Capitolo 30 - a casa

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L'alba sta nascendo timida sopra alle fronde degli alberi, inondando di una luce rosata la testata di rovere chiaro del mio letto, rifrangendosi sullo specchio, e generando sfumature pastello in una stanza ancora avvolta da una penombra fiabesca.
Emma dorme con la testa affondata nel cuscino, le labbra socchiuse, i ricci che le ricadono sulla fronte come una corona.
È bella da togliere il fiato.
Mi alzo dal materasso affrontando il freddo del novembre inglese, che il riscaldamento della casa non riesce a sconfiggere del tutto.
Il parquet cigola per un istante sotto i miei piedi nudi.
Intuisco Emma muoversi nel letto, scalciare le coperte e tornare a dormire come se niente al mondo potesse disturbarla.
Raggiungo la vestaglia appesa dietro alla porta, la infilo velocemente sul petto nudo, prima di legarla alla bene meglio in vita e di affrontare la discesa verso il piano di sotto.
Come sempre a quest'ora, casa mia è già illuminata, con le finestre spalancate e con l'odore di tè al latte che si diffonde dalla cucina, insieme a quello inconfondibile dei muffin appesa sfornati.
Hanna è sempre stata così. Che io ci sia o meno, lei segue la sua routine.
Prepara la colazione, arieggia la casa, prima di sbattere i tappeti, di spolverare i mobili con un prodotto che lei ritiene insostituibile, e di rifare i letti che molto spesso, date le mie continue assenze, sono già perfettamente rifatti.
Ama questa casa come se fosse casa sua e, ovviamente, non mi sono mai preso la briga di farle fare altrimenti, visto che ci vive dentro da più di venti anni.
Con passo leggero mi dirigo verso la cucina, supero la porta, osservandola intenta a scartabellare uno dei suoi quaderni di cucina, ricurva sul bancone di legno, con i capelli bianchi ben pettinati e le dita sottili.
Solo la divisa che di solito indossa è diversa, libera dalla costrizione professionale che la mia presenza le impone da sempre.
Ha la camicia sbottonata fino a poco sopra il seno e una catenina d'oro che le dondola come un pendolo sui quadretti delle pagine.
Mi avvicino piano.  Non voglio spaventarla.

-    «Buongiorno, Hanna!»

Alza gli occhi di scatto. Punta le sue iridi azzurre nelle mie, tradendo un sussulto spaventato. Poi mi sorride.

-    «Maestro... non sapevo che fosse rientrato! Non mi ha avvisata... Se avessi saputo le avrei preparato una colazione più dignitosa!»

Lo dice con un misto di rimprovero e imbarazzo, quasi come se volesse giustificarsi di non essere riuscita a farsi trovare impeccabile.
Perché lei lo è, impeccabile. Sempre.
Mi accudisce trovando il verso giusto alla mia vita altrimenti in perenne direzione contraria.
Le rivolgo un sorriso carico di affetto.
Lei arrossisce. Gioca per un istante con la catenina che porta al collo.
Un luccichio mi colpisce gli occhi ancora carichi di sonno.

-    «Quello che hai è perfetto! Andrà benissimo per...»

Un nuovo riflesso dorato mi balena negli occhi.
Sposto lo sguardo sul piccolo ciondolo.
Di colpo il mio cuore manca un battito.
Non è possibile! Non riesco a crederci.
Sento il mio mondo implodermi addosso.
Hanna infila frettolosamente la catenina nella scollatura della camicia.
Chiude i bottoni fino al collo, tornando ad indossare l'abito con cui sono abituato a vederla.

-    «Sì, Maestro... andrà benissimo per cosa?»

Provo a riscuotermi. A ritrovare una voce che mi sembra di non riuscire ad afferrare.

-    «Andrà benissimo per un boccone veloce prima di uscire per andare dal medico.»

Hanna sgrana gli occhi.
Mi sembra tutto così irreale.

-    «Si è fatto male, Maestro?»

La voce della mia governante è sempre apprensiva, sempre suadente. Eppure in questo momento mi sembra così pericolosa.

-    «Mi sono rotto un dito, temo...»

Le sventolo la mano davanti agli occhi, cercando di riprendere il controllo sui miei pensieri, di trovare una scappatoia per uscire in fretta dalla mia cucina senza destare sospetti.
Afferro un muffin distrattamente, me lo porto alla bocca, provando ad interpretare l'uomo che lei conosce da venti anni.
Da ventiquattro anni...

-    «Spero non sia nulla di grave... la aspetto per pranzo?»

Il mio pensiero vola improvvisamente ad Emma, che spero ancora addormentata nella mia camera da letto.
E se si svegliasse? Se decidesse di scendere in cucina?
Mi sento in trappola. Ingannato, usato e controllato da un quarto di secolo.

-    «No Hanna, devo rientrare subito a Berlino. Questa sera ho un'orchestra da dirigere, dito permettendo...»

Lo dico distrattamente, fingendo un sorriso che spero stia risultando credibile.
Lei fa un cenno con la testa, la scuote velocemente in segno di dissenso, come ha sempre fatto quando mi riteneva vittima di un lavoro troppo logorante.
Eppure adesso è tutto così diverso...
Mi congedo da lei cercando di non tradire una fretta sospetta. Inforco le scale canticchiando distrattamente gli stralci di un'aria de La figlia de Reggimento.
Appena ho la sicurezza di essere nascosto al suo sguardo accelero il passo.
Devo raggiungere Emma.
Apro la porta della stanza. Lei è ancora addormenta nel mio letto.
Mi siedo sul materasso che mi inghiotte per un attimo tra le sue spire, le avvicino la bocca all'orecchio.

-    «Emma... Emma svegliati!»

I suoi occhi si aprono sul mattino.
Mi rivolge uno di quegli sguardi che ti impongono di ringraziare il fato, scacciando per un istante il terrore che mi serpeggia nella schiena.

-    «Buongiorno...»

Lo dice sorridendo, cercando un mio bacio.
Io mi ritraggo.
Lei corruccia la fronte.

-    «Dobbiamo andarcene, Emma!»

Quello che esce dalle mie labbra è un sussurro spaventato.
Emma si mette a sedere sul letto, mi guarda con gli occhi pieni di paura. Si alza, inforca i suoi vestiti di fretta, raccogliendoli dal pavimento sul quale li ha abbandonati ieri sera.
Non fa domande. È come se fosse ammutolita per il panico e volesse solo uscire da casa mia il più in fretta possibile.
La ringrazio per non perdere tempo a chiedere spiegazioni, mentre apro l'armadio, le passo una maglietta e uno dei miei dolcevita, permettendole finalmente di abbandonare la sua felpa logora e vittima di due giorni di fuga.
Lei se le infila di fretta, sopra i suoi jeans che stanno insieme per miracolo.
Sembra una bambina avvolta nei miei vestiti troppo grandi.
Indosso i mei abiti puliti velocemente, poi le prendo la mano.
Lei ha già recuperato lo zaino in cui ha stipato dentro le sue cose, provando a non lasciare traccia del suo passaggio.
Affrontiamo le scale in silenzio, attenti ad ogni scricchiolio del vecchio pavimento di legno.
La sorte ci assiste, la casa sembra deserta.
Ci infiliamo nella porta che da sul garage, raggiungiamo la macchina, spalanchiamo le portiere, chiudendole facendo attenzione a non fare alcun rumore. I finestrini oscurati mi donano per un attimo un senso di sollievo.
Metto in moto velocemente, frugo nello scomparto davanti al cambio, afferro il telecomando del garage. Il portone si apre con una lentezza massacrante.
Finalmente vedo la via di fuga aprirsi benevola sulla piazza immensa.
Inserisco la retromarcia, la macchina arretra piano, portandoci verso la salvezza.
Percorriamo due isolati in silenzio. Come se non avessimo il coraggio di parlare.
Poi Emma mi prende la mano.

-    «Robert... cosa succede? Perché siamo scappati da casa tua?»

Rallento, la guardo negli occhi.

-    «Emma, il simbolo sulla catenina... Hanna è una di loro!»

Nota dell'autrice: con questo capitolo si chiudono i "pronti alla pubblicazione".
Dal prossimo ad andare avanti ho ancora qualche cosa da rivedere ed aggiustare qua e là...ma cercherò di essere brava e continuare a mantenere il ritmo a cui vi ho abituate.
Ringrazio infinitamente chiunque passi dalla mia storia ed investa il suo tempo a leggere le mie parole.
Le vostre stelline, i vostri messaggi, le vostre semplici letture, mi riempiono di felicità.
Ed infine voglio dedicare questo capitolo alla mia amica Eternal_Return che, non riesco ancora a capire bene come, prevede ogni mia mossa e mi smaschera con commenti sagaci.
Alla prossima puntata...

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