18. Sintomi

39 2 1
                                    

Si stava pettinando i capelli quando accadde: una grossa ciocca rimase tra i denti del pettine e lui si immobilizzò.

Non sarebbe riuscito a nascondere la sua malattia ancora a lungo. Prima o poi i capelli li avrebbe persi tutti, e tutti se ne sarebbero accorti. Lasciò stare la sua capigliatura e uscì dal bagno per preparare la borsa.

Aveva rivisto Anna altre tre volte in quelle ultime settimane, lei era splendida come sempre e lui abbastanza impacciato da sembrare stupido.

Ogni volta aveva comprato la crostata a Demian, scusa perfetta e banale per chiacchierare con la mamma, e provato ad azzardare qualche conversazione che non era mai andata in porto.

Lo aveva raccontato a Luigi, il quale in realtà non era molto attento al suo racconto, e nel farlo si era accorto di non sembrare stupido, ma di esserlo diventato.

La verità era che Anna gli piaceva, e tanto, ma lui non era in grado di provarci sul serio. Era passato troppo tempo dalla sua ultima relazione.

Si chiama Elena, avevano enteambi 32 anni e prospettive troppo diverse per poter essere condivise insieme: si erano frequentati per un anno. Non avevano niente in comune a parte la professione; la fine del loro rapporto era stata una conseguenza naturale, scontata quasi, delle loro divergenze.

Lei non voleva sposarsi, non voleva figli ed era pronta a trasferirsi in qualunque paese per fare carriera; era forte, indipendente, ambiziosa, aveva carisma e una forte passione per la vita. L'aveva amata con tutto il cuore ma probabilmente non nel modo in cui avrebbe dovuto amare una compagna.

Con l'immagine di quella ragazza appena sfumata dai suoi ricordi per lasciar spazio ad un altro sorriso, più fresco e vivido, uscì di casa con l'intenzione di raggiungere la scuola. Fece solo pochi passi prima di sentire un clacson e, subito dopo, intravedere Luigi dal finestrino della sua auto.

"Sali, ti do un passaggio!"

Di solito avrebbe opposto resistenza fino a farlo desistere pur di fare i suoi chilometri giornalieri a piedi, ma nelle ultime settimane lo aveva visto così poco che non poteva perdere quell'opportunità.

Si sedette sul sedile del passeggero e guardò diritto davanti a sé, aspettando qualcosa da parte sua.

Luigi aveva un gran cuore, era empatico ed intelligente: Gennaro era certo che avesse capito e che presto avrebbe avuto le sue scuse.

Ma lui non disse nulla, allora il più grande sbuffò e strinse la maniglia con più forza: "Sei sparito." Disse secco, senza preoccuparsi di nascondere il fastidio.

"Possiamo non parlarne adesso?"

Era calmo, parlava lentamente e aveva lo sguardo disteso, tranquillo, come se per lui il problema non sussisteva: la cosa lo fece infuriare ancora di più.

"No! Diavolo, no che non possiamo!" Sbottò.

Luigi gli lanciò un'occhiata e sospirò. Parlò dopo qualche secondo: "Sì, hai ragione".

"Non voglio che tu mia dia ragione!" Sbuffò, "Voglio che mi dica cosa c'è che non va!"

Ormai erano arrivati, così staccò le mani dal volante, si voltò verso di lui e lui vide i suoi occhi, scavati da due occhiaie violacee e tanto lucidi da sempre sul punto di piangere.

"Hey...io non volevo-".

"Hai ragione sul serio! E mi dispiace, ok? Sono un amico orribile, lo so. Scusami."

"Ora non essere melodrammatico" Ruotò gli occhi e sorrise leggermente. "Sono io a sentirmi un amico orribile, perché non riesco a capire cosa ti prende. É che non mi dici più nulla, ma io ho bisogno di saperlo."

"Farai tardi in classe..."

"E chissenefrega!"

Ridacchiò prima di farsi serio: "Grazie". E iniziò: "Ho fatto un po' di cavolate negli ultimi giorni. Non volevo darti altre preoccupazioni."

"Me ne sono accorto. Che hai combinato?"

"Credo che tu lo possa immaginare...ma il problema é che qualche giorno fa ho bevuto un po' troppo, e gli ho inviato un messaggio...Dio, che idiota!"

Lo guardò, sbattendo le palpebre, perplesso. Un sorriso involontario, che cercò di reprimere per non offenderlo, si fece spazio sulla sua bocca: "Fammi vedere questo messaggio".

Gli passò il cellulare, aprì la chat WhatsApp con il contatto di Rian, ancora segnato con un puerile "Amore"(era proprio da Luigi). C'era un messaggio abbastanza lungo, visualizzato ma senza risposta.

Finì di leggerlo e scoppiò a ridere.

Il suo amico la guardò con indignazione e imbarazzo, si lagnò di smetterla di prenderlo in giro e terminò in un "cosa dovrei fare adesso?".

"Luì, gira questa macchina e vagli a parlare." Disse con più mitezza, ma poi ricominciò a ridere, così forte che sembrava singhiozzasse: "Mi dispiace ma é l'unico modo per salvare il tuo onore...Che figura di merda!".

"Sei uno stronzo, Gennà. Dai scendi prima che ti prenda a calci!" Sbuffò, gesticolando casualmente per indicargli la portiera.

"Eh, che modi" Si asciugò le lacrime ai lati degli occhi e prese un respiro profondo per ricomporsi. "Poi mi racconterai come va".

"E a te con la biondina come va?"

"É troppo bella per me. Sparisci ora!"

Quello sfrecciò via e così Gennaro rimase solo. Camminò verso l'ingresso, ignorando il mal di testa che gli offuscava la vista e deciso a continuare così per tutta la mattinata.

Doveva finire l'anno scolastico, lo doveva ai suoi alunni: a Lorenzo, a Sara, a Maria e perfino a Giuseppe. Li aveva accompagnati in quel percorso per cinque anni: non li avrebbe abbandonati quegli ultimi mesi. Poteva farcela.

Non riuscì a quantificare quante volte vomitò, in ospedale; per la prima volta aveva desiderato avere qualcuno accanto, almeno per tenergli la testa. Eppure aveva insistito così tanto per non farsi mai accompagnare da nessuno...

Non aveva nemmeno fatto caso a chi fosse accanto a lui, troppo occupato a costringersi al ritegno. E poi, quasi come se qualcuno avesse voluto dargli un premio per tutta quella sofferenza, due occhi cristallini catturarono la sua attenzione.

"Hey...come sta andando?" Sorrise Anna, e sorrise anche lui, per ricambiare quella costante cortesia.

"Abbastanza male, ma passerà". Non ci poteva credere di averlo detto sul serio. Non perché fossero le sue prime parole dopo più di 6 ore di silenzio, ma perché quella positività gli era del tutto nuova. Lui era in assoluto la persona meno positiva che conoscesse. La cosa lo fece sorridere ancora, più spontaneamente.

"Ottimo spirito! Dai, quando finisci ti offro un caffé. Devo ripagarti tutte le crostate di Demian!"

Questo è il penultimo capitolo!

Non Vince MaiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora