CAPITOLO 4

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Sono in bici da quindici minuti, intento come sono a raggiungere la "saletta." Con il temine "saletta" si intende una piccola casa abbandonata, in periferia, dove vivono sì e no una quindicina di famiglie. Diciamo che questo non é esattamente un bel posto: la maggior parte delle persone qui spacciano, bevono o fumano erba. Non é raro, difatti, che giri sempre la polizia da queste parti.

Ad ogni modo, comunque, non mi hanno mai dato problemi. Quando vengo qui (almeno due volte a settimana) tengo un profilo piú basso possibile, senza fissare nessuno per piú di mezzo secondo. Se non facessi così, rischierei di incappare in qualche piantagrane pronto a farmi la pelle per poi fregarmi i soldi.

Nessuno sa che vengo qui. Nessuno capirebbe perché, dato che non ha vissuto quello che ho vissuto io. Ma questo é l'unico modo che ho per evitare di impazzire completamente.

Mi sono trovato qui per caso, quando il mio trauma era ancora bello fresco, ed io passavo la maggior parte del mio tempo fuori casa, dato che stare in posti chiusi mi dava un forte senso di nausea. Una sera, particolarmente stressato, sono entrato in un bar e ho iniziato a bere parecchio. In meno di un'ora mi ero ridotto ad uno straccio.
Poi avevo cercato di alzarmi e di dirigermi verso la mia bicicletta, ma purtroppo mi dimenticai dove l'avevo legata.

Così iniziai a vagabondare senza meta, cercando un portabici. Poi non ricordo molto bene quello che é successo, fatto sta che un attimo prima ero per strada, e quello dopo ero nel bagno della "saletta" a vomitare tutto, mentre accanto avevo una ragazza che mi passava dell'acqua.

Disse che si chiamava Noemi, e che io ero svenuto proprio accanto a lei. Ancora oggi non so come abbia fatto a trascinarmi in quel posto, ma immagino che per lei io non dovessi essere troppo pesante. Quando mi sono ripreso abbiamo cominciato a chiaccherare, e ho scoperto perché venisse qui: la situazione con i suoi genitori é parecchio pesante, dato che il padre é troppo impegnato a tradire la madre, e lei non fa altro che tirargli addosso quello che le capita in mano (principalmente piatti). Per questo motivo Noemi aveva cominciato a venire in questa casa abbandonata, dove ha trovato diversi tipi di coltelli, quasi come fosse una collezione.

Così, per sfogarsi, ha cominciato a lanciarli verso un tavolo rovesciato, impiantandoli nel legno. Quando mi ha fatto provare per la prima volta, mi sono sentito subito meglio. Così ne ho tirato un altro, e poi un altro ancora, uno dopo l'altro, finché non iniziai a calmarmi e a farmi dimenticare, seppure per un momento, la mia situazione.

Da quel giorno, ci siamo ripromessi di trovarci in quel posto piú spesso, per sfogare le nostre preoccupazioni e parlare un po'. D'altro canto lei non ha molti amici, per cui io sono la sua unica valvola di sfogo. Mi ha raccontato praticamente tutto di sé, ed ora aspetta che io faccia lo stesso. Ovviamente, anche stavolta rimarrà delusa.

Arrivo davanti alla casa abbandonata e busso per tre volte sull'enorme portone verde. Questo si apre cigolando, praticamente da solo. Un po' titubante, entro, e vedo subito lei che lancia un coltello verso il tavolo rovesciato. Un po' titubante, decido di salutarla <<Ciao Noemi, come...>>.

Non ho nemmeno il tempo di finire la frase che lei si gira di scatto, tirandomi il coltello che aveva in mano dritto fra i piedi. Spaventato, faccio un salto indietro lanciando un urlo.

Lei, per tutta risposta, afferma <<Sai che avrei potuto ucciderti, vero?>>
<<Con questa mira? L'unica cosa che sei riuscita a prendere in pieno é l'aria.>>
Lei mi sorride, poi corre verso di me per abbracciarmi, ed io ricambio volentieri.

Stiamo lì, stretti l'uno all'altra, per diversi momenti. Poi, mentre sciogliamo l'abbraccio, lei mi chiede <<Allora, Ethan? Primo giorno di scuola?>>
Tra una coltellata e l'altra, le spiego tutto ciò che era successo: dalla conversazione con i miei amici sulle ragazze, dalla notizia del fidanzamento di Asia, che mi aveva lasciato un certo senso di disagio, il compito assegnato dal nuovo professore e come ultimo argomento il ragazzo vestito di nero che mi fissava dai cancelli della scuola.

<<Non so perché ma quel tizio mi inquieta. Non l'ho mai incontrato prima, e anche se lo avesso fatto di certo me ne ricorderei. Allora perché mi fissava? Cosa voleva da me?>>

Noemi mi ascolta senza interrompermi, limitandosi ad annuire. Quando finisco il mio sfogo, domanda <<Quindi, non appena si é accorto che lo avevi notato, non si é minimamente scomposto?>>
<<No. Anzi, mi ha addirittura sorriso, come se volesse essere notato.>>
<<E mi hai anche detto che aveva i capelli biondi e mossi, giusto?>>
<<Sì, perché?>>

Lei ammutolisce, come se stesse riflettendo su qualcosa che è già successo e che, in qualche modo, ha a che fare con lui. Prima che io possa chiederle qualunque cosa, peró, mi precede <<Ho già sentito parlare di questo tizio. Ha creato qualche casino, nel vecchio bar.>>

Io le lancio un'occhiata interrogativa, che costringe Noemi a continuare <<Un paio di giorni fa, é arrivato un tizio che corrisponde alla descrizione che mi hai dato. Era andato al bar e aveva chiesto un paio di birre. É allora che ha cominciato ad avere un piccolo alterco con Ottavio.>>

Dal canto mio, non posso fare altro che sorridere: Ottavio é un vecchio ubriacone, che spesso gira da queste parti scatenando piccoli battibecchi con chiunque. Il fatto é che é talmente ubriaco che spesso tutto finisce con lui che si tira i pugni da solo.

<<Solo che questa volta é andata male. Il ragazzo in questione non ha gradito l'interruzione, e lo ha picchiato a sangue. Ottavio era ridotto male, quando é arrivata l'ambulanza.>>

Non riesco a crederci: nonostante le sue brutte abitudini, Ottavio é un uomo pacifico che non farebbe mai del male a una mosca.

<<Bastardo...>> riesco soltanto a dire. Roteando lo sguardo verso la finestra, peró, lo vedo: vedo il ragazzo di stamattina fissarmi con il solito ghigno sulle labbra. Faccio appena in tempo a notarlo che lui subito scappa, senza darmi il tempo di dire una parola.

Senza pensarci corro fuori, sotto lo sguardo attonito di Noemi, giusto il tempo di vedere un'auto allontanarsi a tutta velocità.

Noemi intanto mi raggiunge e chiede trafelata <<Mi spieghi che ti é preso?>>
<<C'era un tizio, fuori dalla finestra, che ci fissava. Era lui. Quel ragazzo di cui ti parlavo.>>
<<Ne sei certo?>>
<<L'ho visto come vedo te ora e non posso essermi sbagliato.>>

Noemi sospira, come se avesse in qualche modo previsto che quel ragazzo avrebbe portato una montagna di guai.

Quando sto per chiederle cosa sta pensando, lei mi precede <<Ascolta, torna a casa e non preoccuparti. Io indagheró in zona per capire chi é quel tipo. Non puó essere sbucato fuori dal nulla.>>

<<Noemi, quello é pericoloso. Guarda come ha ridotto Ottavio: non voglio che riduca così anche te.>>
I miei tentativi di dissuasione peró non hanno alcun effetto. Noemi non fa altro che sorridermi, come se mi stesse mentalmente dando dello stupido.

<<Sempre molto premuroso, vero Ethan?>>
<<Sai come sono fatto, no? Non dovresti stupirti.>>
<<Non sono stupita. Sono solo lusingata.>> ribatte lei con un sorriso riconoscente. Subito dopo mi abbraccia, sussurrandomi che andrà tutto bene, e che non correrà rischi inutili. Decido di fidarmi, facendomi promettere che mi terrà aggiornato su tutto.

Dopo esserci lasciati, raccolgo la bici e comincio a pedalare verso casa.
Che giornata assurda. penso durante il tragitto. I miei amici e mia sorella fidanzati, il nuovo prof e quel maledetto tema, il ragazzo misterioso e Ottavio pestato a sangue. Ma soprattutto, quella maledetta bistecca mai ricevuta. Se tutto questo non é un segnale dal cielo per avvertirmi di qualche disgrazia, non so cosa possa esserlo.

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