comandante Jüttner e il suo fidato Linnemann, il sabato precedente avevano rastrellato le baracche degli ebrei finché avevano radunato l'ultimo giudaico con la stella gialla di David e li avevano consegnati a Buck, venuto di persona a prenderli con dei camion.

Philippe diede uno sguardo al Garage dei grandi automezzi e non trovò gli occhi di Andreas. Fece un cenno con la testa, lasciò la pala infissa e seguì con la docilità di un cane i nove che erano venuti a prenderlo.

Quattro dei prigionieri avevano il triangolo nero; tre di colore rosso e due erano come Philippe. Camminarono nella terra umida lungo il reticolato, passi trascinati e gravati dal legno degli zoccoli. Svoltarono e si trovarono lungo la strada che sulla destra fiancheggiava il puff, dove lavoravano le donne imposte da Buck per frenare l'omosessualità dilagante che si vociferava impregnasse Schirmeck – e non riguardava solo i prigionieri con il triangolo rosa.

Philippe si accorse che il terreno brullo alla fine del bordello era stato recintato. Doveva trattarsi dello stesso posto che Andreas gli aveva descritto una sera, mentre lui gli stava sdraiato con la schiena contro il petto e il Comandante cercava di spiegargli il tipo di verdura che intendeva piantare e s'era incaponito a tirar fuori una barzelletta sulle melanzane che non riusciva a tradurre. Brevi momenti in cui il contatto con Andreas lo rendeva di nuovo umano, faceva arretrare l'indifferenza e la fame.

Il colpo cadde dall'alto e impattò sul cranio rasato. Philippe si trovò con la terra in bocca e un dolore che dal centro dell'osso parietale scendeva fino alla nuca in cerchi che si allargavano. Ebbe il tempo di stupirsi, di pensare a un sasso tirato che rompe la superficie dello stagno, di assaporare sul palato la mota della valle della Bruche, e poi dimenticò tutto nelle fitte di bastonate che lo colpivano sulla schiena, sulle gambe, sul collo, sulla testa, sulle mani. Non erano bastoni lisci, non tutti. Alcuni dovevano essere rami caduti dagli alberi perché avevano le estremità aguzze, frustavano; le spine o le fronde morte si rompevano, laceravano la casacca e lasciavano intravvedere i sacchi sotto.

«Ecco la prova che è un traditore che si scopa le guardie!»

Philippe sentì che lo privavano del sacco sulla schiena, usciva dalla casacca nell'imitazione di una carezza. Avvertì il freddo secco della fine di gennaio, che innescò l'immagine di lui in piedi davanti a una Pâtisserie che attendeva un uomo che non era venuto, non sarebbe mai arrivato.

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