Il mondo senza luce

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~ Primo capitolo ~

Buio, non vedeva altro davanti a sé. Aggrappata alla ringhiera del balcone di quell'appartamento lussuoso sito all'ultimo piano di un edificio imponente, Chloe Decker aveva appena visto scivolare via l'unica possibilità di essere felice e sapeva che non avrebbe potuto far nulla per evitarlo.
Immobilizzata, nella consapevolezza di non appartenere più a quel corpo che in quel momento, per lei, era solo una trappola che le impediva di volare, di rincorrere chi, senza lasciarle il tempo di spiegare, di implorare, era sparito per sempre, Chloe guardava le luci della grande L.A, senza vederle davvero. Gli occhi velati di lacrime, le impedivano di mettere a fuoco il panorama che le si presentava davanti, ma non riusciva nemmeno a farle scendere. Queste erano intrappolate, desiderose di scivolare lungo il viso, di fuggire, ma allo stesso tempo, impossibilitate a lasciare il luogo in cui si trovavano, come se non appartenessero né agli occhi che le avevano generate, né al volto, che si diceva pronto ad accoglierle.
Ed era proprio così che si sentiva Chloe, come se non appartenesse davvero al pianeta che la teneva incollata al suolo, ma incapace a muoversi dalla posizione in cui si trovava in quel momento. Era una serata come tante altre e le macchine sfilavano tranquille lungo le strade, ignare, inconsapevoli del fatto che il mondo era crollato e che tutto sarebbe finito. Perché era così per tutti, giusto? Chloe non era la sola a non sentirsi più il cuore nel petto e a non sapere più come introdurre aria nei polmoni, vero? Ah no. La terra continuava a girare, le persone a camminare, respirare, bere il caffè, fare l'amore, litigare, ubriacarsi, a vivere. Era solo il suo mondo, ad essersi sgretolato, ad essere andato in mille pezzi e a nessuno importava. E come si permettevano, gli altri esseri umani, ad essere incuranti della sua sofferenza? A continuare a vivere senza pensare al fatto che lei, invece, non ci riusciva più?
Chloe provò a concentrarsi su altri dettagli, a fissare nella sua mente l'immagine degli edifici che da quell'altezza riusciva a vedere, per paura che anche questi potessero sparire da un momento all'altro. Provò, infine, a contare le luci dei lampioni che illuminavano quella porzione di Los Angeles che si trovava nel suo raggio visivo, ma non ci riusciva. La città, per lei, non era mai stata così buia, come se tutta l'energia luminosa fosse stata risucchiata via all'improvviso, lasciando la terra nelle tenebre. E il buio rischiava di inghiottire tutto, di inghiottire lei. Ecco di cosa avrebbe avuto bisogno in quel momento, di un portatore di luce, ma il destino con la detective non sarebbe potuto essere più beffardo e aveva deciso di portarglielo via per sempre.
Una volta resasi conto di essere ancora viva, Chloe provò a muoversi e solo in quel momento si rese conto di essersi aggrappata con tutte le sue forze alla ringhiera del grande balcone. Fece fatica, infatti a lasciarla, avendo le mani arrossate per lo sforzo. Sorrise tra sé, la detective. Sapeva bene cosa era successo. Anche nel momento in cui la sua vulnerabilità aveva toccato l'apice, il suo autocontrollo non l'aveva abbandonata, e mentre con la mente, il cuore, immaginava di lanciarsi nel vuoto, di raggiungere l'irraggiungibile, il suo super io si comportava in maniera responsabile, mettendola in salvo. Come se in lei lavorassero sinergicamente due personalità, due modi di agire, due partner, uno maturo e dedito alle regole e l'altro, spregiudicato, irrazionale, capace di individuare, però, il colpevole di un omicidio, nonostante la sua stravaganza. Come avrebbe fatto senza quella parte di sé? Era sopravvissuta, dunque, e nella sua mente, Chloe, riuscì ad immaginarsi per pochi istanti l'espressione soddisfatta di Lucifer, che dopo aver risolto brillantemente un caso, si rivolgeva a lei dicendo:"Ben fatto, detective". L'immagine durò poco però, e alla felicità, nel cuore di Chloe, subentrò di nuovo lo sconforto e l'angoscia della perdita. Fece un respiro profondo, cercando di assorbire più ossigeno possibile e rientrò nell'appartamento in cui era sola. Non volle nemmeno guardarsi intorno e fermarsi ad osservare quel letto, in cui lei fu la prima ad averci solo dormito con lui, il pianoforte, al quale tante volte lo aveva visto seduto e lo aveva accompagnato. Non aveva tempo per crollare, per spezzarsi in mille pezzi, doveva prima capire, accertarsi che la sua più grande paura si fosse realizzata davvero, che non c'era più nulla da fare. Stava per raggiungere l'ascensore, quando quest'ultima si aprì, rivelando un Amenadiel quasi sconvolto.
"Charlie sta bene?" - chiese Chloe, vedendo l'espressione dell'angelo.
"Sì" - rispose Amenadiel, che però si guardava intorno freneticamente, in cerca di qualcosa, o qualcuno.
"Dov'è Lucifer?" - chiese alla fine.
Il cuore di Chloe, già mal ridotto, rallentò ancora di più.
"È andato.." sussurrò la detective, perché dirlo ad alta voce avrebbe voluto dire accettare quella terribile realtà.
"Dove?" domandò l'angelo, cercando il suo sguardo
"Via. È tornato.." Chloe non riuscì a pronunciare la parola "casa" e quando si decise ad incrociare lo sguardo di Amenadiel, gli implorò, con gli occhi, di non continuare a farle domande sul fratello. Lui, dall'espressione sconvolta di lei, comprese cosa era successo e raggiunse l'immenso terrazzo, nella speranza, forse, di riuscire a cogliere qualche traccia di Lucifer. Ma per Chloe era troppo. Se anche Amenadiel era sconvolto, allora era veramente finita. Buttando un ultimo sguardo all'appartamento, nel quale, giurò, che non sarebbe ritornata mai più, Chloe chiuse le porte dell'ascensore e cercando, in cuor suo, il pulsante che le avrebbe permesso di scendere negli inferi, alla fine, si accontentò del piano terra.

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