capitolo extra: un anno dopo

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Francia, 1947

La guerra era finita ma, con il suo addio, la speranza non era tornata.
Tutto era fallito miseramente.

L'America era il sogno di molti, perché, come stato, rappresentava un sogno: loro ci avevano salvati, loro ci aveva liberati, e, di conseguenza, significava che gli americani sarebbero stati gentili con noi.

E fu così, ma tutto svanì in poco tempo. Flotte di migrati su barche incerte invasero le coste occidentali degli stati uniti, pregando ed esultando sotto lo sguardo della Signora in verde.

Come loro, anche io ero stata avventata: morta mia madre e finita la guerra, lasciai il mio lavoro - che, come il resto, era precario - e decisi di ricominciare.

Volevo andarmene, volevo diventare quella persona che il tempo mi aveva impedito di essere. Desideravo essere la versione migliore di me stessa.

Ma, come spesso mi è accaduto, non ho avuto fortuna: trovai un appartamento - uno buono, certo - e anche un lavoro come impiegata, ma di questo non riuscii ad essere felice.

In pochi giorni tutto si era già spento - soprattutto l'entusiasmo: mi alzavo, mi vestito, andavo a lavoro e tornavo a casa.

Provai a conoscere gente e imparai la lingua, ma niente mi fece mai sentire a casa.

Fu in quel momento che mi resi conto che ciò di cui avevo bisogno non era una nuova vita - di scappare. Avevo bisogno di una sicurezza, una che possedevo già e che avevo avuto troppa paura di coltivare.

È di lui che avevo bisogno - il mio soldato inglese.

Picchiettai con cura il cucchiaio sulla tazzina in ceramica - era da tanto che non bevevo un tè, ma le mie mani ne ricordavano i gesti. Il piccolo bar all'angolo era rimasto lo stesso, se pur completamente diverso: come la maggior parte delle cose dopo la guerra, aveva deciso di ricostruirsi, sperando di cambiare il ricordo.

Io non sono mai riuscita a dimenticare.

Un sibilo stridente mi fece sollevare lo sguardo, e, nel frangente di un secondo, il mio fiato scomparì dal petto.

Capelli biondi, gli occhi celesti e la barba chiara. Era invecchiato, ma era sempre lui, se pur senza divisa.

Sorridendomi timidamente, mi venne incontro.

«Amy.»

Daniel mi abbracciò senza imbarazzo, ma, per me, fu una sincera esplosione. Dopo un anno, avevo risentito la sua voce, e per pronunciare il mio nome.

Fu una scarica ascendente.

«È un piacere vederti,» dissi, e tornai a sedermi - più per ricompormi che altro. Lui fece lo stesso, spostando la sedia per essermi più vicino.

La camicia chiara faceva risaltare i suoi occhi come diamanti, ed io potevo dirmene incantata. Era bello - questo era vero - ma c'era molto di più: avevo conosciuto il suo corpo e la sua anima e le avevo amate.

Profondamente, teneramente e incondizionatamente, come non mai.

Daniel era stato il primo.

«Quindi, hai ricevuto il mio invito,» continuai, imbarazzata. «Non sapevo se vivessi ancora con i tuoi genitori.»

«Ho un appartamento, in realtà,» mi informò. «Dopo il processo, ho iniziato a lavorare in un'impresa di costruzioni: a quanto pare, un leader resta tale.»  

Non sapendo che fare, sorrisi. Ricordare il processo non era fra le cose che preferivo, anche se potevo dirmene soddisfatta: avevo contribuito a salvarlo. 

«Io lavoravo come segretaria,» dissi. «Ora, sono tornata in Francia: vorrei tornare ad insegnare.»

«Sembra fantastico,» commentò, ma non sembrava felice. La cameriera ci raggiunse per le ordinazioni ma Daniel la rimandò indietro educatamente.

Improvvisamente, i suoi occhi si erano fatti tristi e cupi. Prese fra le dita il tovagliolo e iniziò a rigirarlo.

