| l'inizio della fine |

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Era una fredda mattina di novembre, e il cielo era oscurato da nuvole che sembravano in procinto di riversare la loro acqua sul piccolo paesino sottostante.
La strada principale era silenziosa, se non per qualche macchina solitaria che la percorreva. Da una delle tante case dalle tegole rosse in fila sul ciglio della strada sbucó una donna sulla sessantina vestita di bianco e una crocchia ordinata che teneva tirati i suoi capelli arancio-rossastri.
Erano le 7 e 42 del mattino e chi abitava lì da un po' sapeva che la signora usciva di casa sempre alla medesima ora. Camminava con passo affrettato, anche se non era in ritardo. Portava una cartellina azzurrina con dentro una serie di fascicoli sotto il braccio, mentre con l'altra mano manteneva una borsa elegante da lavoro.
Passò davanti ad una panchina dove era seduto un signore anziano, che salutò la donna con un fugace gesto della mano. Lei non lo degnó di uno sguardo, come faceva ogni mattina.
Il vecchio ormai ci aveva fatto l'abitudine, erano ormai anni che si incontravano alla stessa ora e nello stesso luogo di sempre, ma nonostante l'uomo sapesse che lei non avrebbe mai risposto al suo saluto ci continuava a riprovare, giorno dopo giorno.
La donna si fermó all'angolo della strada, come in attesa di qualcosa. Dopo pochi secondi sbucó dalla strada un'auto nera con i finestrini oscurati. La donna salì e chiuse la portiera dietro di sé.

«Buongiorno, Andrés» disse la donna

«Buongiorno a lei, signora» rispose Andrés, il conducente

Dopo un'attimo di silenzio, l'uomo continuó a parlare
«Tra tutte le persone che devo accompagnare al quartiere, signora, lei è la mia preferita. È sempre puntualissima, e a volte anche in anticipo»

«Grazie, Andrés. Sarà perché da quando lavoro al quartiere devi essere sempre puntuale,e poi ci si fa l'abitudine»

Passarono il resto del tragitto in silenzio. Quando l'auto si fermó, la donna scese e salutò Andrés
che rispose con un semplice «Buona giornata e buon lavoro»

Appena la donna varcó la porta dell'edificio, fu investita da una serie di impiegati, vestiti dello stesso colore della signora.
Alcuni di loro le posero fogli da firmare e dicendole rapidamente di cosa si trattasse. Lei però ignoró tutte le richieste e passó avanti, lasciando dietro di sé una scia di impiegati scontenti.
Entrò nell'ascensore e schiacció il pulsante per il quarto piano sotto la linea del suolo. Inserì la sua impronta digitale per autorizzare la discesa e partì.

Il livello - 4 era il più riservato e chiuso. Gli autorizzati ad accederci erano solo una cerchia ristretta di poche e fidate persone. Lì regnava il silenzio, interrotto solo dal rumore dei passi della donna e qualche urlo che proveniva dalle stanze adiacenti al lungo corridoio.

Finalmente arrivò a destinazione e aprì con una tessera magnetica la terzultima porta sulla sinistra targata "laboratorio 21-EC"

Quella era una stanza particolare. Il vetro che la divideva a metà era anche il divisore tra ordine e caos.
Da un lato si trovava un laboratorio comune, con file di provette allineate e scienziati in camice, tutto perfettamente pulito.
Dall'altro lato del vetro si scorgeva una stanza scarsamente illuminata, dove un uomo e una donna con camicie di forza erano rintanati nei due angoli lontani dal vetro.
Lui aveva due profonde occhiaie che gli segnavano il viso, che un tempo poteva essere stato attraente, ma non in quelle condizioni.

La donna aveva i lunghi capelli neri arruffati e appiccicati al viso, e aveva uno sguardo che implorava pietà.

Erano terrorizzati.

Per quanto la lucidità potesse averli abbandonati, capivano bene che quello che stava per accadere era qualcosa di terribile.

«Dottoressa Cooper, è arrivata finalmente» disse uno degli scienziati

«Siamo impazienti di cominciare, ma ci serve la sua conferma» disse un'altra scienziata.

«Cominciate» sentenziò la dottoressa Cooper.

Questo fu l'inizio della fine.

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