Love Of The Loved

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Liverpool, agosto 1959



Quello che ha detto George sull'autobus, ore fa, non suona più così tanto assurdo.

"Le hai chiesto di chiamarti una volta deciso, quindi se non ti ha chiamato significa che non ha ancora deciso. Per quanto ne sappiamo potrebbe raggiungerti a mezzanotte come una cenerentola al contrario. Divertente, no?".

«Scusate» annaspo infilandomi con la forza tra due ragazzi sentendo nello stomaco il peso della paura. Il cuore mi pulsa nel petto, nelle orecchie, in gola, nei polsi mentre allungo il collo per cercarla tra la gente stipata in questo formicaio soffocante per il caldo e il fumo di sigaretta.

«ANNE!?» grido sul vociare allegro senza riuscire a vederla. Le mollette di zia Gin sono letteralmente saltate via dal filo ed il panico crescente mi spinge a camminare sempre più velocemente, per quanto la gente me lo permetta. Sarebbe inutile cercare nelle altre stanze perchè non credo proprio voglia restare qui, non dopo quello che pensa di aver visto. Al solo pensiero accelero il passo prendendo le strette e buie scale affollate, superando di corsa un gruppetto di ragazze per arrivare finalmente al piano di sopra senza davvero più fiato e gambe. Sto in piedi grazie alla lontana figura di Anne che marcia verso l'uscita principale del Casbah dove diverse persone stanno chiacchierando e fumando. 

«ANNE, FERMATI, TI PREGO!» le grido saltando delle casse vuote di Coca Cola per correrle dietro. Aria fresca mi raffredda istantaneamente le guance bollenti appena metto piede sull'erba scura accorgendomi che le ballerine nere di Anne fanno fatica ad avanzare sul sentiero sterrato, scivoloso per l'umidità notturna. Ma avanzano lo stesso, con più testardaggine come il mio cuore che sembra ormai esplodere nel petto. Purtroppo per lei e fortunatamente per me, le mie falcate sono decisamente più lunghe delle sue.

«Amore» gli sussurro con un filo di fiato affannoso ed angosciato riuscendo ad avvolgerle il polso sinistro con le dita. La blocco prima che possa oltrepassare il grande cancello nero e soltanto adesso sento il petto alzarsi ed abbassarsi velocemente. Sono spaventato e sollevato al contempo, come se avessi impedito a questa piccola mano di sparire nel nulla.

«Lasciami» mi sibila freddamente senza muovere un muscolo a parte le sue spalle che hanno lo stesso ritmo del mio petto. Non ci penso nemmeno a lasciarla e, anzi, intensifico la presa attorno al suo polso andandole davanti per guardarla negli occhi che scopro lucidi. Posso specchiarmi in questo blu quasi nero come la penombra notturna di questo angolo di giardino che ci offre la più completa privacy. Il mio viso è stravolto e sudato, le labbra aperte per riprendere fiato, sento il cuore gonfio di qualcosa che non riesco più a decifrare. 

«Hanno cambiato idea? Ti hanno fatto uscire?» le chiedo senza riuscire a respirare o distogliere lo sguardo aperto dal suo, improvvisamente assottigliato. 

«Sono scappata, Paul» mi fa sapere con disprezzo cominciando ad agitarsi, mostrando di essere in realtà terrorizzata e forse ancora incredula di aver fatto quello che ha fatto. «Sono scappata! Ho dato la buonanotte, ho spento la luce, ho aspettato il silenzio totale e poi mi sono calata giù dalla finestra della mia camera aggrappandomi alla grondaia!» continua, stupendomi. Ma non riesco a sorridere come vorrei perchè la sua voce è rabbiosa e i suoi lineamenti disegnati dalla flebile luce azzurrina del cielo stellato sopra le nostre teste sono accartocciati in un'espressione di puro disgusto tutta per me.

«Mi sono tagliata le dita e sbucciata un ginocchio! Stavo per rompermi l'osso del collo!».

Al''tagliata e sbucciata" i miei occhi spalancati scendono immediatamente sulla mano immobilizzata dalla mia. Allento la presa per non farle male, in questo buio riesco soltanto ad intravedere piccole gocce di sangue sporcare anche il mio palmo. Il cuore rimbalza impazzito quando, riportando lo sguardo spaventato sul suo viso, vedo una lacrima scorrere su una guancia arrossata nonostante sia sempre più arrabbiata.

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