Like Dreamers Do

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«Ma vorrei che ci fossi anche tu! Per me è importante

«E io vorrei esserci, Paul! Davvero!  Altrimenti perchè avrei queste stupide lacrime adesso?! Non piango per delle sciocchezze!»

«Allora se lo vuoi vieni, fallo!»

«Ti ho detto che non posso!»

«Se vuoi puoi. Vuoi?»

«Lo sai, Paul, ti prego... sono stanca di gridartelo... io non poss...»

«Lo vuoi, Anne?»

«Certo che sì»

«Allora puoi»

«No! Non posso scappare di casa!»

«Non devi ... non è ... non sarebbe scappare!»

«Ah no?! Saltare giù dalla finestra della mia camera nel bel mezzo della sera senza dirlo a nessuno non sarebbe scappare, Paul?!»

«Torni a casa, dopo! Non stai fuggendo via da Liverpool per non farti vedere mai più!».

Ormai seduta sul letto con le ginocchia al petto e le caviglie intrappolate dalla stretta delle mie mani, per la prima volta in venti minuti non ribatte e mi guarda con gli occhi rossi di pianto rabbioso ed impotente, le lacrime appese alle ciglia scintillano sotto l'arancione striscia di sole che proietta le nostre ombre sul muro. Ignoro lo schiacciante peso al petto che mi soffoca ogni minuto di più ed allungo una mano per sfiorare la pelle umida della sua guancia arrossata staccando delicatamente qualche ciocca bionda appiccicata sopra. Non posso fare un meno di sfiorare con i polpastrelli anche le rosse labbra gonfie e tagliuzzate per tutte le volte che le ha trattenute e mangiucchiate con i nervosi incisivi. È bellissima da far male e nonostante il contesto per niente favorevole ho un immensa voglia di baciarla.

Mentre l'accarezzo resta a guardarmi spaventata a morte, forse pensando alla mia richiesta di sgattaiolare di nascosto fuori dalla sua stanza per venire al Casbah, di notte, senza il permesso dei suoi genitori. 

Abbiamo entrambi il fiatone per esserci parlati sopra a vicenda tentando di apparire calmi, in realtà siamo spaventati da questa situazione apparentemente senza soluzione. È la prima volta che le vertigini allo stomaco mi rimandano una bruttissima sensazione, quella di star cadendo lontano da lei. Afferrarle il viso con entrambe le mani è un bisogno irrefrenabile a questo pensiero orribile, una spinta istintiva per non farla andare via da me come tutto invece sembra suggerirmi stia per succedere.

«Anne» le mormoro poggiando la fronte sulla sua, la sua folta frangia è morbida sulla mia pelle leggermente sudata dall'incredibile agitazione crescente. Non voglio perderla.

«Paul, no» sibila lei strizzando le palpebre per non guardarmi negli occhi vicinissimi ai suoi, per resistermi e non cedere. So benissimo l'effetto che ho su di lei, lo stesso che lei ha su di me. Non vuole essere convinta, è così stupidamente testarda.

«E invece ». La forzo senza mollare la presa gentile sul suo viso perché è questo il suo difetto più grande: non riuscire a vivere come vorrebbe, fino in fondo. Ed è sbagliato, è quello che la rende sempre velatamente triste, chiusa, incerta, spaventata. Odio vederla così, imprigionata dentro la sua stessa tracolla.

«È la stessa cosa dei tuoi dischi nascosti nella cartella della scuola» le ricordo accarezzandole il naso con il mio «Li volevi e l'hai fatto, li hai comprati, li hai nascosti, nessuno dei tuoi genitori se n'è accorto»

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