«Non so perché tu mi abbia invitato, Amy, ma credo che non sia per il motivo giusto.»

Attonita, quasi balbettai. «Che vorresti dire?»

Daniel scosse le spalle. «È passato un anno, Amy. Il mondo è cambiato e anche noi. Siamo cresciuti. Questo incontro sembra solo uno scialbo tentativo di rincorrere il passato.»

«Uno scialbo tentativo di rincorrere il passato?» Ero scioccata. «È questo che pensi?»

«L'anno scorso abbiamo avuto una possibilità. Eravamo entrambi liberi, con un nuovo mondo davanti a noi. Potevamo ricominciare insieme.»

«Non potevamo farlo, non quando eravamo tanto persi. Prima dovevamo ritrovare noi stessi.»

«E perché non farlo insieme?»

Strinsi le labbra, furiosa. La conversazione non stava andando come avevo pensato ed io iniziavo ad irritarmi. No, quello non era il Daniel che credevo di aver lasciato.

O, forse, non ero la persona che pensavo di essere.

«Io ti amavo, Daniel. Ti ho amato follemente, e ti amavo anche quel giorno, al processo. Avrei dato tutto per te.» Sospirai, inumidendomi le labbra. «La mia vita è andata in rovina: ho tutto, ma non sono felice, perché manchi tu. Credevo che sarebbe passata, e che avrei ricominciato - perché no, magari con un'altra persona - ma la verità è che l'unico di cui ho bisogno sei tu. Il mio cuore ti apparteneva e ti appartiene.»

Lo dissi con tale furia che, quando giunse il rimorso, era ormai troppo tardi. Avevo davvero detto a Daniel di amarlo? Per lui, potevo essere solo un ricordo e, dal modo sconfitto in cui mi guardava, ero certa fosse così.

«Amy...»

«Non importa,» lo bloccai, rialzandomi. «È stato bello vederti, Daniel. Buon viaggio.»

Corsi in fretta e furia fuori dal locale, sperando, così, di nascondere le lacrime. Faceva male, in modo atroce, sapere di amare qualcuno che io stessa avevo deciso di perdere.

Ma era vero, ogni parola: avevo conosciuto Daniel nell'odio, e con lui avevo imparato l'amore. Lui era il mio grande, il mio unico.

E lui se n'era andato.

«Amy!»

Caddi contro il muro di un palazzo, lasciandomi andare alla sorpresa quando riconobbi Daniel davanti a me. Mi stava rincorrendo e i lunghi capelli oscillavano al vento.

Non appena mi fu vicino, mi prese il volto, costringendomi a ricambiare il suo sguardo.

«Lasciami andare, Daniel! Che cosa vuoi?»

«Ti amo, Amélie.»

Zittita, sgranai gli occhi. «Come hai detto?»

«Sono venuto qui portando nel mio cuore il ricordo di una ragazza che mi voleva, ma non abbastanza da superare la paura. Tu mi amavi, Amy, e lo so, ma non al punto di vivere una vita con me, che non sono altro che un impostore. Ma io ti amo, l'ho sempre fatto, e ti inseguirei ovunque, anche solo per farmi rifiutare. Il mio cuore ti appartiene.»

«Tu volevi mettermi alla prova.»

Fu l'unica cosa che riuscii a dire, troppo sconvolta da tutto ciò che stavo sentendo. Daniel mi amava, mi amava ancora.

Sorrise, furbo. «E il tuo invito non lo era?»

Rimasi bloccata per qualche istante - il tempo per permettere alla mia mente di capire - e, alla fine, ricambiai il suo sorriso. Lo baciai a fior di labbra e lasciandomi baciare.

Era bello, perfetto, come se fosse il primo. E, probabilmente, lo era davvero: il nostro primo bacio da uomini liberi.

Volevo che durasse per sempre e, in fondo, fu così.

Per sempre.

Dovrei riscrivere la storia in modo decente - intanto, eccovi un extra ❤️
Spero di avervi dato il giusto finale per questa storia incompleta 🥰

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