Capitolo 2 (E)

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Evander

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Evander

"Congratulazioni, Evander, hai vinto la cattedra come professore di Storia dell'Arte!", era uno dei miei tanti pensieri
"Forse non dovrei nemmeno pensarci più a lei. Sono passati 7 anni", era uno dei più ricorrenti, insieme a "Cazzo, Evander, fatti una vita! Ma quale vita?". La mia era finita il giorno in cui suo padre mi disse: "Non avvicinarti più a lei. Sei già fortunato. Potrei denunciarti per pedofilia!"
Pedofilia.
Avevo 23 anni e lei 16. Legalmente non si potevano superare due anni di differenza... tra un maggiorenne e un minorenne. Ma noi? Tra di noi c'era la differenza di quasi un decennio. E nonostante tutto io l'amavo. Era il mio piccolo, fragile e innocente angelo. Casta e anche pura perché, per quanto io la amassi, non riuscivo né a baciarle le labbra né a pensare a lei in modo... volgare. Ma ora che la ritrovavo davanti a me? Bellissima. Era ancora più bella di quando aveva 16 anni. Non pensavo fosse possibile. Oh, Allison...
«Buongiorno» dissi, fissando lei e ignorando il resto della classe appena entrato nell'aula. Si ricorderà di me? Dio mio, fa che si ricordi di me...
Un disegno attirò la mia attenzione e spostai così il mio sguardo sul suo quaderno.
Quel viso... mi stava disegnando? Cosa significava? Forse mi sto sbagliando, forse non è lei... Sarà solo una coincidenza. Una sosia? Ad Allison non piaceva Vancouver, figuriamoci. Avrà 23 anni. Sarà andata via, magari a New York.
«Spero che durante la lezione non continui questo scarabocchio, Signorina...?» le chiesi, guardandola negli occhi. Deve essere lei, nessun'altra ragazza potrebbe mai avere i suoi stessi occhi. È lei, me lo sento! Perché non mi risponde? Corrugai la fronte e continuai a guardarla. Era muta? Magari stava cercando nella sua memoria la mia esistenza.
«Ha intenzione di rispondermi oppure no?» domandai con un tono irritato, più di quanto volessi farle sentire. Ero stato troppo duro...
«Ehm... Trice. Allison Trice.» Allison! Lo sapevo! Volevo abbracciarla, dirle che non l'avevo mai dimenticata... ma... lei... La rabbia e la frustrazione si riversarono dentro di me in un sol secondo, costringendomi a essere più maligno, facendomi corrugare la fronte in uno sguardo assassino. «Bene, signorina Trice» la mia voce era uno sputo velenoso, quanto la mela di Biancaneve, quanto... la morte, e per la prima volta da quando ero entrato nella classe, alzai lo sguardo per vedere gli altri studenti che avrei dovuto guidare verso la fine dell'anno. Mi girai e camminai velocemente verso la cattedra, arrabbiato con me stesso per essere stato tanto debole a poter credere che lei... mi ricordasse. Poggiai la ventiquattrore e la borsa sulla cattedra ed estrassi dalla prima il mio portatile per collegarlo al proiettore e iniziare subito la lezione. Non volevo perdere altro tempo. Era tutto finito. «Io sono il Professor King, Evander King, e penso che non ci sia bisogno che io lo scriva da qualche parte per mostrarvi lo spelling. Quest'anno sostituirò il Prof. Johnson. Il mio metodo di insegnamento è molto rigido, complesso, e chi riuscirà a seguirmi arriverà a fine anno, chi non riuscirà... immagino sappiate cosa succederà. Il programma è suddiviso in tre esami: Arte Gotica e Rinascimentale, Arte Barocca e Neoclassica, Pop Art e Arte Contemporanea. Studieremo e analizzeremo nel dettaglio la vita degli artisti, i loro lavori. La parte più bella sarà l'esposizione e la vendita dei vostri lavori alla fine dell'anno. Oggi, iniziamo con l'Arte Gotica. Prendete appunti e, mi raccomando, seguitemi.» Lanciai uno sguardo verso Allison, che ancora mi fissava stranita. Ma che cosa le prendeva? Non pensavo fosse così... malefica! Sentii il mio cuore spezzarsi in milioni di pezzi, e i pezzi spezzarsi in altri milioni di pezzi. Iniziai a parlare della nascita della Pittura Gotica, commentando le immagini più importanti proiettati dal proiettore, ossia tutte quante. Nel mentre sentivo sospiri patetici e vedevo occhi sognanti sul viso delle altre ragazze presenti. Stavano ascoltando oppure no? Cosa dovevo mettermi addosso per farmi ascoltare? Affari loro, impareranno agli esami cosa significa lasciarsi distrarre. Patetiche oche giulive. Allison compresa.
«Signorina Trice, sta ascoltando?» le domandai, puntando il mio sguardo freddo fisso su di lei. Il suo improvviso sussulto mi fece capire che in fondo stava ascoltando. Oh mio Dio, Evander, smettila di fare lo stronzo e comincia a comportati come un vero professore quale sei!
«Sì! Sì!» balbettò lei, portandosi in posizione retta e composta sulla sedia, quasi impaurita da quell'improvviso richiamo. Sospirai e ripresi a spiegare, puntando con la mano alcuni dipinti, utilizzando un tono severo, duro e quasi spaventoso. Addosso sentivo il suo sguardo, i suoi occhi bellissimi ma traditori che non mi riconoscevano, e mi sentivo vulnerabile e nudo al suo giudizio.
«Bene, la nostra ora è finita. Arrivederci e buono studio» annunciai, finite le prime ore, con la voce stanca e i nervi a pezzi. Spensi il proiettore e accesi la luce. Prima di prendere il portatile, mi sedetti alla cattedra e compilai il mio registro personale, con la mano leggermente tremante per tutte le emozioni subite in così poco tempo. Erano quasi tutti presenti, fortunatamente per loro: non avrei ripetuto nulla, nemmeno sotto pagamento, a quelli assenti. Erano adulti e all'ultimo anno, che si prendessero le loro responsabilità! Mi inumidii il labbro inferiore prima di morderlo e alzare il mio sguardo verso Allison. Nonostante il mio umore, volevo ammirarla come facevo in passato. Volevo recuperare il tempo perduto, e con mia grande sorpresa incrociai il suo sguardo prima di vederlo sparire oltre la porta dell'aula... Sospirai e mi presi il viso tra le mani, con la voglia di urlare e sfogare tutti i sentimenti repressi dentro di me, ignorando gli "Arrivederci" delle oche giulive che sicuramente volevano sorridermi e guardarmi con sguardi espliciti. Non era la prima volta, ero consapevole di quell'effetto. Consapevolezza che avevo usato a mio favore per tanto tempo. Uscii fuori dall'istituto, salii sulla mia macchina, una Range Rover nera come una notte senza stelle, e sfrecciai verso la villetta che apparteneva alla mia famiglia da 10 generazioni. Ero rimasto solo, con i parenti lontani e, come unica compagnia, una donna ogni tanto... Parcheggiai nel vialetto e prima di scendere colpii, con la mano chiusa in un pugno, il volante. Allison... Afferrai la ventiquattrore e scesi dalla macchina, sbattendo la portiera con violenza e premendo la chiave con altrettanta forza. Mi incamminai verso la porta di casa, salendo i pochi scalini che mi separavano da essa, ed entrai senza pensare ad altro se non a lei. Il mio angelo... Mi chiusi dentro e lanciai la borsa lontano da me, mentre tiravo fuori dalla ventiquattrore il portatile. Cercai il suo nome, su Facebook, e non faticai a trovarla. Eccola lì, ferma in una foto dove il suo sorriso importava e brillava più di qualsiasi altra notizia pubblicata sulla sua bacheca. Chiusi il portatile e lo poggiai sul tavolo, prima di recarmi verso il bagno per una doccia... fredda. Mi liberai velocemente dei vestiti, aprii il getto d'acqua gelata e mi misi sotto, subendone il colpo ghiacciato contro la mia pelle. Strofinai la spugna con cosi tanta forza sul mio corpo che non mi sarei sorpreso se in quel momento avesse preso fuoco sotto l'acqua.
... Allison... Ancora!
Lanciai la spugna contro il vetro della doccia e scivolai con la schiena lungo il muro freddo mentre con le mani stringevo con forza i capelli bagnati.
Esci dalla mia testa! Esci! Mi dispiace così tanto... avrei dovuto rallentare... Basta! Smettila! Smettila!
Dentro la mia testa le immagini di lei si muovevano lentamente, torturandomi e prosciugando le mie forze. Devo chiederti scusa...
Il giorno dopo mi alzai presto, dopo una nottata passata a prepararmi un discorso di scuse sincere. Lo dovevo a lei, lo dovevo a me, lo dovevo a entrambi...
Mi vestii velocemente e presi tutto prima di salire in macchina, accendere i motori e partire per l'università. Arrivai all'istituto mezz'ora in anticipo e prima di entrare nella mia aula, Ingrid Hoverton, la professoressa di Architettura, mi bloccò, chiamandomi. Sospirai lentamente e appena mi girai finsi il mio miglior sorriso per salutarla.
«Professoressa Hoverton, buongiorno!»
Inutile dire che lei era stata anche la MIA professoressa, prima di diventare la mia collega.
«Cosa vedono i miei occhi... King che arriva in anticipo! Deve essere l'influenza del potere a guidarti così presto verso le tue stesse lezioni» disse lei, corrugando la fronte già abbastanza rugosa. Non era una donna alta, anzi era piuttosto bassa, ma ciò non la bloccava a sembrare una vipera velenosa. Si nota che ho un particolare feeling per lei?
Scrutai i suoi occhi, piccoli, verdi e maligni, che non poterono fare a meno di ricordarmi perché alle sue lezioni arrivavo sempre in ritardo, oppure non ci andavo mai.
«Deve essere proprio quello, ora mi scusi, ma devo preparare il proiettore per i miei studenti. Con permesso, le auguro una buona giornata» la liquidai, sorridendo falsamente, mentre mi giravo ed entravo nella classe, chiudendomi la porta dietro.

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