Trama
Ain, un giovane soldato, vede il suo sogno di diventare un ufficiale infranto per aver osato sconfiggere un nobile in un regolare duello.
Inviato in una missione senza ritorno, al posto di demoni furiosi e angeli senza misericordia trova uno sterminio.
Il merito non è del Prescelto annunciato dalle leggende o della Dea protettrice del regno, ma di una donna di cui nessuno aveva mai sentito parlare.
L'equilibrio che il conflitto aveva permesso va in pezzi, le maschere del Bene e del Male cadono, confondendosi tra loro.
Sarà la fine della guerra o l'inizio della tragedia?Estratto
Muliphein, assieme a due guerrieri di alto rango, attendeva con le braccia incrociate dietro la schiena l'arrivo del suo superiore. Una sacca pendeva dalla sua cintura e una bacinella, coperta, era ai suoi piedi.
La fiamma bianca si passò la mano sulla gola e si asciugò il sudore. Alle sue spalle i guerrieri dorati tenevano il volto duro come quello di una statua.
Zadok giunse una dozzina di minuti dopo. Muliphein prese la bacinella e i subordinati li fecero entrare. Oltrepassata la porta Zadok si sporse verso un abisso talmente buio da non poterne vedere la fine. Solo tenebre e oblio erano la condanna di uomini e bestie. Stupratori, assassini, mostri... ma quella condanna era considerata dolce rispetto a ciò avveniva nel carcere di Sirius. Zadok rabbrividì. Non sapeva cosa accadesse, ma per lui nemmeno un colpevole di lesa divinità avrebbe meritato tanto.
Fatta luce con un incantesimo, gli uomini passarono davanti a diverse celle chiuse dalle quali sporgevano mani macilente o dita artigliate. Ruggiti bestiali e urla umane li accompagnarono per tutta la discesa.
Solo da una stanza provenivano delle risate. Qualche folle mago doveva star sezionando un corpo senza vita, forse quello dell'Imperatore Oscuro in persona.
La discesa continuò silenziosa, le risate e gli strepiti affiancavano i passi dei due guerrieri come una macabra melodia.
Zadok si fermò. Aveva trovato la cella di cui aveva bisogno.
La porta di metallo era aperta e mostrava l'interno. Acqua sporca colava dal soffitto, un ratto sgusciò fuori, il fetore bruciò le narici.
Muliphein appoggiò la bacinella e chiuse la porta mentre Zadok illuminava la sala. C'erano uno strumento di tortura agganciato alla parete, un paio di sedie sporche e un tavolo.
Con perizia l'uomo dalla barba di bronzo adagiò il cesto e lo aprì. Era pieno d'acqua.
Dalla sacca prese una bottiglia piena d'alcool, una d'aceto, una caraffa che riempì d'acqua, un vaso e numerosi panni.
Zadok ridusse la sua corazza al globo color cielo e la consegnò al subordinato senza guardarlo; alzò poi i pantaloni, fino a farli arrivare alle ginocchia e si privò di stivali, calze e camicia.
La fiamma bianca trattenne il fiato. La schiena di Zadok era ricoperta da decine di cicatrici e lo stesso valeva per l'addome.
Era da sei mesi, che aveva quasi interrotto la pratica, al fine di essere nelle migliori condizioni possibili per la spedizione.
Zadok prese l'arma affissa. Si trattava di un manico metallico saldato a un gruppo di fruste di cuoio, rese ben più letali dai frammenti di metallo. Disciplina era il suo nome.
«Mio signore, è davvero necessario?» domandò Muliphein con timbro mesto.
«Ogni volta mi ripeti la medesima domanda, ogni volta avrai la medesima risposta.
Regulus è il nome della peccaminosa città dove sono nato. Altair era il nome di mio padre, fiamma d'oro che si unì ai ribelli.
Le colpe di mio padre e del mio popolo ricadono su di me. Forse, se io ne espierò una parte, otterranno il perdono.
Compiacendo la Sovrana, speravo almeno di poter riabilitare il mio nome. Ma l'ho delusa ancora di nuovo!»
Zadok represse ogni traccia del suo potere, lo spirito avrebbe potuto attutire i colpi o alleviare il dolore. La frusta partì e lasciò nove profondi tagli sulla schiena muscolosa. Non un gemito uscì dalla bocca del guerriero. L'arma lasciò altrettanti segni dai quali il sangue scese copioso. Le corde cambiarono direzione e sbatterono sugli addominali e sui pettorali. Il sangue si sparse sul corpo e sul pavimento.
Muliphein sobbalzava ogni volta che le fruste schioccavano; ebbe la tentazione di chiudere gli occhi, ma si impose di non farlo.
Zadok si colpì altre tre volte senza lasciarsi sfuggire più di un flebile lamento. I frammenti di metallo lo ferirono ancora.
Il comandante ansimò e il sottoposto protese una mano in avanti, pronto a intervenire. Zadok ansimò, snudò i denti e liberò un grido di dolore e rabbia. Le gambe tremarono prima di cedere.
«Signore!» Muliphein afferrò il suo superiore e lo aiutò ad appoggiarsi alla spalla. «Lord Zadok, riuscite a sentirmi?»
Questi emise un rantolo.
«Avete esagerato ancora una volta, la vostra devozione non ha pari!» lo elogiò Muliphein.
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