38 - Un'ultima sigaretta

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Aspirai l'ultima boccata di fumo da quella dannata sigaretta e  mentre la spegnevo, come al solito, promisi a me stesso che sarebbe stata l'ultima. Era da tempo che ci provavo eppure non ero ancora riuscito a smettere di fumare. Ero ben consapevole dello schifo che mi sparavo ogni volta nei polmoni eppure, tenere quel veleno tra le dita, era una delle poche cose che mi dava un certo autocontrollo.

E negli ultimi mesi sembravo averne un disperato bisogno.

-Ale! Dove cazzo è andato? Ale! –

Le grida di Luigi attirarono la mia attenzione nel vicolo buio fuori dalla pizzeria d'asporto. Come se l'effetto rilassante della nicotina fosse immediatamente evaporato, sentii le spalle tendersi e il torcicollo dovuto alla stanchezza tornare a tormentarmi. Sospirai stancamente prima di entrare: non dovevo mollare, dovevo resistere.

-Si può sapere quanto può mai durare una pausa sigaretta?- esordì il vecchio proprietario gesticolando con le mani ancora sporche di farina – Una di queste sere, giuro su Dio, ti presenti qui e trovi la serranda chiusa!-

Ghignai divertito di fronte alle solite minacce che ornavano il rapporto tra me e Luigi da qualche anno. Le sue lamentele erano decisamente la parte divertente di quel lavoretto serale, la parte che mi consentiva di distrarmi dal duro lavoro della giornata. Per quello risposi provocandolo come al solito: - Quel giorno sarò costretto a passare alla concorrenza come Marco.-

Il suo viso burbero, dalla barba ormai bianca, si tinse di rosso mentre commentava aspramente:- Non nominarmelo nemmeno quel coglione, che mi sale l'ulcera!- e porgendomi le borse delle pizze ancora calde continuò:- Queste sono da consegnare nella sua zona...-

-Come vuoi...- annuii ed afferrandole saldamente azzardai:- Prima o poi però discuteremo del fatto che sto coprendo il doppio dei quartieri, senza aver visto ancora un centesimo in più?-

Gli occhi scuri e piccoli di Luigi si alzarono innervositi su di me:- Ogni scusa è buona per chiedere un aumento! Perché non ti trovi invece un lavoro decente di giorno?-

Io risi divertito all'idea di come stavano realmente le cose. Non avevo rivelato nulla al vecchio Luigi del mio lavoro in ospedale, come allo stesso modo avevo tentato di tenere nascosto in reparto i miei impegni notturni: non sarebbero stati ben visti e forse nemmeno tollerati. Quel segreto mi consentiva quasi di avere una seconda identità, ed ero intenzionato a mantenerlo il più a lungo possibile, tanto che commentai afferrando le borse:- E' che mi stai troppo simpatico tu!-

Il vecchio alzò gli occhi al cielo e borbottando un burbero: - Vedrò cosa posso fare.- e si voltò per tornare al suo forno a legna e alle sue pizze. Lo conoscevo abbastanza bene per sapere che quelle parole erano sincere, avrebbe davvero provato a darmi un piccolo aumento e forse così sarei riuscito a comprare qualche regalo decente per Natale. 

Raggiunsi la macchina e caricai le borse pensieroso. Il lavoro da specializzando in ospedale era indegnamente retribuito ed uno era costretto a trovare soluzioni alternative alla fame, se non aveva il sostegno della propria famiglia. Nel mio caso più che il sostegno mancava decisamente la famiglia.

A quel pensiero sentii immediatamente il bisogno pulsante di accendermi un'altra ultima sigaretta, ma provando a far fede alla mia promessa lo ignorai accendendo l'auto ed iniziando a guidare nella notte.  Quella era decisamente la parte più piacevole di quel lavoro: io, la mia scassatissima centoquarantasette e la mia musica. Erano gli unici momenti in cui non pensavo, in cui non venivo assalito dai problemi di casa e nemmeno da quelli del reparto di neurochirurgia. Ed i problemi erano tanti, da entrambe le parti.

Forse era per quello che mi sentivo perennemente teso, o forse era dovuto a quel lato del mio carattere che mi faceva esplodere come una pentola sotto pressione, fatto sta che ultimamente trovavo sempre più difficile andare avanti. C'erano serate come quella, in cui la stanchezza era tanta che non riuscivo a rilassarmi, non riuscivo a staccare la testa dalle procedure, dalle cartelle da compilare, dai soldi che mi mancavano. Forse era per quello che non dormivo più di una manciata di ore a notte, svegliandomi con ancora la coltre della spossatezza addosso.

Fermai l'auto sul ciglio della strada e meccanicamente controllai l'ennesimo indirizzo sul foglietto disordinato che mi aveva dato Luigi. Scendere ogni volta mi infastidiva, perchè detestavo abbandonare quell'abitacolo riscaldato per il gelo delle notti autunnali. Non amavo particolarmente il freddo, caratteristica che avevo ereditato da mia madre, ma una volta sceso il mio corpo si adattò in poco tempo a quelle temperature, grazie alla stazza tramandata da mio padre. Nuovamente il pensiero di casa mi innervosì e, sospirando, entrai stancamente in una specie di cortile ripetendomi che sarei riuscito a sistemare le cose, prima o poi.

Raggiunsi il civico numero quattro e suonai a vuoto, restando in attesa. Odiavo aspettare fuori dalle porte, detestavo i clienti che non rispondevano subito o che non si facevano trovare e nell'ultimo periodo il destino sembrava propinarmeli uno dopo l'altro. Possibile che la gente non capisse quanto io fossi di fretta? Quante consegne ancora dovevo fare? Quante poche ore avrei dormito prima di riattaccare in reparto? Quante discussioni avrei ancora dovuto affrontare che mi avrebbero fatto saltare il pranzo e la cena dalla rabbia?

Il bisogno di fumare si fece ancora più impellente, ma lo ricacciai indietro. Perché non aprivano quella cazzo di porta? Perché diamine mi facevano aspettare obbligandomi a fare i conti con il desiderio di un'ultima sigaretta? Possibile che il fato si accanisse contro di me in quel modo? Perchè per una fottuta volta non mi lasciava in pace? Non mi aveva già rovinato abbastanza la vita?

Quando finalmente sentii scricchiolare il portone innanzi a me ed intravidi uno spiraglio di luce, fui colpito improvvisamente da tre diverse consapevolezze. La prima era che il fato aveva sicuramente già deciso di farmela pagare, di farlo in modo da farmi torcere le viscere e distruggermi il sistema nervoso. La seconda era che non mi sarei mai dimenticato finchè avessi avuto aria nei polmoni di quei dannatissimi e fottutissimi gelidi occhi che mi guardavano stupiti dietro l'uscio. E conoscevo perfettamente il motivo per cui li avrei avuti incisi nella memoria per il resto della mia vita: erano identici a quelli di Asia. La terza era che uscito di lì avrei fumato un'altra ultima sigaretta.


Ciao a tutte! Avevo promesso di aggiornare entro settembre e con immensi sforzi eccomi tornata con il POV del nostro portapizza! Spero vi piaccia leggere i suoi monologhi perchè questa seconda parte lo riguarderà particolarmente ;)

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Ciao a tutte! Avevo promesso di aggiornare entro settembre e con immensi sforzi eccomi tornata con il POV del nostro portapizza! Spero vi piaccia leggere i suoi monologhi perchè questa seconda parte lo riguarderà particolarmente ;)

Altra novità è il cambio di copertina! Cosa ne pensate? Preferite i toni del blu o dell'arancione? Fatemi sapere! A presto!

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