6. elementαre Wαtson

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Sfrigolio di patate nell'olio. Acqua ghiacciata in un bicchiere. Chiacchiere animate.

Jane Bennet rappresentava l'esatto opposto di ogni collegiale presente nella sala adibita alla consumazioni dei pasti.

Se qualsiasi ragazzo e ragazza, disposti in diverse piccole tavolate perfettamente apparecchiate e coperte da un soffice e immacolata tovaglia bianca, stavano chiacchierando fra loro mangiando tutto ciò che precedentemente ogni collegiale aveva avuto premura di andare a prendere dal piccolo sportello dove venivano distribuiti i pasti, Jane se ne stava con una porzione di pesce fritto davanti, la forchetta a mezz'aria e i suoi occhi che quasi perforavano la parete che le si presentava davanti, accantonando i discorsi su cui le ragazze di fianco a lei stavano discutendo.

Ciò che Jane stava osservando non era qualcuno, bensì qualcosa.

Dinanzi a lei si stagliava sulla parete un'opera quasi immensa, una riproduzione di un dipinto che Jane non aveva mai avuto il piacere di osservare, perforare e immagazzinare la bellezza che esso con un solo sguardo riusciva a donare.

Perché se vi era qualcosa che Jane amava con tutta se stessa era l'arte.

L'arte più pura che si potesse trovare, l'arte quasi primordiale, l'arte di cui il genere umano ha avuto bisogno per semplicemente sopravvivere.

L'arte delle opere, l'arte delle azioni, l'arte degli sguardi, l'arte del vivere, l'arte di esser giovani.

L'arte presente nei dipinti, l'arte impressa a fuoco nella natura, l'arte che si accorda con la musica, l'arte pura e delicata di uno scritto.

E lei, si trovava davanti all'arte e non poteva non essere incantata dalle pennellate decise, ma leggere sul dipinto.

Dai soggetti, così veri, così vivi.

Dalla vita che sgorgava in ogni azione come un fiume impetuoso che trova un piccolo spiraglio fra le rocce, le frastagliate rocce.

La sua contemplazione fu interrotta da una domanda che Jane trovò piuttosto banale.

"Ti piace?" chiese Elizabeth Chapman, la quale non si era fatta troppi problemi ed aveva finito la sua porzione di pesce fritto da un po'.

Aveva la testa poggiata su una mano e guardava Jane con le palpebre leggermente socchiuse, segno della sua stanchezza, mentre sistemava la sedia, portandola più in avanti.

"Moltissimo" sussurrò piano Jane, come si sussurra un segreto o per meglio dire, come si sussurra ciò che non si vuole far scappare, tenere sigillato fra le labbra per paura che possa scappare o peggio, essere rubato.

"La maggior parte di noi, la odia questa maledetta libertà! - disse Elizabeth, mentre beveva un dal bicchiere dell'acqua che pareva ghiacciata - Ma a Mrs. Harrison, la moglie del direttore, piace così tanto!"
finí sbadigliando, segno che doveva essere particolarmente stanca benché fosse il tramonto fosse passato da poco.

"La libertà guida il popolo è il nome esatto" commentò la ragazza che doveva chiamarsi Marta, mentre sbuffava per togliere un ciuffo della frangetta che le era sfuggito dinanzi agli occhi.

Jane notò che i capelli che a primo impatto che erano parsi castani erano in realtà di un curioso biondo cenere che non stonava troppo con le iridi che avevano la scurezza del mare grosso, una tempesta sul punto di far naufragare quella piccola nave che solca il mare, i cui marinai incuranti dell'imminente fine riposano tranquilli.

Benché avesse lo stomaco chiuso ed il suo piloro fosse ingarbugliato al pari di una matassa di lana, Jane mandò giù a fatica i bocconi di pesce fritto con patate che erano la sua cena, provando a concentrarsi sulla quasi perfetta riproduzione de la libertà guida il popolo, ripromettendosi di scoprire qualcosa in più su quell'opera che le aveva letteralmente serrato e inesorabilmente conquistato il cuore.

L'arte di esser giovani IN PAUSADove le storie prendono vita. Scoprilo ora