40 - Sangue del suo sangue

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Rientrai a casa furibondo, percorrendo le scale del condominio a due a due nella totale oscurità, deciso a non aspettare l'ascensore, per buttarmi in doccia il prima possibile.

La ragazzina in asciugamano non aveva la più pallida idea di chi avesse fatto incazzare, non sapeva davvero con chi aveva a che fare, perché quello stupido scherzo delle pizze le si sarebbe ritorto contro con tutti gli interessi.

Raggiunsi il pianerottolo e aprii il vecchio portone di legno, e forse per la foga o forse perché tornare a casa per me equivaleva scendere all'inferno, lo sbattei con forza per chiuderlo alle mie spalle. I motivi per cui continuavo a vivere in quella prigione di rabbia e dolore erano semplici e fondamentalmente tre. Primo: avevo bisogno di un posto dove tenere i vestiti e far recapitare la posta e, soprattutto, non potevo permettermi un affitto in più. Secondo: rientrare a casa mi obbligava a dormire almeno qualche ora nel mio stanzino, cosa essenziale per la mia salute, peccato fosse l'atmosfera tra quelle mura ad essere malsana.

-Ma che cazzo....Ale sei tu?!-

La voce burbera di Vincenzo mi intossicò le orecchie, rammentandomi il terzo e forse il più importante tra tutti i motivi che mi spingevano a rientrare a casa: buttare, nascondere ed eliminare quante più bottiglie di alcolici possibili. Questo era l'unico atto di affetto che facevo nei confronti di mio padre.

Sospirando lasciai cadere a terra il borsone che mi trascinavo dietro da due giorni: decisamente quella non sarebbe stata una serata tranquilla. -Sì sono io. – risposi mestamente, tentando di riacquisire il controllo di me stesso e, superando il corridoio scuro, entrai nel salotto.

Lui era lì, seduto sulla poltrona dove l'avevo lasciato due giorni prima, di fronte alla televisione, con una serie di confezioni alimentari aperte malamente su un tavolino. -Potresti evitare di frantumare la porta quando rientri a casa?- fece seccato.

Mi passai nervosamente una mano tra i capelli:- Scusa, è stata una giornata di m...-

Com'era solito la sua voce saltò sulla mia:- La tua è stata una giornata di merda?! Io ho passato due ore in coda alla posta per spedire gli ultimi quadri del nonno che ho venduto e sono pure passato all'ufficio di collocamento, come tu volevi, per sentirmi nuovamente ridere in faccia!-

-Mi spiace.- feci apatico, desideroso di buttarmi in fretta sotto il getto di acqua corrente.

- A me spiace perchè viviamo in un mondo di merda, con gente di merda che non si merita altro che...- prese a borbottare nervoso alzandosi dalla poltrona per cambiare canale manualmente alla televisione.

-Merda?- azzardai sarcastico prima di allontanarmi.

-Sì sì, fai il cretino...quando te ne accorgerai anche tu, verrai a dirmi che avevo ragione.- continuò seccato ed aggiunse infastidito: - Come ti avevo già detto io, non hanno nulla per chi ha più di ventitrè anni in quell'ufficio del cazzo, quindi non mi tormentare più.-

-Tranquillo, questa sera proprio non ne avevo intenzione...- feci tentando di racimolare gli ultimi sgoccioli della mia pazienza di fronte alla sua autocommiserazione.

-Non è colpa mia se in questo paese ti possono licenziare dopo trent'anni di lavoro senza battere ciglio!- continuò lui burbero tornando a sedersi, più rivolto al suo "mondo di merda" che a me.

La chiusura della fabbrica dove aveva lavorato per tutta la vita era stato un duro colpo per lui, più forse del tradimento e della separazione con Marisa, mia madre, anni prima. Se dapprima la sua depressione era stata tamponata dall'assegno di disoccupazione, ora la sua unica valvola di sfogo era nell'alcol che spesso lo portava a rimuginare sulle sue disgrazie. Forse fu quel suo rievocare il passato a farmi cadere lo sguardo dietro la poltrona dove intravidi una bottiglia di vetro rovesciata a terra.

Primum Non NocereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora