1. La malattia

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"Professò! Professò!" Una calca di studenti creò una sorta di cerchio intorno a lui, non permettendogli di andare oltre il cancello che dava al cortile della scuola nella quale lavorava. Alcuni erano suoi studenti, altri non li conosceva nemmeno: probabilmente si erano aggregati al mucchio solo per curiosità, o per avere una scusa pur di non entrare subito in classe.

"Ma è vero che siete malato professò? Avete quella malattia...l'aidi, eh?" Chiese una ragazza che spuntava a fatica tra le altre teste: la scena somigliava in maniera quasi ironica alle interviste dei VIP che passano ogni tanto per i telegiornali, dove il paparazzo di turno cerca di farsi spazio tra la folla per aggiudicarsi per primo lo "scoop".

"Le voci girano in fretta, vedo.." Mormorò appena, per non farsi sentire, poi a voce più alta aggiunse: "Ragazzi, su che la campanella è suonata da un pezzo, lasciatemi passare!" Tentò di spingersi tra di loro per creare un varco: non ci riuscì ma almeno arrivò più in là, se avesse sforzato ancora un po' ce l'avrebbe fatta.

"Seh, Heidi, e le caprette ti fanno ciao! Ma sei stupida? Si dice Ai-di-e-sse!"
"Vabbuò, è uguale. Ma quindi ce l'avete?"

"Fatevi gli affari vostri, per piacere, ed entrate in classe: subito!" La sua espressione, lo notarono in molti, divenne più dura. Aggrottò le sopracciglia e strinse le labbra in una linea sottile, ed anche il tono di voce cambiò, più alto e autoritario.

"E allora è gay, professò...!"

Non si era mai sentito male, nessun sintomo: niente febbre, dolori o strane malattie. Era andato dal medico per i controlli di routine, che aveva imparato a fare periodicamente dopo la morte del padre a causa del diabete: aveva così tanta paura di contrarlo che aveva iniziato a farsi piacere pure il medico, che inveve tanto disprezzava da giovane.

Gli dissero che non se ne era mai accorto perchè il virus era in stato di latenza (gli avevano dato anche spiegazioni più tecniche, ma non le aveva ascoltate), lo avvisarono dei rischi, delle complicanze e della terapia con la stessa faccia di un chirurgo che deve informare i parenti dell'imminente decesso di un paziente.

Lui sarebbe morto, era la sua unica certezza dopo aver letto l'esito degli esami. Per paura del diabete aveva fatto visite per anni, e per altrettanti anni aveva evitato tutto ciò che avrebbe potuto aumentare la possibilità di prenderlo: niente zucchero, niente cibo-spazzatura, mai una birra con gli amici, era anche l'unico in famiglia a non prendere peso durante le feste (cosa ardua lì a Napoli), perchè sapeva che anche solo un chilo in più lo avrebbe esposto al rischio, e quindi contava ogni grammo di cibo, quasi maniacalmente; prestava attenzione a qualunque probabile sintomo, li conosceva a memoria uno per uno, faceva ricerche come se avesse dovuto prepararsi all'apocalisse.

Tutto per niente, perchè a lottare non si vince mai.

Rischiava di morire ogni giorno da più di dieci anni e non lo sapeva, non aveva nemmeno mai preso in considerazione l'idea di poter avere l'HIV: insomma, perchè proprio lui, che era stato sempre attento?

Quel giorno fu il primo dopo anni che avrebbe ricordato come il peggiore della sua vita, non versò nemmeno una lacrima ma dentro di sè c'era già un mare in tempesta, con tanto di fulmini pronti a colpirlo e tuoni che avrebbero fatto sobbalzare qualsiasi essere vivente.

Pensava già alla reazione delle persone se lo avessero saputo, quante domande imbarazzanti gli avrebbero fatto? Come lo avrebbero guardato? L'ignoranza che ruotava intorno a quella malattia era elevata, sua madre stessa-immaginava-avrebbe pensato male di lui se l'avesse saputo, forse si sarebbe vergognata, sicuramente gli avrebbe chiesto qualcosa come "e da quanto ti droghi, figlio mio?", per poi scoppiare a piangere e chiedergli cosa avesse sbagliato con lui: un po' sorrise alla sua immaginazione, conosceva tanto bene sua madre da riuscire a prevedere anche il tono che avrebbe usato.

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"Gennà dai, non stai morendo, dovrai solo prendere qualche pillola in più!" Sbuffò Luigi, che aveva ascoltato tutti i suoi deliri. Luigi lo conosceva da quando lo avevano trasferito al Galileo, solo tre anni prima: erano entrambi precari e quella da all'ora fu l'unica cosa che riuscì ad accomunarli. Per il resto, si chiedevano spesso perchè fossero rimasti amici, tanto diversi quant'erano: uno insegnava letteratura, l'altro storia dell'arte, uno era rigido e composto, l'altro un bambino con qualche dente in più; fisicamente poi, Gennaro poteva essere associato ad un armadio, Luigi ad un comodino (come lo aveva chiamato una volta un'alunna di quinta).

"Ho lottato anni per evitarlo, e adesso mi ritrovo nel vuoto più totale, lo zero assoluto! Nemmeno mi garantiscono la vita, a questo punto avrei preferito il diabete!"

"Eh no eh!" Si alzò di scatto dalla sedia, "Avrei preferito il diabete? Seriamente? Dopo avermi rotto le palle ogni sabato sera perchè la pizza no, la birra no, il cazzo di programma di cucina in tv no, perchè non sia mai che vedendolo i tuoi "geni del diabate ereditari" decidano di farti visita!"

"Non ho mai detto quell'ultima cosa..."

"Ma sicuramente l'avrai pensata, scemo quanto sei! Adesso chiudi la bocca e mangiati sto panino: ti ricordi almeno il sapore?"

Ciao a tutti.
L'ultima volta che ho scritto qualcosa qui su Wattpad stava per finire l'estate: è passato quasi un anno. Non posso dire molto se non "spero che vi piaccia", a presto!

P.S Pubblicherò almeno 1 capitolo a settimana, poichè ne ho molti già pronti.

Non Vince MaiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora