Capitolo 4

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"Perché sei andato fuori?" domando perplessa.
"Sto fumando, non vedi?" risponde sgarbato.
Tra le mani tiene una sigaretta e i suoi occhi si rivolgono altrove.

"Perché l'hai fatto?" chiede ad un tratto.
Solo ora si gira a guardarmi, il suo non è uno sguardo dolce, ma accusatorio e severo.

"Non ho fatto niente" rispondo concisa, anche un po' infastidita.
"Non hai avuto problemi a limonartelo" continua.
Non riesco a credere a ciò che ha appena detto.
Solo qualche minuto prima le sue braccia cingevano il mio corpo, mentre mi guardava dormire. Ora invece, sembro solo qualcosa di ripugnante ai suoi occhi.

"Non abbiamo limonato, e anche in quel caso non sarebbero stati fatti tuoi" affermo irrigidendomi.

Siamo accanto l'uno all'altro, ci dividono solo pochi centimetri, ma in questo momento le nostre anime sono lontane anni luce.
Lui continua a fumare e di tanto in tanto guarda il cielo, io invece tengo lo sguardo fisso sui miei piedi.

"Perché fai così? Perché fai il carino e poi ritorni a fare lo stronzo?" domando rassegnata.
"Se per te questo significa essere stronzo, allora non mi conosci" risponde con un debole sorriso sul volto.

"Non sono l'unica ad aver baciato qualcuno, perché ti da tanto fastidio?" aggiungo confusa.
"Forse non sono stato chiaro, Elisa.
A me non frega niente di chi baci, ma da quel poco che ti conosco so che non baci chiunque.
Però l'hai fatto, forse perché volevi lasciarti trasportare dall'atmosfera, forse perché temevi il giudizio degli altri" termina, non staccando nemmeno per un secondo i suoi occhi dai miei.

"L'ho respinto, non ho lasciato che mi baciasse" dico mordendomi il labbro inferiore.
"Perché non lo dicevi prima? Avrei evitato la mia ramanzina" esclama ridendo.

Entrambi sorridiamo, non so le sue, ma le mie pupille si dilatano e non posso far niente per evitarlo.

"Non ne posso più" si lamenta sbuffando.
"Che dici?" domando aggrottando le sopracciglia.
"Il mondo, la vita, la gente.
Quando vivevo a Washington, erano tutti così superficiali. Il cardine della loro vita era un estremo consumismo e la loro personalità era totalmente inesistente, perché l'apparire aveva più valenza dell'essere.
Adesso sono a Seattle, ma niente è cambiato"

Scoppio a ridere senza potermi controllare, beccandomi una delle occhiatacce di Matt.
Passano quasi cinque minuti prima di poter tornare seria.

"Hai finito?" chiede stizzito.
"Di frasi filosofiche per rimorchiare ne ho sentite tante, ma questa le supera tutte. D'ora in poi sarai Matt Marx" rispondo scuotendo la testa.
"Ti odio" precisa mostrandomi il dito medio.
"Me lo dicono in molti"sussurro a pochi centimetri dalle sue labbra.

Sono le undici di sera circa e la luna è l'unica ad illuminare la strada, ma noto lo stesso le sue guance arrossire. Per un attimo, è come se il suo caratteraccio avesse lasciato spazio a un po' di sensibilità.

"Sei arrossito!" esclamo sgranando gli occhi.
"Non è vero!" ribatte dandomi le spalle.
"Allora perché ti nascondi?" domando con un sorriso curioso.
"Per non vedere la tua faccia del cazzo" risponde acido.

"Sai, qualcuno una volta mi ha detto che non dovevo fingere di essere qualcuno che non sono.
Non nascondere le tue emozioni, perché ti rendono umano" dico rompendo il silenzio.

La sua testa rivolta verso il cielo, torna a guardarmi.
"Allora quando parlo mi ascolti" afferma sdraiandosi sull'erba.
Seguo con gli occhi ogni suo movimento, per poi affiancarmi a lui.
"Quando non spari boiate, forse" aggiungo ridendo.

"Hai degli occhi bellissimi" esclama ad un tratto.
I miei occhi si accingono a guardarlo confusi, mentre la mia bocca si storce e le sopracciglia
s'incurvano assumendo un'espressione severa.

"Mi prendi per il culo?" chiedo seccata.
Matt sbuffa e poi alza gli occhi al cielo.
"Perché ti è così difficile accettare dei complimenti?" continua fiacco.
"Due minuti fa mi odiavi, adesso invece mi ami. Perdonami se ho qualche dubbio" rispondo.

"Volevo solo farti arrossire, per sentirmi meno solo. E comunque non ti odio" dice esasperato.

"Quindi vuol dire che mi ami?" sussurro deridendolo.
"Io amo solo me stesso" afferma sicuro di sé.
"Mi piacciono gli egocentrici, non si fanno mai calpestare" aggiungo.

"Allora ti piaccio?" esclama ammiccando.
"Matt Campbell, tu non mi piaceresti nemmeno se tutte le zucchine si estinguessero e la tua fosse l'unica superstite" rispondo alzando le spalle.

"Sai, la negazione è uno dei primi passi per ammettere una infatuazione" dice con un sorriso pervertito.
"Credo che dovresti interessarti più a stare muto che alla psicologia, non sei molto portato" insinuo ridendo.

"Ti mostrerò che ti sbagli" insiste deciso.
"Certo, sono a tua completa disposizione" ammetto ironica.

Un attimo dopo, le sue mani sfiorano le mie, ma come se avessero toccato del fuoco, se ne scostano immediatamente.

"Gli altri si staranno chiedendo che fine abbiamo fatto, meglio se rientriamo" dice alzandosi dal prato.
"Già, forse è meglio" sussurro allontanandomi dalla mia comfort zone.

Prima di avvicinarsi alla porta però si immobilizza, come se nella sua mente fosse balenata chissà quale idea.

"Ti va di fumare una sigaretta?" chiede con voce roca.
Mi guarda così profondamente da farmi tremare, mi sento troppo vulnerabile di fronte all'imponenza dei suoi occhi.
"Ehm, d'accordo" balbetto alzando le spalle.

Estrae dalla tasca della sua giacca un pacco malridotto di Marlboro rosse e poi afferra una sigaretta.
L'avvicina alle sue labbra carnose e dopo averla accesa, aspira con forza il fumo per poi rigettarlo fuori.

Dopo aver fatto qualche tiro me la porge, ma le mia mani tremolano così tanto che Matt, accorgendosi della mia goffaggine, l'afferra per poi unirla alla mia bocca.

Inalo tuttavia troppo fumo, finendo per diventare verde e tossire a tal punto da sputare via un polmone.
Matt afferra subito la sigaretta, portandomela via. I suoi occhi assumono un'espressione severa ed accigliata.

"Avresti dovuto dirmi che non avevi mai fumato" mi rimprovera.
"Volevo provare, non pensavo di essere così imbranata" rispondo imbarazzata.

"Non preoccuparti, la prima volta è sempre così. Anch'io stavo quasi per soffocare" aggiunge accennando un sorriso.

"Io sto per entrare, si è fatto tardi" dico stringendo le spalle.
"Allora vado, ci vediamo Miller" esclama con un cenno.

Gli sorrido e aspetto che monti in sella e metta in moto il motore prima di tornare con i ragazzi.

Quando apro la porta, non vedo una casa, ma solo un ammasso di alcolici, piatti e carte per tutta la casa.
Vorrei uccidere con il pensiero tutti i presenti, però mi limito a tossire per richiamarli all'attenzione.

"Ragazzi la festa è finita, sono stanca ed ho sonno. Siete pregati di andare via. Grazie e alla prossima" affermo rapidamente.

Tutti sbuffano, ma alla fine raccolgono le loro cose e si dirigono verso l'uscita.
Mando un bacio volante a Cora e Eve, subito dopo corro nella mia camera.

Finalmente sono in pace.
Solo pochi minuti dopo sono già caduta tra le braccia di Morfeo.

Even the ice melts Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora