2

68 3 0
                                    

Heather non sprecò tempo, ora che aveva deciso di fuggire dalla nave. Se il capitano Birmingham tornava prima che lei se ne andasse, le probabilità di successo sarebbero notevolmente diminuite. Si sforzò di escogitare un modo per trarre in inganno George e si chiese se fosse possibile corromperlo con l'offerta di denaro. Ma che cosa avrebbe usato in tale remota eventualità? L'abito beige era l'unico oggetto di valore che possedesse, e si chiese se potesse essere una tentazione sufficiente a conquistarlo alla propria causa. Poi pensò all'uomo che aveva usato del suo corpo per il proprio piacere e ogni idea di corruzione svanì. Il domestico, certo, doveva essere troppo fedele a quel furfante borioso di capitano ovvero troppo timoroso di lui per correre rischi, lasciandosi tentare da un'offerta di corruzione. No, non avrebbe più funzionato. Avrebbe dovuto escogitare qualcosa di meglio.
Le balenarono alla mente molti piani, ma nessuno assunse una linea ben definita. Non sarebbe riuscito a corromperlo, per cui avrebbe dovuto far ricorso alla forza. Ma che poteva mai fare una fanciulla alle prese con un uomo che senza dubbio era molto più forte di lei? I muscoli scattanti di George erano facilmente in grado di trattenerla lì in attesa del capitano.
Heather si mise a frugare la cabina in cerca di qualcosa che potesse convincere l'uomo a consegnarle le chiavi dell'uscio, aprendo di scatto i cassetti della scrivania, rovistando freneticamente tra fogli e libri, persino nel baule di Brandon. Trovò soltanto un sacchetto di monete. Si lasciò cadere stancamente nella poltrona dietro la scrivania. I suoi occhi vagarono per la cabina, frugando ogni angolo e ogni recesso d'ombra nella stanza.
"Deve pur tenerla, un'arma, qua dentro," sbottò, contrariata perché il tempo non giocava certo a suo favore.
Lo sguardo le cadde sullo stipo. Levandosi di scatto dalla sedia, saettò attraverso la stanza e andò ad aprire le antine. Frugò freneticamente in ogni indumento che vi era appeso ma anche questa volta non trovò nulla. Con un singhiozzo di disperazione prese a estrarre ciò che era contenuto nell'armadio finché i suoi occhi non si posarono su una cassetta avvolta in un panno e posata sul fondo dell'armadietto.
"I suoi gioielli, probabilmente," pensò stizzita, sollevandola.
Tolse la cassetta dal panno che la proteggeva. I gioielli, ammesso che tale fosse il contenuto della cassetta, non rivestivano alcun interesse ai suoi occhi, ma lo scrigno stuzzicava la sua curiosità: di cuoio finemente zigrinato, era di elegante fattura e intarsiato d'oro con una grande "B" che spiccava sul coperchio. Non era molto voluminoso né profondo, ma Heather era certa che doveva contenere qualcosa di prezioso. La curiosità l'invase e non seppe impedire alle dita di aprire la cerniera e sollevare il coperchio. Heather trattenne il fiato per la sorpresa e levò una tacita preghiera di ringraziamento: posate su un fondo di velluto rosso, c'erano due delle più belle pistole a pietra focaia di modello francese che avesse mai visto. Non era molto esperta in fatto di armi da fuoco, ma suo padre ne aveva posseduta una di quel tipo, anche se non di così raffinata fattura. I calci erano di liscia quercia inglese, politi sino a brillare sontuosamente e fissati con pesanti fasce d'ottone alle canne di acciaio brunito. Il grilletto e le piastre dell'impugnatura erano in ottone finemente casellato, mentre il cane era in ferro battuto a mano, ben oliato per sopportare le ingiurie del tempo.
Heather esaminò le pistole, senza riuscire a scoprirne il meccanismo. Suo padre non gliene aveva mai mostrato il funzionamento. Sapeva che bisognava sollevare il cane per armare la pistola, e tuttavia le era completamente misterioso il modo di caricarla. Tacitamente imprecò contro la propria ignoranza e abbassò il coperchio dello scrigno su quelle belle armi, sforzandosi di escogitare qualcosa che le offrisse una probabilità di avere partita vinta con George. Lasciò vagare lo sguardo per la stanza in cerca di un qualche oggetto; magari qualcosa per dargli una botta in testa. Ma si rese conto, mentre cercava, che con tutta probabilità non poteva sperare di ottenere qualcosa di più che stordirlo. A meno che non riuscisse a metterlo fuori combattimento in qualche modo, non avrebbe avuto il tempo necessario per scappare.
Tornando ad aprire lo scrigno, ne trasse una delle pesanti pistole e la esaminò di nuovo. George avrebbe intuito che lei non aveva la più pallida idea di come si usasse la pistola? Se solo avesse finto di saperlo, forse sarebbe riuscita a spaventarlo abbastanza perché le consegnasse le chiavi della porta.
Cominciava a farsi coraggio ora, e un sorriso le illuminò il volto. Accostatasi alla scrivania e sedutasi, ne tolse carta e penna e si mise a scarabocchiare un messaggio per il capitano Birmingham. Avrebbe avuto bisogno di denaro, ma non si sarebbe mai permessa di farsi accusare di vendere il proprio corpo. Avrebbe preso una sterlina dal sacchetto di monete che aveva trovato poco prima e in cambio avrebbe lasciato il vestito beige. Era uno scambio più che onesto.
Piegò il biglietto e lo posò sopra la veste, poi nascose con cura una delle pistole sotto la pila di mappe e documenti, dove non avrebbe avuto la minima difficoltà ad afferrarla quando George fosse tornato col tè che aveva chiesto mentre il domestico raccoglieva il cocci dal pavimento. L'uomo era parso ansioso di compiacerla malgrado il pasticcio che aveva combinato, e aveva detto che avrebbe dovuto solo pazientare per un po' mentre spediva un uomo ad acquistare le foglie. La cosa aveva funzionato a meraviglia, concedendo a Heather il tempo di frugare la cabina in sua assenza. Ora la fanciulla nascose lo scrigno col monogramma in un cassetto della scrivania e riordinò la cabina in modo da non destare sospetti nel domestico, quando fosse entrato e avesse scoperto che era stata frugata da cima a fondo. Fatto ciò, Heather sedette a leggere un libro che aveva trovato sulla scrivania. Era il minimo che potesse fare, dal momento che l'aveva promesso. Avrebbe dimostrato al capitano Birmingham che non era una persona che fosse possibile trattenere controvoglia. Rise, immaginandosi l'accesso di rabbia di cui avrebbe fatto le spese George, per il quale riusciva a nutrire solo odio. Dopotutto, era stato lui a causare la sua disgrazia. Una ricompensa più che adeguata, pensò.
L'Amleto di Shakespeare non era di certo una lettura atta a placare i sui nervi già tesi. Cominciò a provare una certa apprensione per il ritardo di George e di tanto in tanto metteva da parte il libro per passeggiare su e giù per la stanza. Dopo qualche istante tornava ad afferrare il libro e si costringeva a leggere. Quando finalmente il domestico fece scattare la serratura dell'uscio e bussò, Heather lasciò cadere il libro e si alzò di scatto dalla sedia in preda a un acuto nervosismo. Sì costrinse a sedersi di nuovo e invitò con calma l'uomo a entrare. George aprì la porta, entrò e si voltò a chiudere l'uscio. In mano reggeva un vassoio con l'occorrente per il tè.
"Vi ho portato il tè, signorina. È buono e bollente." Sorrise e venne avanti per porgerglielo.
Era l'occasione che Heather aspettava. Sollevò la pistola dalla scrivania e alzò il cane.
"Non muoverti, George, o mi costringerai a sparare," disse. La sua voce le suonò strana alle orecchie.
George alzò lo sguardo dal vassoio e scorse l'enorme canna puntata su di lui. Si guardò bene dal giudicare faccenda risibile un'arma in mano a una donna. Le donne non si rendevano mai conto del pericolo che rappresentava. Il domestico impallidì.
"Getta le chiavi sul tavolo, George, e fa' bene attenzione!" esclamò Heather. Lo osservò mentre eseguiva il comando, appoggiandosi alla scrivania per dar sollievo alle gambe tremanti.
"Adesso cammina piano fino alla panchetta sotto la finestra," ordinò, senza distogliere lo sguardo da lui mentre si avviava nella direzione indicata. George attraversò la stanza lentamente, senza indecisione e con grandissima prudenza. Sapeva perfettamente quando occorreva esser cauti. Quando fu ritto davanti alla finestra, Heather si lasciò sfuggire l'aria dai polmoni in un lungo sospiro.
"Seduto, per favore," ordinò, sentendo tornare un briciolo di sicurezza.
Si accostò al tavolo, raccolse le chiavi, senza staccare gli occhi dal vecchio di fronte a lei, e arretrò in direzione della porta. Evitando di voltarsi, cercò a testoni la serratura, infilò la chiave nella toppa e la girò. La sensazione di prigionia svanì con uno scatto del chiavistello.
"Per favore, George, va' all'armadio ed entraci. E non tentare di fare il furbo perché sono piuttosto nervosa, e questa pistola è davvero molto sensibile."
George scartò l'idea di balzarle addosso. Era vero, la fanciulla era nervosa. Faticava a reggere saldamente la pistola nelle mani e serrava i denti sul labbro inferiore. Avrebbe sparato, se solo lui avesse accennato a fermarla, concluse. Si chiese se il dolore fisico conseguente alla collera del suo capitano sarebbe stato inferiore a quello di un colpo sparato dalla pistola che la ragazza stringeva in pugno. Sapeva che l'ira di quell'uomo poteva toccare punte altissime, se provocata. Era al suo servizio da lungo tempo. Provava molto affetto per il suo capitano e lo ammirava; a volte ne aveva anche paura. Ma dubitava che il capitano Birmingham l'avrebbe ucciso, mentre era certo che la pistola poteva spedirlo facilmente nella tomba, se solo tentava di strapparla di mano alla fanciulla spaventata. Si accostò all'armadio, entrò nell'angusto spazio e si chiude l'anta alle spalle.
Heather se n'era stata a osservare il domestico, pronta a fuggire se solo avesse accennato una mossa verso di lei. Esalò un sospiro di sollievo quando l'uomo fu al sicuro nell'armadio e si accostò all'anta e la spinse finché non udì uno scatto. Lo stipo non aveva un chiavistello all'interno, per cui avrebbe avuto tutto il tempo di scappare prima che venisse dato l'allarme. Andò alla scrivania e aprì il cassetto in cui aveva trovato il sacco contenente il denaro e prese la sterlina che le occorreva, lasciando la pistola scarica sul ripiano.
Non le ci vuole molto per raggiungere la porta, che si aprì senza far rumore. Non c'era nessuno nel corridoio, e si affrettò a raggiungere l'uscio che si apriva in fondo. Non aveva pensato al modo di uscire sul ponte della nave, e quando socchiuse la porta, la fuga le parve impossibile. C'erano molte persone a bordo, e la sua presenza non sarebbe passata in osservata. Ci dovevano essere alcuni mercanti venuti a ispezionare il carico, suppose, perché vide aggirarsi parecchi gentiluomini dall'aria florida e agiata.
Chiusa la porta, appoggio la testa al legno fresco della nave, in preda alla disperazione.
Che sarebbe accaduto quando avesse tentato di lasciare la nave? Soltanto il capitano e un paio di suoi uomini sapevano che si trovava a bordo. Che ne sapevano, di lei, quegli uomini? Perché non mostrarsi coraggiosa, s'impose. Almeno una volta. Bastava uscire e mescolarsi alla piccola folla.
Le tornò un filo di speranza. Questa volta aprì l'uscio senza esitare. Il cuore le batteva a tal punto che minacciava di scoppiarle nel petto. Costringendosi a sorridere, passò tra la folla con aria regale e aggraziata. Procedette a testa alta, rivolgendo lievi cenni col capo agli uomini che si voltavano a guardarla a bocca aperta. Le sorridevano e l'indicavano all'attenzione dei compagni. Un silenzio un po' teso calò sul ponte della nave mentre gli uomini la seguivano con sguardi di aperta ammirazione. Aveva destato il loro interesse, ma nessuno fece la minima mossa per fermarla. Quando sollevò appena la gonna, i loro occhi si posarono sulle caviglie graziose e sugli snelli piedini eleganti. Un gentiluomo alto, di mezza età, con la pelle scura, i capelli e il pizzo bianchi, le tese la mano. Heather gli sorrise con dolcezza, prese la mano e, mentre si allontanava da lui giù per la passerella, ne avvertì lo sguardo su di sé. Prima di scendere dalla passerella tornò a voltarsi e a sorridergli. Lui contraccambiò il sorriso e si inchinò con grazia, portandosi il cappello contro il petto.
Heather si rendeva conto di civettare vergognosamente, ma il pensiero che la sua partenza dalla nave sarebbe stata riferita fin nei minimi particolari al capitano Birmingham le fece scorrere nelle vene un'ondata di caldo piacere. Gliel'aveva fatta!
Molti erano in attesa di aiutarla a scendere dalla passerella. Le sciamarono attorno per avere il privilegio di prenderle la mano. Heather scelse tra loro quello più attraente e più elegantemente vestito e posò timidamente la mano nella sua. Gli chiese con dolcezza se potesse trovarle una carrozza e rimase stupefatta quando l'uomo, impetuosamente, partì alla ricerca di una vettura. Tornò dopo poco, chiedendole se poteva accompagnarla dove stava andando. Heather rifiutò educatamente e l'uomo, sia pure con riluttanza, l'aiuto a montare nella carrozza in attesa. La fanciulla lo ringrazio con garbo per l'aiuto prestatole. Lui le domandò dove abitava, ma lei non glielo disse, e a nulla valsero le sue insistenze. Heather si mostrò cortese ma silenziosa, e con un sospiro l'uomo lasciò cadere la sua mano e chiuse lo sportello. Quando la carrozza si mise in movimento, la fanciulla gli sorrise ma scosse il capo, avvedendosi che apparentemente l'altro aveva scambiato il suo sorriso per un incoraggiamento e accennava a inseguirla.
Quando la carrozza svolto all'angolo, Heather appoggiò le spalle allo schienale del sedile e sorrise. Sentì montarle dentro una risata isterica, tale era il sollievo che provava. Si rilassò e chiuse gli occhi e qualche tempo dopo la carrozza si arrestava dinanzi alla stazione di posta alla periferia di Londra. La fanciulla si recò immediatamente a riservare un posto sulla diligenza che l'avrebbe riportata a casa della zia.
Aveva già deciso in precedenza che sarebbe tornata in campagna. Non aveva altro luogo dove andare. Zia Fanny e zio John non avrebbero saputo ciò che era accaduto a William per un bel po' di tempo, anche ammesso che ne fossero mai venuti a conoscenza. Dubitava che gli amici londinesi di William fossero al corrente dell'esistenza di una sorella che vive in una piccola, squallida fattoria. Da parte sua era una semplice speranza, ma dopo aver visto il lusso in cui viveva William, non credeva proprio che avesse parlato granché della sorella. E poi, doveva allontanarsi da Londra mentre il capitano Birmingham si trovava ancora in porto. La fattoria dello zio era il luogo più sicuro dove andare.
Sarebbe rimasta dalla zia giusto quel tanto che sarebbe bastato a trovare un posto di lavoro altrove. Si sarebbe resa indipendente dalla donna il cui fratello era morto per causa sua. Era duro tornare, ma rimanere a Londra era impossibile.
Durante il viaggio di ritorno in diligenza, la sua mente era torturata dagli avvenimenti del giorno precedente. Si sforzò di scacciare i pensieri che la tormentavano e tuttavia i pensieri tornavano insistenti, ossessionandola senza pietà. Cercò di convincersi che nulla di quanto era accaduto era colpa sua, ma ciò contribuì ben poco a placare la pena per tutto quello che le era capitato. Non era più la stessa del giorno prima, una fanciulla innocente che si era recata a Londra, animata da grandi sogni e speranze riguardo al futuro che l'attendeva. Era una donna, ora, non più ignara delle carezze maschili, non più fanciulla.
Fece voto con grande determinazione che ciò non l'avrebbe mutata. Ora alle nozze le avrebbero procurato solo infelicità. Ma se proprio doveva restar zitella, almeno si sarebbe resa indipendente. Non sarebbe stata di peso a nessuno, soprattutto. E poi, in seguito sarebbe riuscita a trovare da qualche parte un'occupazione.
Il problema, adesso, era ciò che avrebbe detto a zia Fanny e a zio John. Doveva trovare una giustificazione per quel ritorno. Non essendo nei migliori rapporti con i congiunti, non poteva tornare dicendo di aver sentito a tal punto la loro mancanza in capo a una sola giornata, da scoprire che non poteva sopportare l'idea di vivere lontano da loro. Ciò avrebbe indubbiamente destato i sospetti della zia. No, avrebbe dovuto escogitare una menzogna plausibile.
Quando la diligenza giunse al crocevia del villaggio nei pressi della fattoria dello zio, si fermò solo quel tanto che bastava per permettere a Heather di smontare. La fanciulla ne discese senza neppure voltarsi a guardare e senza ricordare alcunché dei compagni di viaggio.
Imboccò la strada che usciva dal villaggio in direzione est, con il sole che ora proiettava ombre lunghe davanti a lei. Inconsciamente, più si avvicinava alla piccola fattoria, e più rallentava il passo. Quando alla fine arrivò alla meta, il cielo era nero come la pece e l'ora di cena era passata da un pezzo. Si accostò lentamente alla porta e bussò con mano leggera.
"Zio John, sono Heather. Posso entrare?"
Udì uno scalpiccio all'interno del cascinale, poi la porta si spalancò. Aveva sperato di vedere per primo lo zio. Ma era destino che non fosse così. Sulla soglia era ritta la zia, un'espressione di sorpresa sul viso.
"Che ci fai, qui?" domandò la donna stupefatta.
Era tempo di dire un'altra bugia. E Heather fu infastidita dall'idea che solo dal giorno prima si era ridotta a mentire su tutto.
"Quando è rientrato a Londra, vostro fratello a constatato che doveva recarsi a Liverpool a esaminare certe sete che desiderava acquistare. Ha ritenuto che fosse sconveniente per me trattenermi in città senza un'adeguata scorta." Quasi si strangolò pronunciando queste parole, perché la menzogna avevo un sapore amaro nella bocca.
"Be', sei un po' delusa, eh?" ghignò zia Fanny. "E pensare che sei andata fino a Londra aspettandoti di avere il mondo intero ai tuoi piedi. Ti serva di lezione, piccola stracciona boriosa. Sempre lì a pensare di essere una regina. E te ne sei andata in fretta e furia e dandoti tante di quelle arie, che si sarebbe detto addirittura che lo fossi. Adesso suppongo che tu sia disposta a sbrigare le faccende come prima di essertene andata."
"Se lo desiderate, zia," rispose Heather docile, sapendo che la vita accanto a quella donna ora sarebbe stata anche più dura. Ma qualsiasi cosa sarebbe stato meglio di ciò che il capitano Birmingham progettava per lei.
"Mi sta benissimo, signorinella, e apprezzerai il fatto di essere tornata a casa, oh, se l'apprezzerai," disse beffarda zia Fanny, intendendo esattamente il contrario.
Heather comprese, ma non replicò. Avrebbe accettato il trattamento riservatole dalla donna senza lagnanze. Con tutta probabilità era ciò che si meritava per essere stata così vanagloriosa da pensare che una vita di agi a Londra fosse qualcosa che le spettasse di diritto. L'unica cosa che le rimanesse da fare ora ero umiliarsi e fare ammenda.
"Be', vattene a letto, perché domattina dovrai alzarti a lavorare. Tuo zio è già a letto."
Heather non osò neppure accennare al cibo, ma il suo stomaco protestava così sonoramente che era certa che anche la zia doveva averlo notato. La donna però fece finta di niente, e Heather si rese conto che neppure vi avrebbe fatto cenno in seguito. Aveva mangiato ben poco quel giorno, col capitano Birmingham seduto vicino a lei. Le venne l'acquolina in bocca, ora, ricordando come avrebbe potuto essere saporito il cibo, se non fosse stato presente quel pazzo indemoniato.
Senza aprire bocca si ritirò nel suo angolo dietro la tenda, e lì si spogliò. La coperta era ruvida com'era sempre stata e certo si sarebbe rivelata inadeguata a proteggerla dal freddo com'era sempre accaduto in passato, a meno che... a meno che non riuscisse a trovare un posto di lavoro altrove. Ciò significava che avrebbe dovuto recarsi al villaggio e passare in rassegna i giornali cittadini che di solito contenevano inserzioni con le quali si ricercavano giovanette da impiegare in qualità di cameriere, istitutrici e simili. Non sarebbe stato difficile trovare qualcosa, ne era certa.
Ad onta della fame che le rodeva lo stomaco, sprofondò in un sonno senza sogni. Il mattino giunse per lei accompagnato da movimenti rapidi e aspri e da parole crudeli, quando la zia scostò la tenda e le gettò sul volto ancora sonnacchioso il vecchio abito smesso. La donna si chinò a scuoterla con mani impietose.
"Sveglia, lazzaroncella. Dovrai recuperare anche il tempo perso nei due giorni che sei stata via. Alzati, adesso," sbuffò.
Strappata al sonno profondo, Heather si levò a sedere sul giaciglio, ammiccando per snebbiarsi gli occhi. La zia aveva l'aria di una strega più ancora di quanto ricordasse, e Heather ne fu allarmata. Tremando da capo a piedi, si affrettò a balzare dal letto e a farsi scivolare sulla testa la vecchia veste sotto gli occhi scrutatori della zia.
Ebbe solo il tempo di afferrare un pezzo di pane stantio, prima che zia Fanny la spedisse a raccogliere legna da ardere. Quando uscì, trovò zio John così immerso nei suoi pensieri, da non manifestare neppure un briciolo d'interesse e rivolgerle la parola. Era intento a spaccare la legna e, allorché la vide, abbassò la testa sul lavoro. A Heather non sfuggì lo sforzo che faceva per non rivolgerle la parola e la cosa la ferì profondamente. Si chiese perché si sforzasse di ignorarla. Era come se lei fosse un mostro a due teste e l'uomo addirittura temesse di levare lo sguardo su di lei. Tutt'a un tratto le si insinuò nel cuore una sorta di disagio che la indusse a chiedersi se per caso lo zio non sospettasse qualcosa. Ma come avrebbe potuto?
Col passare della giornata Heather divenne certa che Zio John era turbato da qualcosa. Benché non le rivolgesse la parola, la osservava intento, quasi si sforzasse di leggerle nel pensiero. A disagio sotto quelle occhiate, Heather si sottraeva alla sua vista. Non riusciva a immaginare cosa lo preoccupasse, e non osava chiederlo.
All'ora di andare a letto era completamente esausta e crollò sul giaciglio, troppo stanca per fare il minimo movimento. I suoi pensieri, tuttavia, non erano altrettanto inattivi. Vide la forma prostrata di William Court con la stessa chiarezza come se si trovasse di nuovo ritta sulla soglia a guardarlo. Ma la visione svanì rapidamente quando su di lei, nel buio, incombette il volto del capitano Birmingham. Ne vide il sorriso beffardo, le forti mani brune che si tendevano ad afferrarla. Ne udì la risata divertita ancora una volta e, con un grido strozzato, si girò ad affondare il volto nel guanciale per soffocare i singhiozzi che la scuotevano, ricordando anche troppo bene la sensazione delle sue mani sul proprio corpo.
Il mattino albeggiò e Heather si alzò e si mise al lavoro ancor prima che la zia desse segno di svegliarsi. Aveva giurato, dopo le ore insonni che aveva trascorso sul giaciglio, che avrebbe sgobbato e sfaticato finché neppure un pensiero o un ricordo rimanesse a tormentarla. Avrebbe ritrovato la gioia del sonno attraverso l'estrema fatica.
Quando zia Fanny uscì dall'altra stanza, agganciandosi la veste di fattura casalinga sul petto enorme, Heather era in ginocchio a spazzare le ceneri dal focolare. La donna si accostò alla mensola per tenere in caldo le vivande, afferrò una focaccia d'avena e fissò Heather con la fronte aggrottata.
"Mi sembri un po' pallida stamattina, signorinella," ringhiò zia Fanny. "Forse non sei felice di trovarti qui?"
Heather accumulò il resto delle ceneri nel secchio di legno e si alzò, scostandosi una ciocca di capelli dal viso. Aveva le guance striate di fuliggine, e la veste fuori misura che indossava le pendeva floscia dalle spalle esili, mettendo in mostra una generosa porzione di un seno tondo, dove la scollatura era scivolata verso il basso. Si strofinò le mani sulla gonna, impiastricciandola di fuliggine.
"Sono contenta di trovarmi qui," mormorò, distogliendo lo sguardo.
Zia Fanny allungò una mano a strattonare la faccia di Heather, e le sue grasse dita lasciarono il segno sulla carne tenera della nipote. "Hai gli occhi gonfi. Mi è sembrato di sentirti piangere nel cuscino la scorsa notte. E vedo che avevo ragione. Ti duole di non essere a Londra, suppongo."
"No," bisbigliò Heather. "Sono contenta."
"Menti! Detesti stare qui! Vorresti vivere a Londra nella grandiosità che ritieni ti spetti di diritto!"
Heather scosse il capo per smentire quelle parole. Non voleva tornare a Londra. Non ancora comunque, non ora mentre il capitano Birmingham era ancora in porto e probabilmente deciso a porre in atto la minaccia di frugare da cima a fondo la città in cerca di lei. Poteva darsi che vi si trattenesse altri tre o quattro mesi, per sbarazzarsi del carico e acquistare altre mercanzie. Non poteva tornare.
Zia Fanny le pizzicò con cattiveria il braccio. "Non mentire a me, ragazza!"
"Per favore..." alitò Heather.
"Lascia in pace la bambina, Fanny," disse zio John, ritto sulla soglia schermata dalla tenda della loro camera da letto.
Zia Fanny si volse ringhiando verso di lui. "Senti un po' chi dà gli ordini, così di buon'ora. Tu non vali più di lei, sempre lì a lacrimare su qualcosa che non hai avuto, sempre lì a desiderare ciò che hai perso definitivamente!"
"Ti prego, Fanny, non ricominciare," sospirò l'uomo stancamente, chinando il capo disperato.
"Non ricominciare, dici. Eppure tu vivi col ricordo di quella donna ogni giorno che passa. L'unica ragione per cui mi hai preso in moglie è stata perché non hai potuto avere lei! Lei ne amava un altro, non te."
L'uomo trasalì alla crudeltà delle parole di Fanny e si allontanò, le spalle ancor più curve sotto il peso della sconfitta.
Zia Fanny si voltò di scatto verso Heather e le diede uno spintone rabbioso. "Datti da fare e smettila di gingillarti!"
Con un rapido sguardo di pietà rivolto allo zio, Heather raccolte da terra il secchio e attraversò a precipizio la stanza dirigendosi alla porta.
Passò una settimana, poi due e la seconda parve ancor più lunga della prima. Per quanto sgobbasse, Heather non riusciva a scacciare dalla mente i ricordi che la turbavano. Ne era tormentata giorno e notte. Più volte si destava nel buio della notte con la fronte imperlata di un sudore freddo, dopo aver sognato di nuovo che il capitano Birmingham era con lei e la stringeva contro il suo lungo corpo snello in un caldo abbraccio appassionato. In altri sogni le appariva sotto le spoglie del demonio, che rideva di cuore delle sue forme tremanti, e Heather si svegliava con le mani premute sulle orecchie. I sogni in cui ricorreva la figura di William Court erano altrettanto spaventosi. Heather vi si vedeva sempre ritta su di lui, con in pugno il coltello da frutta, mentre dalle dita le gocciolava il sangue.
Trascorsero senza sollievo altre due settimane e Heather cominciava a tradire la tensione che era in lei. Passava da un'assoluta inappetenza alla nausea, a una fame insaziabile. Era affetta da una sorta di sonnolenza, peccato imperdonabile agli occhi della zia: Heather aveva recato sul proprio corpo i segni della sua collera abbastanza spesso per esserne consapevole. E compiva gesti goffi, come quello di lasciar cadere per distrazione un piatto o di scottarsi le dita afferrando una cuccuma bollente. Se era sufficiente a esasperare chiunque, la cosa gettava la zia addirittura in uno stato di frenesia, e questo soprattutto quando Heather ruppe una ciotola cui la donna teneva in modo particolare.
"Cosa credi di combinare alla mia casa, piccola cagna bastarda, rompendo come fai, tutto quello che ti capita a tiro? Vuoi che ti faccia assaggiare il bastone?" strillò, affibbiando alla nipote un manrovescio.
Heather cadde in ginocchio, scossa da un tremito violento, il volto bruciante per lo schiaffo, e si mise a raccogliere i cocci. "Mi dispiace, zia Fanny", disse con voce rotta, mentre le lacrime le colavano ardenti sulle guance. "Non so cosa mi succede. Si direbbe che non riesca più a combinare niente di buono."
"Ammesso che tu ci sia mai riuscita," ringhiò la donna.
"Venderò la mia veste rosa e ve ne comprerò un'altra."
"E cosa venderai per rifondermi il prezzo di tutte le altre cose che hai rotto?" volle sapere zia Fanny con voce sarcastica, ben sapendo che il vestito valeva di più di tutti gli oggetti rotti messi assieme.
"Non ho altro," bisbigliò Heather al colmo dell'infelicità, levandosi in piedi. "Solo la camicia."
"Quella non vale un soldo, e poi non voglio che metta in mostra le tette sotto quei vestiti smessi quando vai al villaggio."
Arrossendo con violenza, Heather sollevò la scollatura della veste per la centesima voltavolta quel giorno. L'abito era così ampio che ciò che era modesto indosso alla zia, su di lei era esattamente il contrario. Quando si chinava, l'enorme scollatura rivelava tutto o quasi. Non fosse stato per il pezzo di spago legato attorno alla vita, il suo corpo non avrebbe avuto segreti per nessuno, fino alle ginocchia, soprattutto dal momento che non possedeva nulla da indossare sotto. Per riguardo al pudore, doveva risparmiare la camicia in modo da poterla indossare almeno quando si recava al villaggio.
Era passato quasi un mese, quando finalmente ottenne il permesso di accompagnare lo zio al villaggio. Benché avesse aspettato con ansia per tutte quelle settimane che la zia le concedesse l'autorizzazione, Heather in un certo senso era riluttante ad andarci perché lo zio continuava a sbirciarla. La innervosiva sentirsi fissare a quel modo. Temeva che, una volta fuori dalla portata di zia Fanny, lo zio si sarebbe azzardato a porle qualche domanda, desideroso di sapere cos'era accaduto con William Court, e si chiedeva se il viaggio fino al piccolo borgo valesse il rischio che i due scoprissero che l'uomo era morto; per quanto si fosse trattato di una disgrazia, la colpa era pur sempre sua. Però doveva andarci. Era l'unico modo per leggere il giornale cittadino che era esposto sulla piazza del villaggio. Quanto prima avesse trovato un'occupazione altrove, tanto meglio. E poi, la zia si aspettava un bel regalo in cambio della ciotola.
Cascinali intonacati di bianco, col tetto di stoppie, si annidavano graziosamente accanto allo stagno del villaggio, e una locanda in prossimità del crocevia invitava i forestieri a fermarsi e a godere della placida serenità del borgo di campagna. Tardi fiori estivi ornavano le cassette esposte sui davanzali e aiuole e siepi ben potate fungevano da recinzioni tra i vari cascinali. Era di gran lunga un luogo più bello per viverci che Londra, dove dominavano il sudiciume, i mendicanti e il peccato.
Quando giunsero alla borgata, Heather e lo zio si recarono immediatamente allo stallaggio del paese, uno spiazzo quadrato di una ventina di metri di lato al cui centro si ergeva una tavola per le affissioni. Zio John si faceva sempre un dovere di andarci, per prima cosa. Era il suo unico contatto col mondo che si estendeva oltre i confini del villaggio e della fattoria. Heather passò in rassegna le inserzioni, senza dar nell'occhio. Si cercava una sguattera, lesse, ma il pensiero le fece venire i brividi. Qualcuno aveva bisogno di una governante, e il cuore le martellò con violenza nel petto, ma leggendo avanti scoprì che ci si riferiva specificamente a una donna anziana, di non meno di quarant'anni. Percorse di nuovo con lo sguardo gli affissi, pregando disperatamente di trovarne uno che le fosse sfuggito e che si adattasse a lei. Era disposta anche a fare la cameriera. Ma se ci fosse stato qualcosa di meglio, sarebbe stata più felice. Purtroppo non c'era altro. Le sue speranze si spensero, e quando lo zio accennò ad andarsene, ne seguì i passi con gli occhi inondati di lacrime.
Subito dopo l'uomo la guidò verso un negozio dove avrebbe potuto scegliere un rimpiazzo per la ciotola rotta di zia Fanny. Heather sbrigò la faccenda distrattamente, in uno stato d'animo che era prossimo alla disperazione. Quando lo zio aveva fermato il carretto in prossimità della piazza, si era sentita addirittura euforica perché non le aveva fatto domande. Ora, benché ancora grata per il suo silenzio discreto, aveva voglia di andare da qualche parte da sola a piangere. Si rimproverò tanta impazienza: senza dubbio, in seguito ci sarebbe stato un affisso che avrebbe giudicato adeguato alle sue possibilità. Ma la zia la lasciava venire al villaggio così di rado con zio John, che avrebbero potuto anche passare secoli prima che potesse tornarci. E ciò avrebbe significato dover stare dalla zia fino ad allora.
Il signor Peeves, il bottegaio, prese la ciotola che lei gli tendeva. "Desiderate magari qualcos'altro, madamina Heather... una veste nuova?"
Il volto di Heather si colorì. Non era la prima volta che l'uomo faceva allusione a una veste nuova. Heather sapeva che, non visti, tutti la fissavano con sguardi impietositi, e che le altre ragazze ridevano dei suoi abiti fuori misura. Era troppo orgogliosa per non provare imbarazzo, ma finché le rimaneva in corpo un soffio di vita avrebbe camminato a testa alta, fingendo che non gliene importasse niente.
"No," rispose. "Desidero soltanto la ciotola."
"Ed è un bellissimo piatto, anche, che vale il suo prezzo. Fanno sei scellini, madamina Heather."
La fanciulla trasse di tasca il fazzoletto annodato e lo svolse.
Contò il denaro attentamente e lo diede al mercante. Le restavano ancora sette scellini di cui, lo sapeva, la zia un giorno o l'altro si sarebbe appropriata. Il suo sguardo sfiorò bramoso certi nastri colorati disposti su un tavolo vicino.
"Quello azzurro vi starebbe benissimo tra i capelli, madamina Heather," suggerì il signor Peeves, che aveva la vista acuta. Prese il nastro e glielo porse. "Provatevelo, perché no?"
Sbirciando incerta lo zio, Heather si lasciò mettere in mano il nastro dal bottegaio. Si girò lentamente verso lo specchio, l'unico che esistesse al villaggio, e alzò gli occhi. Era la prima volta che si guardava in uno specchio così vestita. I capelli erano acconciati ordinatamente e appuntati in una massa folta sopra le orecchie, e lei era lustra e strigliata, e gli indumenti puliti, ma non faceva differenza, data l'assurdità dell'abito che portava. La veste della zia le pendeva addosso come un sacco, facendo apparire ancor più minuta la sua figura già esile.
Non c'è da stupirsi che la gente mi guardi ridendo, pensò.
La porta della bottega si aprì e Heather distolse lo sguardo dalla propria immagine riflessa nello specchio. Era Henry Whitesmith, un ragazzo alto e magro di ventun anni che già da un pezzo era infatuato della nipote di John Simmons. Benché Heather non l'avesse mai incoraggiato, lui le ronzava sempre attorno quando veniva al villaggio, fissandola con occhi adoranti, prendendole la mano appena possibile. Heather gli voleva bene, ma solo come una sorella. Il ragazzo le si portò subito accanto, sorridendole dall'alto della sua statura.
"Ho visto il carro di tuo zio, fuori. Speravo che l'avessi accompagnato."
Heather gli sorrise con calore. "È bello rivederti, Henry."
Lui arrossì di piacere. "Dove sei stata? Mi sei mancata."
La fanciulla si strinse nelle spalle, distogliendo lo sguardo. "Da nessuna parte, Henry. Sono semplicemente rimasta a casa con zia Fanny." Non voleva parlare del viaggio a Londra. Avvertì su di sé gli occhi dallo zio, ma non ci fece caso.
La porta tornò ad aprirsi, e Heather intuì l'identità della persona, prima di alzare gli occhi, ben sapendo che Henry si portava sempre appresso un'appendice. La persona appena entrata nel negozio avanzò verso il ragazzo, ma si fermò di scatto quando intravide Heather. L'espressione del suo viso mutò, e Heather rabbrividì sotto quello sguardo che pareva incenerirla.
Non era la prima volta che Sarah fulminava con lo sguardo Heather , gelosa com'era delle attenzioni che Henry riserbava a un'altra ragazza. Sarah si sarebbe spinta ben più in là, se solo ciò fosse servito a mettere in ginocchio Henry dinanzi a lei. Le rispettive famiglie si erano già accordate sulla dote che la fanciulla avrebbe portato quando i due ragazzi si fossero sposati, ma Henry si ostinava testardamente a rifiutare le nozze, e Sarah sapeva che il motivo andava ricercato nella sua infatuazione per Heather. Poteva beffarsi quanto voleva dei buffi abiti di Heather con le altre ragazze del villaggio: era pur sempre conscia, come lo erano le altre, che a paragone di Heather Simmons, per quanto malvestita fosse, restavano tutte quante in ombra. Persino suo padre aveva spesso accennato alla bellezza fuori dal comune della giovane Simmons. Tutti gli uomini, giovani e vecchi, erano un po' innamorati della fanciulla irlandese.
Hanry lanciò un'occhiata a Sarah prima di tornare a girarsi verso Heather. "Devo parlarti," bisbigliò in tono pressante, tendendo una mano a sfiorarle il braccio. "Potremmo incontrarci più tardi vicino allo stagno?"
"Non lo so, Henry,"rispose sottovoce Heather. "Devo stare con lo zio. A zia Fanny non piace che vada a zonzo da sola."
"Se potesse tenerti d'occhio, potresti parlare con me?" domandò il ragazzo speranzoso.
Heather aggrottò leggermente la fronte, confusa. "Suppongo di sì, ma non a lungo."
"Convincilo ad accompagnarti allo stagno prima che ripartiate," disse Henry in fretta. "Ti aspetterò."
La lasciò senza aggiungere altro e passò accanto a Sarah uscendo dalla bottega. Un attimo dopo la ragazza lo seguì.
Più tardi, quando zio John fermò il carro presso lo stagno, Heather ne scese e si portò nel punto in cui Henry aspettava accanto a un albero. Per un attimo il giovanotto non riuscì a spiccicar parola mentre la fissava con occhi adoranti, studiandone amorosamente ogni particolare delle fattezze minute e perfette. Ciò fatto, la sua voce suonò incerta e vibrante di emozione.
"Heather," dice con voce strozzata. "Credi che tua zia mi vedrebbe di malocchio? Voglio dire... non mi riterrebbe degno di farti la corte?"
Heather alzò lo sguardo su di lui, sorpresa. "Ma, Henry, non ho dote."
"Ah, Heather, non me ne importa niente che tu non ce l'abbia. Io amo te, non quello che potresti portarmi in dote."
Heather non riusciva a credere alle proprie orecchie. Ecco lì, dinanzi a lei, lo spasimante che aveva temuto di non poter mai avere perché non possedeva una dote. Ma arrivava in ritardo. Lei non era più vergine, non avrebbe mai potuto risolversi a sposare qualcuno, ormai, insudiciata com'era.
"Henry, sai bene al pari di me che i tuoi non ti permetterebbero mai di sposarmi senza dote. Non c'è niente da fare."
"Non mi sposerò mai se non posso avere te, Heather, e i miei vogliono dei nipotini. E di bambini, ne verranno in fretta per noi due."
Heather abbassò lo sguardo sulle mani che teneva serrate. "Henry, non posso sposarti."
Il ragazzo aggrottò la fronte. "Perché, Heather? Hai forse paura di andare a letto con un uomo? Se è così, puoi star tranquilla. Non ti toccherei neppure con un dito, se non ti sentissi pronta per me."
La fanciulla sorrise con tristezza. Ecco che le venivano offerti pazienza e amore, e lei non poteva accettarli. Ci aveva pensato il capitano Birmingham. Che differenza c'era, tra i due uomini. Non riusciva nemmeno a immaginare che il barbuto capitano della Fleetwood sapesse essere tanto paziente con una donna. Era davvero un peccato che non potesse sposare Henry e condurre una vita normale e tranquilla lì al villaggio e allevare i bambini che entrambi avrebbero potuto amare. Ma ormai la cosa era fuori discussione.
"Henry," bisbigliò in un soffio, "faresti meglio a mettere gli occhi su Sarah. Ti ama moltissimo e sarebbe una buona moglie per te."
"Sarah non sa neppure lei chi ama," sbottò Henry. "Non fa che correr rientro a qualche ragazzo, e si dà il caso che in questo momento sia io."
Heather lo rimproverò dolcemente: "Henry, le cose non stanno così. Sarah ha occhi solo per te. Desidera moltissimo sposarti."
Henry non ne voleva sapere. "Ma io voglio te in moglie, Heather, non una stupidella bruttina come Sarah."
"Non dovresti dire cose che non sono vere, Henry," disse la fanciulla con lo stesso tono di dolce rimprovero. "Sarah sarebbe una moglie assai migliore di me."
"Ti prego! Non parlare più di lei!" esclamò Henry. Il suo volto aveva assunto un'espressione tormentata, non troppo diversa da quella che si leggeva sul volto di Heather. "Voglio solo guardare e pensare a te. Ti prego, Heather, devo assolutamente ottenere da tuo zio il permesso di corteggiarti. Non posso aspettare ancora molto per far di te mia moglie."
Ecco, qualcuno implorava che gli concedesse la sua mano. La zia, forse, ne sarebbe stata sorpresa. Ma era troppo tardi. Ora doveva convincere quell'uomo gentile che non avrebbe potuto sposarlo. Ma lui non aveva intenzione di darle retta. Che cosa si pretendeva da lei, che gli raccontasse quel che le era accaduto? In tal caso Henry sarebbe stato disgustato, nauseato, e lei avrebbe provato solo vergogna.
"Henry, non chiederò a mia zia se ci accorderà il suo permesso. Non posso sposarti. Non sarebbe onesto nei tuoi confronti. Non potrei mai essere felice qui. Non capisci, Henry? Sono stata allevata in modo molto diverso. Sono abituata a trovare tutto fatto e a indossare gli abiti più eleganti, non posso accontentarmi di essere la moglie di un semplice ciabattino."
L'espressione che si dipinse sul volto di Henry le trafissero il petto come un acuto dolore, e tuttavia Heather sapeva che era la cosa migliore da farsi. Quanto prima il ragazzo si sarebbe messo il cuore in pace e si sarebbe reso conto che aveva dinanzi a sé tutta una vita da vivere senza di lei. Lo guardò in preda a un'acuta sofferenza mentre si staccava da lei barcollando, accecato dalle lacrime.
"Oh, mio Dio!" esclamò Henry. "Ti ho amata fin dal primo momento che ti ho vista. In questi due anni non ho saputo pensare ad altri che a te. E ora, mi dici che non valgo abbastanza per te. Sei una ragazza senza cuore, Heather Simmons! Che Dio abbia pietà dell'anima tua!"
Heather gli tese una mano a mo' d'invocazione, ma Henry si era già allontanato, senza badare a dove correva, cadendo, poi risollevandosi. Le lacrime inondarono gli occhi di Heather e le scorsero giù per le guance mentre lo guardava allontanarsi di corsa.
"Sono crudele," pensò. "L'ho ferito profondamente e ora mi disprezzerà."
Si voltò verso il carro al quale tornò a lenti passi. Lo zio la stava osservando. La osservava sempre. Non avrebbe mai smesso?
"Che voleva il giovane Henry?" volle sapere zio John abbassando una mano per issarla sul carro. Le sue dita si chiusero attorno al braccio di Heather, che sollevò mentre la fanciulla gli si aggrappava alla spalla.
"Mi ha chiesto se poteva corteggiarmi," mormorò Heather prendendo posto accanto a lui sull'angusto. Non aveva alcuna voglia di parlarne. Si sentiva lo stomaco stretto in una morsa e aveva la nausea.
"E tu gli hai detto di no?" indagò l'uomo.
Heather annuì lentamente come se un movimento avventato potesse farla vomitare. Rabbrividì e rimase in silenzio, mentre l'uomo, grazie al cielo, fissava lo sguardo in lontananza sopra la testa del vecchio cavallo che li trainava, perso nei suoi pensieri.

Ciao ragazzi chiedo scusa per la lunghissima attesa. Vi avviso che non sarò costante come quest'estate perché la scuola mi tiene molto impegnata (soprattutto quest'anno) ma farò il possibile per non tenervi troppo in suspense😂 Detto ciò, spero vi sia piaciuta questa nuova parte😘🍀

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 10, 2020 ⏰

Aggiungi questa storia alla tua Biblioteca per ricevere una notifica quando verrà pubblicata la prossima parte!

IL fiore e la fiammaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora