“Suppongo che, da questo momento in poi, io ti sia debitore.” Passò una mano sul colletto della propria camicia bianca, pressoché inamidata, rialzando poi lo sguardo sulla ragazza che se ne stava in piedi di fronte a lui, con un’espressione di puro terrore a contrarre gli altrimenti dolci lineamenti del suo viso. “Sei stata tu a donarmi nuovamente la vita – se tale la mia esistenza si possa definire, non è vero?” Domandò, addolcendo il tono della propria voce che, seppur in tal modo leggermente variato, manteneva la consueta diplomazia, e quel sottile retrogusto di ridondante cortesia.
“Io non.. non sono sicura di averlo fatto.” Biascicò la sua interlocutrice in risposta, non ancora capace di bilanciare le emozioni esplose in lei in seguito ai recenti avvenimenti.
“Risponderò a tutte le domande che vuoi; d’altronde, mi sembra il minimo che io possa fare per dimostrarti la mia riconoscenza.” Asserì, avvicinandosi, per poi fermarsi proprio di fronte a lei. “Ma prima, permettimi di toglierti dalle mani questo..” Non le diede il tempo di comprendere ciò di cui parlava, che in un istante le sfilò il paletto che la ragazza stringeva nella mano destra, ancora tremante, senza alcuna cognizione di causa. “..non hai idea di quanto pericoloso possa essere.” Commentò subito dopo, in un sospiro colmo di pura amarezza, mentre il suo sguardo solcava con attenzione la superficie di quell’oggetto che avrebbe dovuto nascondere, non appena possibile.
“A dire il vero non ho idea di cosa sia successo, e credo che quel.. paletto?” Lo guardò, in cerca di una conferma in merito al termine utilizzato.
“E’ il termine più accurato, sì.”
“..credo che quel paletto al momento sia l’ultimo dei miei problemi.”
Sorrise, trasportato da tanta ingenuità, apprezzando quella che sembrava una pausa dai tragici risvolti familiari che lo torturavano. “Credo che avrai molti problemi, d’ora in poi, mia dolce ragazza.”
“Non sono nuova a questo genere di cose.” Schioccò in risposta, arricciando appena le labbra rosee. “Ah, e comunque mi chiamo Lydia.” Puntualizzò, intuendo già che non avrebbe amato particolarmente gli epiteti che le sarebbero stati affibbiati nel corso di quella conversazione.
“L’onore è mio.” Le tese la mano, lasciando che un cordiale sorriso appianasse in una sorta di tregua le distanze che avevano reciprocamente preso. “Il mio nome è Elijah.” Si incupì, in cerca delle parole giuste da dire, parole che temeva avrebbero potuto spaventarla, o addirittura sconvolgerla. “Da dove cominciare, vediamo..” Alzò nuovamente lo sguardo nel suo, inchiodando le proprie iridi di un intenso castano in quelle della ragazza, il cui colore pareva esprimere un’innocenza che lo turbò per un istante. “Hai mai sentito parlare di creature sovrannaturali, Lydia?”
Quattro ore e cinquantadue minuti prima.
“..e se avrai bisogno di aiuto in qualche materia, puoi sempre chiedere a me! Insomma, il professor Morrisey sa essere davvero terribile a volte, ma non spaventarti: la matematica è molto meno difficile di quanto non sembri!” Rise, subito dopo, spostando una ciocca di capelli dorati dietro l’orecchio, e puntando una mano sul banco, così da potersi poi reggere il mento con il palmo, aperto verso l’alto. “Oh, non che io pensi che tu non abbia mai fatto matematica prima, certo, ma sicuramente gli standard di questa scuola sono più alti di quelli da cui provieni tu, in California.” Scrollò le spalle, prendendo poi a mordicchiare distrattamente il tappo della penna con cui giocherellava. “Vieni dalla California, vero?” Domandò poi, sgranando gli occhi.
“Da Beacon Hills, in California.” Rispose a quel punto Lydia, piuttosto infastidita da tutto quel chiacchiericcio che continuava a distrarla dal suo accurato tentativo di ricopiare gli appunti che il professore continuava a scrivere sulla lavagna. “Qualcosa mi dice che i vostri standard in geografia, invece, siano un po’ scadenti.” Aggiunse, non avendo gradito quell’infelice commento sulla scuola da cui proveniva; accompagnò la frecciatina con un sorriso appena accennato, quasi di enfasi.
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