3 - Soul Mate

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Suonò l'ora della ricreazione al liceo classico "Ugo Foscolo" di Oderzano e gli studenti si riversarono impazienti e rumorosi lungo i corridoi. Sara era ferma sulla soglia della quarta A per discutere allegramente con il docente d'italiano, il professor Livio Romano.

«Ma che avrà da dirgli ogni volta?» domandò Will curioso a Jem, suo compagno di banco.

Quel giorno Will indossava un maglioncino bianco leggero, perfettamente aderente al suo fisico atletico, sopra a un paio di sneakers, anch'esse bianche, e jeans chiari. Con quel sorriso genuino, accompagnato da un leggero rossore sulle guance, era il ritratto della salute. All'esatto opposto in quello spettro cromatico ed emozionale c'era Jem: vestiti dalle tonalità scure, alto e magro, capelli neri davanti agli occhi ombrosi e penetranti come aghi. Vederli a fianco non faceva che accentuare tale contrasto.

Will era il manifesto della spensieratezza, un trionfo di vitalità tutto da contemplare. Jem, invece, evitava il più possibile di dare nell'occhio mantenendo un basso profilo e circondandosi di pochi amici fidati. Chi non li conosceva avrebbe detto che quei due non avessero nulla da spartire. Ma non era così. Will e Jem erano legati come fratelli: conoscevano ciascuno il carattere dell'altro come le proprie tasche. Erano come il giorno e la notte: opposti e inseparabili.

«Bah, non saprei. Secondo me ci prova e basta» se ne uscì secco Jem, mettendo le mani in tasca e percorrendo senza indugio il corridoio verso il cortile interno di quello che un tempo era un convento.

«Fossi femmina ci proveresti anche tu, fidati» intervenne alle sue spalle l'esuberante Matteo, sorriso beffardo e sigaretta dietro l'orecchio, seguito a ruota da Nico, altro loro compagno di classe. «Non credo proprio» asserì Jem con una smorfia di dissenso.

«Eh eh, il nostro Jem ha gusti difficili, non è vero?» commentò Nico affiancando Will dall'altra parte.

Nicola, Nico per gli amici, era un ragazzo di media statura, fisico e tratti nella media, voti e condotta nella media. Uno studente assolutamente ordinario. Ammirava Will e Jem da quando li aveva conosciuti al primo anno di liceo. Era rimasto folgorato dalla loro salda complicità, buone maniere nonché innumerevoli talenti. Non si lasciava sfuggire occasione per stargli dietro nella speranza di trarre, frequentandoli, una qualche forma d'ispirazione da loro. Compagni e professori li stimavano, li consideravano straordinari. E lui voleva essere come loro. Straordinario.

Matteo, invece, era la tipica faccia da schiaffi: capelli scuri e corti ai lati sovrastati da un lungo ciuffo accuratamente piegato di lato, brillante all'orecchio e abiti firmati. Studente vivace, appassionato di donne e pallone, nonché copiatore seriale di versioni, affinava da quattro anni la propria arte della copiatura di cui Jem sapeva qualcosa, essendo la sua fonte di salvezza a ogni compito. Doveva essere per questo che Matteo se lo teneva stretto, era stato il primo pensiero di Jem, diffidente per natura. Che altro motivo poteva avere un ragazzo così popolare per passare quei pochi minuti liberi con lui anziché unirsi ai fighi della scuola a fare incetta di moine femminili?

Eppure, dietro quell'aria da sciupafemmine, Jem sapeva che si celava un ragazzo profondamente insoddisfatto. Figlio di un notaio e un avvocato, Matteo come molti figli di famiglie importanti non aveva avuto molta voce in capitolo sulla scelta della scuola da frequentare. I suoi ritenevano che quel rinomato liceo, in cui anche loro avevano studiato, fosse il luogo migliore in cui "affinare i propri modi e linguaggio, coltivare l'amore per la cultura e amicizie sane". Peccato che a Matteo non fregava un bel niente di filosofia e letteratura, storia romana e mitologia greca. Quello che davvero gli interessava era sfondare nel mondo del calcio. E spassarsela con le ragazze.

Jem aveva una storia simile, in un certo senso, ma opposta alla sua: i genitori avevano fatto entrambi studi scientifico-economici e lo avevano più volte spronato (soprattutto il padre) a seguire le loro orme optando per il liceo scientifico. Ma Jem non nutriva particolare interesse per i numeri e, soprattutto, non voleva rinunciare alla sua passione per la letteratura. E così era entrato in quel liceo ma, a differenza di Matteo, per sua volontà. Era riuscito ad avere la meglio sui suoi, a far vincere le sue ragioni su quelle dell'inflessibile padre, il quale non perdeva mai occasione di affermare l'inutilità dello studio dei classici nel percorso di costruzione di una carriera di successo. Jem, con l'eloquenza e la composta determinazione che gli erano proprie, aveva convinto i suoi alla fine. Era riuscito laddove Matteo aveva fallito. E Matteo lo stimava per questo.

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