2. οικία

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Il fischio del treno. Il suono dell'acqua di un fiume.

L'idea di raccogliere dei frutti da poter mangiare durante il viaggio non poté essere più geniale.

I fichi erano dolci come li ricordava e fu ancora più felice quando la buccia si tolse completamente con successo.

Jane sentiva quel tipo di gioia che si provava nel giorno nel proprio compleanno, una gioia effimera e futile, una gioia che era un atomo di quel vero e raro sentimento detto felicità.

Lei vedeva il paesaggio sparire sotto i suoi occhi, l'erica e le iris divennero solo un lontano, doloroso ricordo.

Il colore dell'erica le aveva riportato alla mente il colore del maglioncino di lana a collo alto che sua madre era solita indossare.

Quel giorno, il giorno in cui le aveva detto che sarebbe andata in collegio, indossava quel maglioncino, ma ne aveva abbassato il collo, probabilmente per il caldo.

Jane ricordava bene il caldo di quella giornata, ragion per cui ricordava lo strano abbigliamento della madre, la quale considerava ancora l'abbronzatura come la più terrificanti delle cafonerie.

Jane sentiva le palpebre particolarmente pesanti e si stupí di vedere il Sole non essere più alto nel cielo come ricordava, ma lontano, mentre salutava la Terra con leggeri ed antichi raggi dalla sua dimora notturna ad ovest.

"Jane, Jane, Jane, stai perdendo colpi eh?" si disse la ragazza, mentre appoggiava il capo alla finestra del vagone, la quale era leggermente aperta.

Sentiva l'abbraccio di Morfeo intorpidirle i muscoli, le palpebre che diventavano pesanti al par di macigni.

Incrociò le braccia, un vago sorriso ad incorniciare le sue labbra e Morfeo si impossessò della sua mente che chissà quali sogni stava elaborando.

*

Il fischio del treno la risvegliò da un sogno intriso di spine e Jane sentí un atroce dolore alla schiena, segno che aveva dormito in una posizione scomoda.

Stava beatamente sbadigliando quando notò di essere non in una stazione, ma nella stazione di Londra, un cartello a caratteri cubitali che ne indicava il nome.

I suoi occhi quasi uscivano dalle orbite a tutto quella fiumana di persone, alla velocità quasi innaturale secondo cui la vita scorreva.

Si sentiva come Hareton Earnshaw al confronto con Chaterine Linton al loro primo incontro.

Si sentiva coperta da uno stato di ignoranza e arretratezza che nascondevano la sua vera natura, mentre, scesa dal treno, osservava la bellezza di Londra ammaliata.

Camminava con il naso che sfiorava le nuvole, scontrandosi con più di una persona, mentre cercava quasi disperatamente qualcuno a cui chiedere dove avrebbe dovuto cambiare.

Londra era e non era.

Era la bellezza delle locomotive che osavano scintillare al Sole, la bellezza della vita che trovava mille sbocchi per sfociare.

Una bellezza che era di per sé un'utopia, una bellezza che non era e non poteva essere per Jane Bennet, lei che poteva solamente sfiorare quella vita che si modellava al tocco delle sue dita.

Può un bocciolo convivere fra mille spine?

Questo era uno dei tanti pensieri che occupavano inesorabilmente la mente di Jane Bennet, la quale aveva notato un uomo che dispensava indicazioni.

L'arte di esser giovani IN PAUSADove le storie prendono vita. Scoprilo ora